martedì 8 maggio 2012


Cari amici di pecora nera,
 
 vi propongo questo interessante articolo di Francesco Margiotta Broglio sul corriere di oggi.
Interessante l'analisi.
A me ha fatto pensare che i cattolici italiani hanno bisogno di riprendere il filo di un dialogo sospeso intra-ecclesia, almeno a partire dalla metà degli anni 80.
Le ultime riflessioni nate dal fallimento della cultura della presenza, declinata in concreto da CL e sposata da gran parte dell'episcopato italiano in questo terntennio, dovrebbero seriamente interrogarci.
Infatti questo palese fallimento della cultura della presenza lascia riemergere intatta quella polemica di allora sul modo di essere presente dei cattolici nella società: presenza, assenza o mediazione!?
Chi allora fu dichiarato "sconfitto", oggi sembra voler riprendersi la rivincita.
Quasi sembra che  non esserci stata una ri-visitazioni critica di alcuni eccessi che pure ci furuno in coloro che propugnavano quella cultura come sintesi tra assenza e presenza.
Tuttavia il giudizio rescindente che diede GPII a Loreto propendendo per la cultura della presenza, fu a suo modo giustificato dalla inclinazione del pontefice ma anche da alcuni eccessi.
Forse in alcuni frangenti si arrivò ad un radicalismo della mediazione...
Oggi tuttavia dopo quella sorta di "imposizione" del pontefice, il dibattito riemerge intatto.
Sembra quasi che trent'anni non siano passati.
Ah come ci sarebbe  bisogno di nuove e spassionate analisi che ci conducano un passo, un solo passo avanti, da quei ragionamenti...
 
 
 
 
 
 
 
 
Prove di unità cattolica (senza i parroci)
di Francesco Margiotta Broglio
in “Corriere della Sera” dell'8 maggio 2012
Si è variamente parlato, negli ultimi mesi, di «prove di unità dei cattolici in politica», anche in
occasione di incontri tra autorità dell'episcopato e movimenti, associazioni, comunità ecclesiali,
testimoni della vitalità di quello che, con qualche approssimazione, viene definito il «mondo
cattolico». Alcuni hanno immaginato, come seguiti del Forum di Todi dell'ottobre scorso, un nuovo
soggetto politico unitario, «un partito sul modello sturziano» (Antiseri), altri una più forte presenza
all'interno di partiti esistenti che facciano riferimento al Ppe e siano, quindi, alternativi alla sinistra.
Un progetto che avrebbe il consenso dei vertici della Cei e della Segreteria di Stato e alcuni
avamposti già nel governo Monti: se il cardinale Bertone ha incitato i cattolici a «non rassegnarsi
all'irrilevanza politica», il ministro Riccardi ha dichiarato «non serve il partito dei cattolici» e il
ministro Ornaghi parla di «minoranza creativa». Entrambe le ipotesi sono, ovviamente, subordinate
alla scelta del sistema elettorale e al modello di «democrazia rappresentativa» che verrà adottato,
ma è opportuno chiarire, fin d'ora, che entrambe presuppongono una convinta cooperazione da parte
delle gerarchie episcopali e delle istituzioni ecclesiastiche. Ad esse si devono, infatti, i momenti
forti dei successi elettorali dell'antica Dc. Non a caso a un Lazzati che lamentava la mancanza di
una cultura cattolica che avesse «il senso profondo della laicità della politica», De Gasperi
replicava: «Ma non ti rendi conto che alla fine a decidere delle elezioni sono i parroci!». 
Non si può, quindi, ragionare sul «ritorno dei cattolici» senza tenere conto della situazione attuale
della società religiosa. Una delle più importanti ricerche in materia (R. Cartocci, Geografia
dell'Italia cattolica, Il Mulino) elabora indicatori oggettivi e fornisce analisi dettagliate che mettono
in evidenza la critica situazione delle religiosità in un contesto sociale sempre più secolarizzato
(come dimostrano anche i significativi dati raccolti da ormai sei anni da Critica Liberale). A parte la
presenza di due Italie e di più tipi di fedeli in base all'età (i residui messalizzanti settimanali — in
media 32,5% — sono concentrati essenzialmente nel Sud, con punte sopra al 40% in Campania e
Puglia, mentre da una frequenza del 56% dei 6-13 anni si passa a circa il 18% dei 20-34 anni per
tornare al 43% degli ultra settantacinquenni), il forte aumento dei matrimoni civili e dei nati fuori
del matrimonio (aggiungerei anche dell'instabilità coniugale), la crescita nelle superiori del numero
degli studenti che non frequentano l'ora di religione, gli stessi dati dell'otto per mille, hanno
consentito a Cartocci la predisposizione di un indice finale di secolarizzazione che vede in testa
Emilia Romagna, Toscana e Valle d'Aosta e in coda Puglia, Calabria e Basilicata: il Veneto
«bianco» si ferma alla metà delle venti regioni e la Lombardia all'ottavo posto delle «secolarizzate».
Già Garelli del resto aveva parlato di «cattolicesimo di minoranza» e Segatti di un'Italia non più
cattolica ma «genericamente cristiana», con una fede religiosa, ma, in gran parte, con credenze
essenzialmente individualistiche.
Se fosse ancora attuale la convinzione di De Gasperi sarebbe inutile, nel contesto socio religioso
che si è richiamato, pensare a qualsiasi tipo di rappresentanza politica, unitaria o frammentata, dei
cattolici italiani, privi di quel retroterra ecclesiastico che ne aveva assicurato il successo e la cui
crisi, del resto, contribuì, insieme agli errati «calcoli» del cardinale Ruini, a mandare in soffitta la
Dc di Martinazzoli. Furono la vitalità dell'associazionismo ecclesiale e di quanto restava della Dc a
contribuire alle vittorie di Prodi, ma fu lo smarrimento delle gerarchie episcopali — che si illusero
di poter agire in politica senza la mediazione di un partito non-confessionale — a contribuire
(involontariamente?) alla fine di quelle importanti esperienze di governo. Con ragione il cardinale
Bagnasco ha respinto, nell'omelia pasquale ai parlamentari, le «linee mediane» sui temi etici (che
però stanno a cuore solo ad una minoranza di cittadini), ma proprio per questo sarebbe utile una
nuova forma di rappresentanza politica dei cattolici italiani (quali sono, non quali li desidererebbe
lui) che riprendesse l'antica funzione mediatrice della Dc, che, in mezzo a mille difficoltà, traghettò
il Paese dalla ricostruzione al «miracolo» e, poi, alla crisi della democrazia, iniziata con l'assassiniodi Moro e approfondita dalla fine dell'anticomunismo, ma ancora in pieno svolgimento