domenica 26 settembre 2010

relazione Miano

Condivido con voi il file audio della relazione tenuta da Franco Miano, presidente nazionale di Azione Cattolica, all'ultimo convegno pastorale diocesano dal titolo "L’educazione dei giovani negli orientamenti pastorali del prossimo decennio"


martedì 21 settembre 2010

E' nato Giuseppe

Giuseppe e Marta...speriamo bene, ci aspettano tre mesi e più di Vietnam!!!
Giuseppe arrabbiato...come o nonno!!!!
Giuseppe pacioccone
Giuseppe addormentato
Giuseppe pensieroso...cosa mi aspetta??? Oddio!!!!


Finalmente alle 2:00 in punto del 21 settembre 2010 è nato il piccolo Giuseppe, secondo nato della famiglia Ruggiero. 
Pesa 3,145 Kg è lungo circa 50 cm.
Un parto che dire velloce è poco!!!
Siamo arrivati in ospedale alle 00:50!!!

Gioite con noi!!!

venerdì 3 settembre 2010

Lezioni di storia: Padre Sergio

Cari amici di pecora nera 
vi segnalo quest'articolo di Riotta che chiude la serie pubblicata dal Sole 24 ore sui personaggi della storia che potrebbero aiutarci a ripartire.
Padre Sergio è uno degli ultimi racconti di Tolstoy. Non  lo conoscevo. 
Di corsa l'ho trovato e l'ho letto. Molto bello. 
Vi lascio con la rivelazione di padre Sergio: 

"Io ho vissuto per gli uomini sotto il pretesto di viver per Dio, lei, Pàsenka, vive per Dio figurandosi di viver per gli uomini". 

I semplici salveranno il mondo.

a presto




L'esempio del «Padre Sergio» di Tolstoj i semplici salveranno il mondo

di Gianni Riotta



Quale personaggio del passato potrebbe aiutarci a ripartire?

Lev Tolstoj scrisse la sua novella Padre Sergio tra il 1890 e il 1898, ma la pubblicazione non arrivò sino al 1911, quando il gigante della letteratura era scomparso da pochi mesi. Ai lettori non poté quindi sfuggire l'analogia tra la fine dell'eroe del lungo racconto, il Padre Sergio, e quella di Tolstoj, per entrambi una fuga in cerca di salvezza.

Il principe Stjepàn Kasàtskij, giovane ufficiale della Guardia ai tempi dello Zar Nikolàj Pàvlovic, vive per il suo imperatore, deciso a «dimostrargli la sua sconfinata devozione», vero «amoroso rapimento». Ma quando la promessa sposa, la contessina Korotkòv, gli rivela di essere stata amante proprio del suo idolo, lo Zar, il principe Stjepàn lascia la divisa e Pietroburgo e si rifugia in convento.

La sorella decifra bene la scelta drammatica, come Stjepàn «si fosse fatto monaco per trovarsi più in alto di quelli che volevano dargli a sentire di star più in alto di lui». Scendere nella scala del mondo per salire in spirito.

Quando «Il Sole 24 Ore» ha chiesto ai propri collaboratori di scegliere la persona-simbolo, per indicare la possibile uscita dalla crisi in cui ci dibattiamo all'alba del Terzo Millennio, i suggerimenti son stati molti e fantastici, da San Francesco, ai due presidenti Roosevelt, a Orwell. Leggendo i testi delle nostre firme – che tutte ringraziamo – pensavo come dietro ognuna delle proposte, uomini di guerra o di pace, di lettere o di affari, per intravedere davvero un progresso, occorra ritrovare l'uomo comune, la persona semplice, le madri e i padri che hanno portato il peso della nostra storia e delle nostre società, prima e dopo i leader.

E' il tema di «Padre Sergio». Una volta rifugiato in monastero, infatti, l'ex principe assume l'odore di santità, riverito come «Padre Sjerghìj», talmente celebre da essere trasferito a un convento non lontano dalla capitale dove le dame tornano a far di tutto per essere ammesse al suo cospetto, e il priore, uomo mondano come tanti porporati del 2000, decide di esibirlo da trofeo davanti agli ex colleghi della Guardia, ora generali. Padre Sergio capisce infine che l'orgoglio, l'ambizione, le smanie vane e sociali da cui è scappato (le «vanità» dell'Ecclesiaste) lasciando l'esercito sono vive, sotto il saio dell'umiltà. Per la seconda volta fugge e si fa eremita. Così austero, devoto e penitente che i fedeli da ogni parte di Santa Madre Russia corrono alle sue benedizioni. E quando una dama allegra arriva in slitta e prova a sedurlo, fingendosi assiderata fuori dalla sua grotta, Padre Sergio impugna l'ascia e si amputa l'indice della mano sinistra pur di vincere la tentazione.




Ormai vicino a chiudere in perfezione una vita alla ricerca di forza interiore, morale e verità, con i pellegrini che accorrono alle sue benedizioni e prediche da ogni parte, miglia e miglia nella neve, celebrato, onorato e adulato, Padre Sergio cadrà nel peccato, sedotto da una ragazza «isterica», che gli è stata portata perché la guarisse.

Sconvolto per avere perduto, dopo le ambizioni umane anche le spirituali, l'ex principe ed ex sant'uomo torna di nascosto all'antico villaggio d'infanzia. Cerca, e non sa perché, una bambina che tutti prendevano allora in giro, la sempliciotta Pàsenka. La donna è anziana, con tanti guai familiari, marito, figli, nipoti, e troppe cure domestiche, rammendare, rigovernare. Stupita di vedersi davanti il compagno di giochi la cui fama di santo l'ha tante volte commossa, racconta la propria vita in breve «Di me, non mette conto parlare».

Padre Sergio è folgorato. L'ossessiva ricerca di successo, dall'esercito alla Chiesa, lo ha allontanato dalla gente semplice, la famiglia, il villaggio, gli «altri», da cui ha cercato di distinguersi, pur di essere «migliore». E' una rivelazione «Io ho vissuto per gli uomini sotto il pretesto di viver per Dio, lei, Pàsenka, vive per Dio figurandosi di viver per gli uomini». Nel servire con semplice cura la comunità è la gloria: Padre Sergio si fa pellegrino e va, deportato, in Siberia.

Lettori del 1911 e noi oggi, restiamo insieme colpiti perché la fine di Padre Sergio è identica a quella scelta per sé da Tolstoj, che dopo la fama letteraria, sentendosi prossimo alla morte, evade da casa e muore nella ignota stazioncina di Astapovo, invano tentando di chiudere nella semplicità e nel silenzio. Cerca di condividere il destino di Padre Sergio, ma, racconta Vladimir Pozner nel magnifico saggio Tolstoj è morto, (Adelphi), l'agonia dello scrittore nella casa del capostazione di una frazione senza nome è il primo evento globale, arrivano giornalisti da ogni parte, con cinismo da manuale «Nelle redazioni i direttori fremono..."I vostri dispacci, oggi, hanno magnificamente distanziato la concorrenza di parecchie lunghezze... Nel caso vi manchino i fatti, rimpolpate le descrizioni... in caso di disgrazia, duecento parole per edizione speciale"».

Tolstoj, creatore di eroi ed eroine meravigliose, Natasha e il Principe Andrej di Guerra e Pace, comprende che eroismo perfetto è il servizio modesto e prova a copiare, senza riuscirci, l'esito umile del Padre Sergio.

Essere o non smettere mai di essere anche da leader, un «common man», un uomo comune, ecco la strada. Common Man non nel senso detestabile del qualunquismo o del populismo, non accanendosi come la risentita folla al corteo del Tea Party ieri a Washington, o avvilendosi nell'anonimato bilioso che da ogni sito internet inveisce frustrato contro questo, o quel, leader del momento. No, nel senso nobile delle immagini del pittore americano Rockwell, nella dignità antica del Coro greco, dove le tragedie smisurate degli eroi vengono composte dalla misura dei cittadini, gli uomini comuni, vasai, artigiani, mercanti, che battono i Persiani a Maratona e salvano Atene.

È nel '900 ancora un russo, Vasilij Grossman, in due capolavori Vita e destino e Tutto scorre (Adelphi), a cantare la forza aristocratica della gente comune, la sola capace di perpetuare valori, sapere, ideali, speranze, anche nella notte nera del totalitarismo. Quando Stalin chiude la Russia in un gulag, l'anima del paese si perpetua nella parola della madre al figlio, del padre a un amico, del compagno di cella a un morente. Le ideologie mobilitano e sterminano «masse», Grossman confida nelle persone e nella libertà.

Tornando a Mosca negli anni del disgelo, dopo Stalin e trenta anni di gulag, il protagonista di Tutto scorre Ivan Grigor'evic confronta il male di un impero, i dissidenti svuotati, gli intellettuali venduti, i trafficanti al potere, i burocrati spietati, i corrotti ambiziosi. E medita con parole perfette oggi «Un tempo pensavo che la libertà fosse la libertà di parola, di stampa, di opinione. Ma la libertà è tutta la vita di tutta la gente; ecco cos'é: è il diritto di seminare quel che vuoi, di fare scarpe, soprabiti, di cuocere il grano che hai seminato, per venderlo o non venderlo, come vuoi tu; e anche se fai il meccanico, o il fonditore, o l'artista, vivi e lavora come vuoi tu, e non come ti ordinano».

Alla fine della nostra serie, ricordiamo che i soli leader a portarci fuori dalla crisi saranno donne e uomini comuni, capaci di generare eroi, ed essere ogni giorno un po' eroi loro stessi. Per tutti c'è già l'inno, la Fanfara per l'Uomo Comune, che il musicista Aaron Copland compose nel 1943, quando gli uomini comuni si battevano perché la libertà non si estinguesse dalla Terra. Nel 1977 lo spartito riemerse nel rock, con Emerson, Lake and Palmer e ancora con Bob Dylan: una staffetta, di nota in nota, persuasi che solo la libertà e la semplice sapienza del Common Man ci salveranno, guidati da leader capaci a loro volta di ritornare uomini comuni, oltre e dopo il potere.
gianni.riotta@ilsole24ore.com
twitter @riotta

mercoledì 18 agosto 2010

Lezioni di storia: Nerva




Cari amici,
vi segnalo un interessante articolo apparso sul Sole 24 ore di oggi. Fa parte di una serie di articoli che il quotidiano sta pubblicando sui personaggi della storia che potrebbero aiutarci a ripartire. Molto molto interessanti!
Questo è sull'imperatore Nerva.

a presto



Lezioni dalla storia.
L'imperatore Nerva, che preferì il merito alla famiglia
di Alessandro De Nicola
articolo18 agosto 2010



Mi presento: sono Ottavio Titinio Capitone, di rango equestre e procurator ab epistulis - quello che voi chiamereste un segretario particolare - dell'imperatore Marco Cocceio Nerva. Per la verità ricopersi lo stesso ruolo con il predecessore del divino Nerva, Domiziano, ed ebbi l'onore di continuare il mio officium anche con il successore, Traiano. Ero quello che voi moderni chiamereste un civil servant, anche se a quei tempi quando cambiava il governo si poteva perdere la vita.
Tra le mie caratteristiche c'è sempre stato l'amore per la letteratura e - come il mio fraterno amico Plinio il Giovane ebbe la bontà di ricordare - il mio auditorium personale era sempre aperto agli amici. Bei tempi, gli invitati avevano i loro codicilli, i biglietti d'ingresso, e leggevano i libelli, i programmi della serata. Fra le declamazioni letterarie c'erano anche quelle che raccontavano la vita dei Cesari. È per questo che voglio ora condividere con voi l'avventura del mio divino dominus, Nerva, e trarne degli insegnamenti che vi possano servire.
Orbene, correva l'anno 849 ab Urbe condita (il vostro 96 d.C.) e sul trono sedeva Tito Flavio Domiziano, figlio di quel Vespasiano che aveva riportato l'ordine a Roma dopo il periodo di convulsioni successive alla deposizione e al suicidio di Nerone (quello che gli storici ricordano come l'anno dei quattro imperatori). Domiziano succedeva al fratello Tito, amato dal popolo e dalla nobiltà, e all'inizio sembrò governare con moderazione. Poi però la non acutissima intelligenza e un'indole allo stesso tempo capricciosa, scialba e paranoica ne esasperarono i difetti. Io gli fui a fianco fedelmente e posso testimoniare che in lui coesistevano virtù militari, coraggio, buon gusto, un po' di cultura e una certa dose di populismo insieme a una crudeltà e a una concezione politica assolutistica e orientaleggiante che lo portò a instaurare un regime di terrore. Sia come sia, venne assassinato in un complotto di palazzo nel settembre del 96 e il Senato acclamò imperatore il nobile sessantaseienne Marco Cocceio Nerva, giurista insigne, già due volte console sotto i Flavi nonché membro della corte imperiale di Nerone sotto cui ricevette onori trionfali e servì come pretore.

Tutti capirono che l'impero era a una svolta: la costruzione di Cesare e Augusto era solida, anzi, Domiziano aveva aggiunto qualche territorio, ma il metodo successorio per diritto di sangue non funzionava bene. Alto era il rischio che una serie sfortunata di imperatori come Caligola, Nerone e Domiziano avrebbe potuto disgregare le fondamenta civili dello stato romano. Inoltre, non era del tutto sopita mite e illuminato. Egli regnò solo 16 mesi, che furono decisivi e non solo perché governò bene. Come primo provvedimento giurò che nessun senatore sarebbe stato condannato a morte finché lui fosse rimasto in carica. Pose fine ai processi per lesa maestà, che in realtà erano un mezzo per eliminare gli oppositori, liberò chi era stato imprigionato a seguito di tale accusa e amnistiò gli esiliati. Tutte le proprietà illegalmente la convinzione che la monarchia imperiale non fosse un destino inevitabile per Roma, altrimenti incapace di governare territori così vasti. Gli intellettuali e l'aristocrazia senatoria vagheggiavano ancora un ritorno all'antica Repubblica e di questo filone il più autorevole interprete fu nientemeno che Publio Cornelio Tacito, il quale ricoprì la carica di console suffectus proprio sotto Nerva.
E qui entra in gioco lui, l'anziano successore di Domiziano, uomo di transizione e allo stesso tempo confiscate furono restituite e, tanto per non sbagliarsi, venne fatta una donazione di 75 denarii a ciascun cittadino e di 5mila per ogni pretoriano. Sempre perché questo clima di mitezza permeasse l'impero, Nerva sospese le persecuzioni contro quella che ai nostri occhi era una strana setta di giudei eretici, i Cristiani, e si concentrò sulle riforme economiche. Abolì l'odiosa tassa giudaica, un tributo ad hoc, e in genere alleggerì il carico fiscale. Tolse l'imposta di successione, distribuì terre pubbliche ai poveri e diminuì le tasse nelle province.
Come dovrebbe fare ogni buon governo, allo stesso tempo tagliò drasticamente le spese (tra cui quelle per le pompose cerimonie religiose e le corse dei cavalli), privatizzò beni pubblici (gli enormi possedimenti di Domiziano, inclusi naviglio e mobilia, e fece fondere le sue statue d'oro e d'argento), donando al fisco anche sue proprietà perché fossero alienate, e diede impulso ad alcune opere pubbliche essenziali, come stadi, granai (l'Horrea Nervae era il più grande magazzino dell'Urbe) e acquedotti.
Anche lui fu obiettivo di complotti, tra cui quello di Calpurnio Crasso e del comandante dei pretoriani, Casperio Eliano. In entrambi i casi il mio divino padrone la passò liscia con grande dignità: la prima volta fece sedere i congiurati al suo fianco e passò loro delle spade chiedendo di verificare se fossero affilate, per mostrar che non temeva la morte. Nel secondo caso si scoprì la gola e la offrì ai gladi dei pretoriani, i quali pragmaticamente lo lasciarono in vita in cambio dell'esecuzione degli uccisori di Domiziano.
Questi episodi erano la prova di quel che Nerva amava dire e cioè che durante il suo impero non aveva fatto niente che gli avrebbe impedito di rinunciare alla carica e ritornare alla vita privata senza nulla temere per la sua sicurezza. Era così liberale che era permesso tenere a me, suo umile segretario, nella mia accogliente dimora, le statue di Bruto, Cassio e Catone l'Uticense, i tre repubblicani per eccellenza!
Ma il suo atto più importante fu l'adozione di Marco Ulpio Nerva Traiano. Come ricorderà lo storico del III secolo Cassio Dione: «Così Traiano diventò Cesare e più tardi imperatore, benché vi fossero parenti di Nerva in vita. Ma Nerva non metteva i rapporti familiari al di sopra della salvezza dello stato, né egli fu meno incline ad adottare Traiano perché era un iberico invece che italiano nonostante nessuno straniero avesse fin lì avuto il comando dell'impero; egli credeva nell'abilità dell'uomo piuttosto che nella sua nazionalità». Poco dopo l'adozione, Nerva morì a causa di un attacco di febbre e Tacito, nel suo libro De Agricola descrisse il suo regno coma «l'alba dell'era più felice, quando Nerva unì insieme cose una volta irriconciliabili, il principato e la libertà».
Mi è stato chiesto, dunque, perché Marco Cocceio sia un esempio anche per i vostri giorni e la mia conclusione è stata che nei momenti di passaggio da una riva all'altra, quando il fiume è agitato quanto lo Stige degli inferi, ci vuole soprattutto un bravo traghettatore come Caronte. Ebbene, il vostro sistema politico ed economico è a una svolta epocale: tutti i nodi sembrano venire al pettine in una volta sola, dalle relazioni industriali al federalismo, dal debito pubblico al ruolo dello stato, passando per le pensioni e la scomposizione del quadro politico. Non è una situazione pre-rivoluzionaria, ma certamente seria e tra qualche anno nulla sarà come prima.
Perciò bisogna fare in modo che qualcuno rispettato da tutti o quasi, come il divino Nerva lo era dal Senato e dal popolo, conduca il paese verso nuovi lidi e una governance (come direbbero i Britanni) rinnovata, allo stesso modo in cui egli accompagnò l'impero verso il suo Secolo d'oro, quello che lo storico Gibbon definì l'era dei cinque buoni imperatori in cui l'umanità conobbe un periodo mai fino allora così lungo di pace e prosperità. E questo accadde grazie al principio adottivo, la scelta del migliore per guidare l'impero.
Nerva privilegiò l'"abilità" sul clan o la nazionalità, privatizzò, ridusse le spese e le tasse, svelenì il clima, si seppe adattare alle minacce, riportò a normalità la giustizia, si concentrò sulle opere pubbliche veramente utili e non solo non si arricchì ma donò del suo. Non ci sarebbe bisogno di un leader così anche nell'Italia odierna? E non sto parlando di tatticismi tipo un "governo di transizione" per gestire la riforma della legge elettorale, ma di una fase di cambiamento profondo che seppure guidato senza un consenso unanime avvenga in un contesto di rispetto reciproco.
Mi chiederete: passaggio verso cosa? Io sono solo un procurator ab epistulis, non saprei dire. Ciò che fece il mio saggio e divino dominus già vi sarebbe utile, ma lo sbocco finale lo dovete decidere voi. Un consiglio, se proprio volete, ve lo posso dare: non adottate come soluzione il principato adottivo, erano altri tempi e nell'Italia di oggi, si sa, i delfini fanno spesso una brutta fine.
adenicola@adamsmith.it

15ª puntata
Le precedenti sono state: Cosimo de' Medici di Tim Parks (25 luglio), George Orwell di Andrea Romano (27 luglio), Giacomo Matteotti di Sergio Luzzatto (28 luglio), Rabindranath Tagore di Franco La Cecla (29 luglio), il capitano Achab di Davide Rondoni (1 agosto), Caterina da Siena di Alessandro Barbero (3 agosto), Margaret Thatcher di Roberto Perotti (4 agosto), Temistocle Martines di Michele Ainis (5 agosto), Isacco Artom di Franco Debenedetti (7 agosto), Niccolò Machiavelli di Gabriele Pedullà (8 agosto), Federico Barbarossa di Franco Cardini (11 agosto), il rabbino Johanan ben Zakkai di Anna Foa (12 agosto), Simone Weil di Elisabetta Rasy (14 agosto) e San Francesco d'Assisi di Bruno Forte (15 agosto), Marco Cocceio Nerva di Alessandro De Nicola (18 agosto 2010)

martedì 22 giugno 2010

Un partito sulla sabbia?!



Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandar!

Chissà se la vicenda possa scomodare proprio il vate fiorentino, però le parole di Virgilio sembrano se non altro calzanti!
Come spiegare, se no, il silenzio apatico (...o interessato?) che avvolge il congresso provinciale PD di Benevento?
Possibile che nessun si ponga domande, che nessuno apra un serio dibattito?

Eppure appare stranissima una fase congressuale in cui non si discute di idee e nemmeno ci si dà obbiettivi circa la strutturazione del partito, mentre invece si discute e ci si accapiglia con "sacrosante" ragioni su nomi ed organigrammi in vista delle prossime scadenze elettorali.

Si ha la triste sensazione di un congresso provinciale inane che, celebrandosi "a prescindere" dalla formale costituzione dei circoli cittadini, finisce inevitabilmente per auto-alimentarsi di quella eterna fase di transizione e di emergenza che caratterizza la vita politica del Paese.

Oggi, a più di due anni e mezzo dalla fondazione del PD, ci scontriamo con un fatto eclatante: i circoli cittadini nella provincia di Benevento non esistono ancora!
Ciò che ancor più stupisce è l'assenza della politica: nessuno ce ne spiega la ragione, nessuno se ne assume la responsabilità!

Una lista bloccata di cento nomi unitari: chi li ha scelti, con quali criteri, perchè, si è tenuto conto dei circoli?

Un segretario unitario: chi lo ha scelto, con quale criterio, che idee ha, dove vuole portare il partito, che impegni prende, costituirà i circoli?

Tante domande per ora senza risposta, per adesso una sola certezza: stiamo alzando i muri della casa senza preoccuparci delle fondamenta; stiamo costruendo un partito sulla sabbia!

Per questo suonano come macigni le parole del compianto Pietro Scoppola che ad Orvieto disegnava un partito democrativo dove elemento qualificante fosse" l’applicazione del famoso artico 49 della Costituzione", che delinea lo strumento-partito come mezzo per la partecipazioni dei cittadini alla vita politica "con metodo democratico" . E tuttavia, ad occhi aperti e con un realismo non cinico, Scoppola sottolineva, alla luce di questo obbiettivo alto, che occorreva prendere "atto dei passi oggi possibili" tenendo viva una "speranza più impegnativa" e giocandola "non contro il processo ma oltre, oltre questo processo oggi possibile, quando scelte più impegnative saranno necessarie."

Oggi queste scelte più impegnative sono diventate necessarie, improcrastinabili.

Non si può vivere sempre nell'emergenza, nell'attesa della distribuzione delle prossime candidature!

Occorre subito con coraggio, acume e risolutezza andare "oltre", coltivando quella "speranza più impegnativa" di un partito "democratico" che, aldilà dei personalismi e delle logiche meramente correntizie, sappia essere il partito nuovo che tutti desideriamo.

giovedì 17 giugno 2010

Un PD "oltre" per una speranza più impegantiva




Segnalo con piacere ed una punta di amarezza l'intervento di Samuele Ciambriello sul mattino del 16 giugno circa l'attuale stato del PD napoletano.

Si tratta proprio di un'analisi puntuale e realistica della situazione interna al partito napoletano che ben si attaglia anche a tutto il PD campano dopo le recenti regionali che ci hanno consegnato un csx inchiodato al 42 % non ostante i funambolici sondaggi pre-elettorali.

Aldilà di sterili recriminazioni tuttavia oggi occorre porre l'attenzione al PD.
L'analisi di Ciambriello è quella che tutti facciamo guardando un partito che rischia, come sottolinea Ciambriello, di avere come "democratico" solo il nome.

Quanta distanza tra i sogni e la realtà!

Nel 2007 Pietro Scoppola ad Orvieto disegnava un partito democrativo dove elemento qualificante fosse" l’applicazione del famoso artico 49 della Costituzione", che delinea lo strumento-partito come mezzo per la partecipazioni dei cittadini alla vita politica "con metodo democratico" . E tuttavia, ad occhi aperti e con un realismo non cinico, Scoppola sottolineva, alla luce di questo obbiettivo alto, che occorreva prendere "atto dei passi oggi possibili" tenendo viva una "speranza più impegnativa" e giocandola "non contro il processo ma oltre, oltre questo processo oggi possibile, quando scelte più impegnative saranno necessarie."

Oggi queste scelte più impegnative sono diventate necessarie, improcrastinabili.

O il PD sceglie con risolutezza la via del "metodo democratico" per la partecipazione dei cittadini alla vita politica o non rappresenterà più ciò che tutti sogniamo: un partito veramente nuovo!

L'alternativa sono i partiti "personali" (ed il PDL ne è icastico esempio...quello di De Luca ne è esempio più scialbo) dove populismo e leaderismo ammazzano ogni vero progetto votato al bene comune.

Come uscirne? Ciambriello indica una via: dare un'anima al PD!
Ma questo, realisticamente e senza cinismo, oggi non basta!

Oggi il problema del PD è anche a Roma, in una dirigenza nazionale che, votata in primis a guidare il processo di costituzione del PD, da decenni ormai non si rinnova, avendo come obbiettivo primario, se non unico, la propria autocoservazione.
In una situazione talmente ingessata e paralizzata del partito, tra veti incrociati e rigogliosi orticelli personali, la scossa vera potrà venire solo da una "rivoluzione" romana.

Da Bersani, che ho convintamente appoggiato alle scorse primarie, sto aspettando questo!

Non basta ribadire, come spesso sottolinea il mio- il nostro segratario, di aver inserito nella dirigenza nazionale tanti quarantenni!

Sono passati ben tre anni dal 14 ottobre 2007. Oggi, a qualche giorno dai congressi provinciali, tantissimi circoli locali in tutte le province campane ancora non sono formalmente istituiti. Il Pd napoletano è commissariato. Tanti circoli sono in mano ai placet ed ai desiderata dei signori delle tessere o di faide intestine.
Ciambriello ha proprio ragione. Così diventa difficile fare qualsiasi discorso partitico teso ad un reale rinnovo della classe dirigente.

La verità oggi è che l'unica vera rete dei circoli del PD rimane esclusivamente quella personalistica dell'attuale dirigenza campana che ha tutto l'interesse a mantenere lo status quo per conservare le proprie posizioni di privilegio, in vista di futuri ed incerti cambi degli umori elettorali o delle strategie di alleanze di altri partiti ovvero, peggio, della prossima "nomina" di deputati e senatori.

Per questo, e concludo cogliendo l'attualissimo invito di Scoppola, occorre subito con coraggio, acume e risolutezza andare "oltre", coltivando quella "speranza più impegnativa" di un partito "democratico" che, aldilà dei personalismi e delle logiche meramente correntizie, sappia essere il partito nuovo che tutti desideriamo.



Pd campano in coma che altro aspettare?
Samuele Ciambriello La sconfitta alle regionali, con calo consistente rispetto alle precedenti (con Ds e Margherita quasi al 30%), poteva essere per il Pd a Napoli occasione per una riflessione seria.
A distanza di più di due mesi, invece, non solo non si è aperta nessuna discussione ma continua una fasi di forte paralisi. È ancora rinviato il congresso provinciale per la nomina degli organismi dirigenti e del segretario provinciale. Non poca cosa, visto che parliamo di un bacino di quasi tre milioni di persone. C'è, a quanto mi risulta, un calo di iscritti rispetto all'anno precedente. A Napoli, ci troviamo di fronte ad un partito che da quasi due anni è commissariato, da Enrico Morando, torinese, eletto in Veneto, designato dal segretario Veltroni. La paralisi che blocca finanche la nomina del capogruppo in Consiglio comunale a Napoli è imbarazzante e mostra il volto di un partito che ha molte "anime", intese come correnti interne, ma che non riesce ad avere un'anima. Prigioniero di dinamiche localistiche e di corrente, il partito nato per cambiare l'Italia non solo non è adeguato per contrastare la destra, ma nemmeno per discutere della propria azione di governo locale. Eppure credo sia evidente anche ai cittadini meno avvezzi alla politica, che è autolesionismo puro continuare la competizione di correnti. È impossibile rilanciare la nostra azione politica se il Partito Democratico non supera i propri limiti. È indispensabile superare la logica del "partito liquido" per darsi forme più partecipative ed incisive di organizzazione e di rappresentazione della società, per fare dell'iniziativa politica tra e con i cittadini un impegno permanente. Per questo avverto, e penso di essere in buona compagnia, come non rinviabile il rinnovamento dei gruppi dirigenti. Un rinnovamento non anagrafico (o non solo), ma politico che individui con chiarezza le responsabilità di chi deve guidare il secondo partito del paese. Un gruppo dirigente scelto sulla base di criteri di capacità, credibilità, rappresentatività, etica della responsabilità e non in base al peso delle tessere "governate" da questa o da quella corrente. A Napoli, il commissariamento poteva essere giustificato come fase "ponte" che traghettasse il partito verso il rilancio e che gettasse le basi per un nuovo rapporto con i territori. Oggi, invece, si è paralizzati in un debole equilibrio di poteri di corrente. Un partito è vincente se ha la capacità di proporsi come "sindacato del territorio" che sa raccogliere gli interessi e i disagi delle comunità, senza inseguire il populismo che cavalca i sentimenti dell'antipolitica. Bisogna trovare il modo di promuovere le realtà locali e tutti gli attori del complesso tessuto urbano, avviando una nuova stagione della cittadinanza attiva. Recuperare lo spirito del 1993 quando la stagione dei sindaci destava entusiasmo e stimolava la partecipazione. Aspettare oltre significa rassegnarsi a morire lentamente. Significa rassegnarsi ad un partito che parla a settori sempre più recintati e ristretti della popolazione, perdendo il contatto con le nuove generazioni, con i bisogni vecchi e nuovi della nostra gente. Significa non esistere se non nei luoghi del governo amministrativo. E invece, solo tornando nella società per imparare di nuovo a conoscerla possiamo riconquistare il consenso dei cittadini. Ma per questo, non abbiamo bisogno di commissari, ma di dirigenti, seri, capaci e affidabili, selezionati attraverso le procedure democratiche di un partito che di democratico non può avere solo il nome. Samuele Ciambriello

mercoledì 2 giugno 2010

Contro il trionfalismo ecclesiale




Segnalo quest'articolo di un giornalista serio ed intelligente che scrive sulle colonne di Avvenire: Roberto Beretta.
L'ho trovato su un sito che consiglio a tutti di visitare: www.vinonuovo.it
In un momento di reale difficoltà della Chiesa gerarchica per gli scandali finanziari (vedi vicenda IOR con i recentissimi strascichi) e di pedofilia, ci vuole vero coraggio a scrivere queste cose e a parlare del trionfalismo ecclesiale.
Si rischia il linciaggio morale di qualche cane di Pavlov sanfedista!
E credetemi!....in giro ce ne sono di veramente insospettabili.
Io aggiungo che questo trionfalismo ecclesiale trova una profonda radice anche in una linea ecclesiale, vigorosa nell'episcopato soprattutto durante il papato di GPII, che, pur proponendo un messaggio evengelico dai forti contenuti, ad una attenta analisi degli atteggiamenti pratici e della sintassi applicativa, debordava spesso su una eccessiva attenzione all'efficacia del messaggio veicolato.
Ciò ha portato tanti esponenti della chiesa gerarchica a non coltivare sufficientemente la virtù della PRUDENZA che certamente avrebbe evitato tanti piccoli (es: caso boffo)e grandi (es: ior, padre meciel, pedofilia)scandali che solo oggi scopriamo.
Come uscirne?
Il Papa profeticamente ha indicato una via: penitenza ed espiazione!

Conclusione della pecora nera?
Grazie a Dio, la carità non avrà mai fine e la Chiesa non è solo nelle mani degli uomini ma anche è nelle mani di Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo!!!



a presto.




ROBE DI RO.BE.
A margine dell'ultima «piazzata»

di Roberto Beretta | 21 maggio 2010
Quando i cattolici scendono in piazza l’apologetica di contrattacco non manca mai: come se ci fosse sempre bisogno di un «nemico» (un complotto) cui replicare

Si è appena consumata l’ultima «piazzata» cattolica (anzi, del cattolicesimo italiano) e quindi non si fa danno a nessuno - soprattutto a quanti hanno organizzato il 16 maggio la giornata romana di solidarietà col Papa - se ci permettiamo qualche osservazione critica.

Uno. Tutti sanno i rischi insiti nelle manifestazioni di massa, che nella loro speciale retorica comprendono anche la compiacenza del contarsi («Avete visto quanti siamo?») e la tentazione della prova di forza. Il mondo cattolico – dai «baschi verdi» di geddiana memoria fino all’ultimo Family Day «elettorale» - ha già abbondantemente dimostrato di non saper affatto sfuggire a tale rischio.

Due. Stare accanto al Papa in un momento difficile sta bene, anzi benissimo; ma per dimostrare affetto in genere si usa una carezza: non si fa il braccio di ferro... Invece quando i cattolici scendono in piazza l’apologetica di contrattacco non manca mai: come se ci fosse sempre bisogno di un «nemico» (un complotto, un assedio) cui replicare a suon di truppe cammellate di movimenti & diocesi.

Tre. È palese quanto il genuino voler bene al Papa di tanta gente si presti purtroppo ad essere strumentalizzato (magari anche inconsciamente) dal trionfalismo ecclesiastico. Il presidente della Cei Bagnasco, in una recente intervista, dedicata proprio all’evento del 16 maggio, ha dichiarato: «Il rapporto degli italiani con la Chiesa è genetico»... Ma per piacere! Sembra di sentire il vecchio ritornello della «Francia figlia primogenita della Chiesa»: e - guarda caso, o (meglio) vendetta della storia ­- oggi Parigi è l’avanguardia della secolarizzazione in Europa!

Quanto meno trionfalista (e più cristiano) il monito che solo poche ore dopo lo stesso Papa lanciava a Lisbona: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista». Che stesse alludendo proprio all’Italia?

mercoledì 5 maggio 2010

OGNUNO PER SE



Ognuno per se: questa è la sgradevole sensazione che lascia la diatriba sui presidi ospedalieri di Cerreto Sannita e Sant'Agata dei Goti.
Veramente triste!
All'ombra della giusta battaglia per un diritto che a tutti deve sempre e comunque essere garantito, quello alla salute, lo spettacolo non è dai migliori.
Ognuno, come direbbe il caro Guccini, è "chiuso dentro ai sui egoismi vestiti di sofismi", senza che possa aspirarsi ad un discorso che ambisca ad unire le comunità territoriali telesine e caudine.
L'interesse particolare dei territori prevale su ogni tentativo di intavolare un discorso razionale sull'utilizzo delle risorse pubbliche in Campania.

L'altalena degli annunci è diventata quasi infernale.
Nel giro di pochi mesi a ridosso delle scorse elezioni regionali si sono rincorse decisioni contrastanti fino alla pilatesca conclusione di aprire subito il "Sant'Alfonso" di Sant'Agata lasciando aperto anche il "Maria S.S. Delle Grazie" di Cerreto, negando con una sola decisione tutti i discorsi sul deficit della sanità campana.
Non cè stato nessuno che si sia chiesto se era possibile o fattibile una simile decisione, nessuno che abbia sollevato la parvenza di un dubbio, nessuno che si sia assunto la responsabilità di mettere in guardia i cittadini: tutte le autorità, tutti gli amministratori e tutti i politici hanno semplicemente espresso soddisfazione per la soluzione "definitiva" (!?) della vicenda.
Perchè? Forse per quieto vivere, forse per indifferenza, forse per stupido interesse elettorale, forse perchè è bello pensare di avere la botte piena e la moglie ubriaca: tanti perchè che rivelano solo l'allarmante crisi politico-sociale delle nostre comunità territoriali estremamente frammentate.

Il diritto alla salute è di ciascuno ma è anche interesse della collettività, recita la costituzione: ciò significa che qualsiasi discorso sulla sua tutela individuale non può assolutamente prescindere dall'interesse della collettività, della comunità!
L'interesse della comunità è tuttavia reppresentato ed elaborato a vari livelli decisionali, secondo un principio di sussidiarietà.
Ciò significa, per il caso della spesa sanitaria, che il livello decisionale non risiede a livello comunale bensì regionale.
Vi sono pertanto precise responsabilità istituzionali di prendere decisioni e altrettanti precisi doveri istituzionali di conformarvisi.

C'è una logica perversa in questo continuo ed incessante perseguimento dell'interesse della singola comunità: una logica che non aiuta la crescità solidale di un piccolo territorio, quello caudino-telesino, che ben potrebbe candidarsi al ruolo di motore economico-culturale della provincia di Benevento.
Ad esempio, cosa costerebbe ai nostri amati amministratori della valle caudina e telesina, invece di paventare dimissioni o fomentare proteste, coordinarsi per chiedere alla Regione Campania in cambio di una diminuzione dei presidi ospedalieri territoriali che oggi appare inevitabile (!?), un aumento sul territorio dei presidi di guardia medica e del 118 ed un aumento degli stanziamenti per la spesa sociale, visto che gli ambiti B2 e B3 sono tra i meno finanziati a livello regionale con la legge 328/2000?

La tutela della salute, come diritto individuale e interesse della collettività, passa anche attraverso standard di qualità della vita ben più accettabili rispetto ad oggi!

Se poi, per allargare il discorso, si pensa che i vari comitati nati nel comprensorio caudino-telesino contro o a favore di questa o quell'altra iniziativa (Ospedale Cerreto, Ospedale Sant'Agata, Termovalorizzatrore di San Salvatore, discarica Tre Ponti di Montesarchio, Eolico ad Airola) non hanno vissuto fino ad oggi un reciproco sostegno e coordinamento, si deve concludere che queste battaglie non offono affatto una visione alternativa per uno sviluppo del Sannio. Questa visione complessiva e alternativa di sviluppo del territorio, ancora una volta, può essere data solo dalla Politica a cui i cittadini-elettori hanno la responsabilità di chiedere una visione organica dello sviluppo del nostro territorio perseguita con coerenza e lungimiranza.

Di qui la lezione per la "gente del Sannio": non basta organizzarsi per dire dei no o dei si, sia pur argomentati e ben informati, ma occorre un passo ulteriore, cioè un impegno serio e motivato (almeno quanto quello profuso contro questo o quel problema) nella/per/con la Politica e nei partiti per produrre una reale azione di cambiamento delle linee di sviluppo del territorio. Altrimenti il rischio è quello di impegnarsi per un interesse semplicemente localistico e non per il bene comune di tutti, restando perennemente sulle barricate senza costruire credibili alternative.

venerdì 5 febbraio 2010

Il ricambio della clase dirigente PD: perchè non De Luca.




Facciamo un punto sul PD campano.
Dal 1993 ad oggi l'esperienza di Bassolino ha segnato la vita politica del centro-sinistra campano:
oggi con la nascita del PD è una esperienza che nel bene e nel male risulta ancora decisiva.

E' sotto gli occhi di tutti che dopo Bassolino si è aperto un grande vuoto!

Un vuoto che sta cercando di riempire De Luca!

Tuttavia da questa vicenda dovrebbe emergere chiaramente la vera e grande, grandissima questione politica che dovrebbe scuotere il PD campano:
quella della classe dirigente creata dal bassolinismo fino ad oggi.

I 15 anni della grande esperienza di Bassolino ci hanno oggi regalato una classe dirigente di ex-figcini cinquantennni che, cresciuti a pane e partito, hanno preso in mano le leve dell'amministrazione regionale e provinciale, appiattendosi sul ruolo amministrativo a scapito del partito che si è sempre più ridotto, fino quasi ad evaporare.

In questi 15 anni il bassolinismo ha risucchiato nell'amministrazione regionale il meglio della classe dirigente del proprio partito: persone anche serie, preparate, meritevoli che purtroppo oggi hanno perso contatto con il territorio. Non più appassionati piccoli leader, ma freddi burocrati a caccia di consensi clientelari.

Il risultato è stato di svuotare il partito degli elementi migliori e più appassionati, appiattendolo sull'amministrazione del territorio.
Il partito ha smesso di essere camera di compensazione tra le istanze del territorio e la politica.
Il politico puro è diventato amministratore tout court, senza quella visione d'insieme e sensibilità che solo la politica ragionata e discussa nel partito può dare, anche perchè un partito non serve solo ad organizzare il consenso ma anche ad elaborarlo e a scegliere in un noi collettivo e condiviso.


L'esito del Bassolinismo è stata in fin dei conti la creazione di un partito personale e privo di idee, una perfetta macchina di creazione del consenso priva di passione ideale. Non di idee quelle ce ne sono ...eccome!
Alcune hanno anche avuto il merito di innovare radicalmente la macchina amministrativa regionale

Negli anni tutto questo si è tradotto in un progressivo restringimento delle prospettive politiche.

All'esito di questa politica ricca di idee ma priva di passioni ideali, sembra normale pensare aridamente che la chiave della svolta per il meridione, la chiave del cambiamento stia nel tecnicismo di POR, FESR, PASER ecc., dove a i più il messaggio arriva più o meno così: basta trovare il consulente che ti mette a posto le carte, il funzionario che chiude un occhio o forse due ed il politico che ti garantisce, e stai a posto.

Non ci sono idee alte,
prospettive per cui battersi,
tensioni morali a cui tendere,
passioni da coltivare.
Non c'è in definitiva più l'azione del partito (cioè di un noi colletivo) nella società.
C'è solo il partito del leader che è appoggiato nella misura in cui mi garantisce il necessario per la mia rete di consenso.
Di qui anche i tanti piccoli e grandi "tradimenti" di questo o quel politicante!

Per questo alla fine i più meritevoli staccati da quell'humus fertile che era il partito (il noi collettivo) e legati semplicemnete al leader, oggi sono diventati i meno meritevoli.
Le persone più appassionate sono state marginalizzate e non si è pensato con saggezza di integrarle in un partito vivo.
Questo è il lascito del bassolinismo al PD campano.
Non è stato creato un ricambio di classe dirigente del partito.
Discorso diverso andrà fatto per l'eradità che Bassolino lascia alla Campnia


A questo punto occorre chiedersi chi sia De Luca: un vecchio comunista che ha cavalcato l'onda dei sindaci come Bassolino, un buon amministratore che ha utilizzato a Salerno in sedicesimo lo stesso modus operandi bassoliniano.

Chiediamoci qual è lo stato del PD salernitano. E' una eccezione? o è una fotocopia del resto del partito campano?

Isaia Sales osserva che il 60 % del partito salenitano è composto da membri di partecipate ecc...persone legate al leader.
Una macchina del consenso oliata, quindi!
Che differenza c'è con Bassolino, quale discontinuità!!???

Alcuni anni fa De Mita, pronunciando un bel discorso sul ricambio della classe dirigente e sul rapporto tra giovani/vecchie generazioni, spiegava che il ricambio avviene per addizione e mai per sostituzione.

Qui invece assistiamo ad un ricambio, quello voluto da De Luca, che avviene appunto per mera sostituzione e, per giunta, con la prepotenza di chi si candiderebbe anche in presenza di un candidato unitario PD.

Ancora una volta il il partito-noi-collettivo è marginalizzato

Oggi il vero problema del PD campano non è quale leader scegliere, ma capire che occorre riannodare i fili di quel noi collettivo che è il partito nella società.

La scelta di De luca non va affatto in questa direzione.

sabato 23 gennaio 2010

Eolico, occupazione: nessun collegamento.




Seduta molto discussa all'ultimo consiglio comunale di Airola.
Tra i vari punti all'ordine del giorno in particolare è stato affrontato il progetto di costruzione di una fattoria eolica in località Monte Tairano, Monte Pietrapiana, Monte Saucolo, Monte Erta, Monte Cioppola, dei comuni di Airola, Moiano, San’,Agata dè Goti ed Arienzo, già committente Benfil s.r.l. ora Wind Electricity s.r.l

Come si ricorderà la questione della fattoria eolica di monte Tairano era stata al centro di un vivacissimo consiglio comunale aperto del 16 ottobre 2008, allorquando sembrava che la questione della fattoria eolica da 63 Mw progettata dalla Benfil fosse uno degli sbocchi dello stato di crisi occupazionale del comparto tessile industriale di Airola.

In effetti in quella sede emersero due notizie: da un lato che il progetto non aveva una ricaduta diretta ed immediata sulla situazione occupazionale del comparto tessile e dall'altro che la giunta comunale, con delibera di giunta n° 196/08 del 19.09.08, aveva in precedenza autorizzato l'istallazione di una stazione anemometrica in loco atta alla misurazione della forza del vento in vista degli studi di fattibilità del progetto.

In tale sede si chiarì inoltre che l'unico beneficio per la comunità locale sarebbe stato la sensibile diminuzione dei costi sostenuti dalla Benfil per la produzione che avrebbe in futuro permesso all'azienda di continuare a produrre ad Airola.

Tuttavia in questi giorni la Benfil ha comunicato la volontà di cedere alla Windy Electricity srl. il progetto della fattoria eolica sui monti di Airola.

Da informazioni reperite presso il registro delle imprese abbiamo appurato che la detta società è di fatto controllata dai medesimi assetti proprietari della Benfil,: il sig. Annunziata Giuseppe, titolare di svariate attività immobiliari ( SB IMMOBILIARE s.p.a. costituita il 01.03.2007, la TEXAN srl con sede a San Giuseppe Vesuviano cancellata il 30.01.2009)e manifatture tessili in Bergamo (BENFIL srl, TESSIVAL SUD srl, TESSIVAL srl, MANIFATTURA SATTA E BOTTELLI spa ).

Amministratore unico della Windy, il cui capitale risulta veramente esiguo (10.000 euro) per un progetto del genere, risulta il sig. Setteducati Salvatore, attuale procuratore speciale della Benfil e della Tessival sud, nonchè amministratore unico della GLOBAL SYSTEM SECURITY SOCIETA' COOPERATIVA che si occupa di servizi di investigazione privata e liquidatore della GENERAL ELECTRICAL SECURITY scarl in liquidazione dal 10.12.2007 che si occupava di produzione, trasporto commercio di energia elettrica.

La Windy Electricity srl risulta essere iscritta ed attivata presso la Camera si Commercio di Benevento a partire dal 16.07.2009, mentre la sua costituzione risale al 22.02.2005 essendo tuttavia nel frattempo rimasta inattiva.

Il suo attuale amministratore, sig. Setteducati, risulta nominato a partire dal 01.09.2008: data antecedente al consiglio comunale aperto dell’ottobre 2008 nel quale si ipotizzavano possibili e future ricadute occupazionale dell’investimento, nonchè alla delibera della giunta airolana n 196/2008 del 19.09.2008 con la quale veniva autorizzata l’istallazione della stazione anemometrica.

Non c’è che dire: una vicenda che parte proprio da lontano…dal 2005, quando da poco era partita la produzione della TESSIVAL SUD ad Airola!

Per la verità, ciò che emerge da tali informazioni sembrerebbe proprio la ferma volontà di investire ad Airola a puro ed esclusivo vantaggio della proprietà, non essendo la Windy ricollegabile in alcun modo alla produzione tessile né tanto meno essendo una società controllata da Benfil.

Allo stato il progetto della fattoria eolica di Airola risulta semplicemente depositato presso le competenti strutture regionali in quanto soggetto al procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 L 287/2003.
Risulta inoltre ancora in attesa di Valutazione d’Impatto Ambientale ed in particolare di nulla osta idrogeologico in quanto i terreni individuati risultano sottoposti a vincolo idrogeologico da parte dell’Autorità di Bacino del Liri-Garigliano. I tempi si preannunciano lunghi e complessi.

Preso atto della situazione, nell’ultimo consiglio comunale del 20 gennaio 2010 all’unanimità è stata votata una risoluzione in cui l'Amministrazione tutta si è detta assolutamente contraria al progetto della Windy in quanto non porta alcun beneficio alla collettività, riservandosi comunque la possibilità di sottoporre al preventivo esame del Consiglio stesso (ed eventualmente al giudizio dei cittadini con un referendum) progetti di fonti energetiche alternative che possano risultare convenienti.

Soddisfazione è stata espressa da tutti i consiglieri comunale del parlamentino airolano con la sola eccezione del consigliere UDC Grasso i quale ha sottolineato come a questo punto si renda necessaria la revoca dell’autorizzazione concessa per l’istallazione della stazione anemometrica sul monte Tairano.

Chi vivrà vedrà! Ci saranno sicuramente ulteriori sviluppi.
Resta comunque l’amaro in bocca per una situazione in cui i circa 400 operai cassaintegrati del gruppo TESSIVAL/BENFIL rischiano la messa in mobilità, mentre la proprietà del gruppo cerca di concretizzare un progetto irrealizzabile a prorio esclusivo utile, senza apportare alcun beneficio concreto al territorio caudino.