domenica 22 novembre 2015

Dopo Firenze

Vivere il Convegno Nazionale Ecclesiale a Firenze è stata un grande emozione, non solo per lo stile semplice e fraterno delle relazioni vissute, specie con la mia delegazione diocesana e gli amici del mio tavolo N1. Ho potuto in effetti toccare con mano quanto sia importante il confronto ecclesiale. Qualcuno mi dirà: “A Firenze abbiamo ascoltato le stesse cose di Verona o Palermo”. Beh, non c’ero e non potrei giudicare. Tuttavia mi è possibile condividere ciò che ho vissuto e ciò che mi porto a casa.
Innanzitutto ho vissuto da delegato alcune sensazioni molto forti.
La prima è stata la grande emozione della Cattedrale di Santa Maria in Fiore durante il discorso del Papa, interrotto da quasi trenta applausi. Francesco ha dato alla Chiesa italiana tre consegne: umiltà, disinteresse e letizia. L’ha anche messa in guardia da due pericoli: il pelagianesimo e giansenismo. Un discorso all’altezza delle nostre aspettative.
L’altra sensazione è stata quella di un clima “senza pretese”. Molti di noi avevano i piedi ben piantati in terra. Il convegno è stato un momento importante di passaggio. Tutti ne siamo stati consapevoli, ma tutti sapevano che non doveva e poteva essere risolutivo. Ci aspettavamo l’indicazione di una strada e così è stato. Un esito importante. In questo senso è stato un Convegno molto “a misura” d’uomo.
Infine l’ultima sensazione colta è stata quella di toccare la volontà di tutti di essere costruttivi, impegnandosi a far riuscire il Convegno. Nessuno ha voluto prevalere – parlo almeno per le discussioni a cui ho partecipato- e tutti volevano con-dividere e confrontarsi sinceramente.
Dal punto di vista strettamente ecclesiale, guardando alle relazioni di Nosiglia e Galantino, appare evidente che l’intento era quello di acquisire un metodo ed uno stile, quello che abbiamo chiamato sinodalità.
In effetti quello che si è respirato nei gruppi è stato proprio questo: un voler camminare insieme laici con presbiteri, presbiteri con presbiteri, laici con laici. Ad esempio nel mio tavolo c’era un vescovo, un sacerdote,una suora, due membri di Cl, due dell’Ac e persone impegnate nel sociale con progetti di affido e case famiglia. E’ un aspetto che ho messo a fuoco anche dopo nell’ultimo incontro MEIC in diocesi. In effetti sinodalità non è solo camminare insieme laici e presbiteri, ma anche che camminino insieme tra laici oppure tra sacerdoti. In questo senso occorre superare le reciproche “indifferenze” dell’uno rispetto all’altro.
Il clima respirato ha quindi dimostrato che con impegno e cura, è possibile raggiungere un frutto di reale condivisione. Mi si dirà che il convegno ha prodotto una marea di chiacchiere e di carta. E’ vero. Anche io fatico oggi ad orientarmi tra tutte le relazioni. Tuttavia tutti ce ne siamo andati con la decisiva sensazione che tra quelle chiacchiere e quella carta c’è un pezzetto a cui anche noi abbiamo contribuito. E’ una conquista di non poco conto! Infatti partecipare ai processi di analisi e sintesi è uno dei paradigmi più importanti del sentire attuale. La Chiesa Italiana a Firenze, mettendo  2200 persone a discutere in tavoli da 10, ha dimostrato di saperlo fare, facendosi esempio e paradigma per tanti.
Sarà difficile dopo Firenze, affermare nella concretezza pastorale delle nostre comunità che queste modalità “partecipative” non sono possibili. Ormai penso che a Firenze un dato sia stato acquisito.
Quanto infine al concreto della mia via, ero nel gruppo Abitare.
Abbiamo discusso di alcune cose che poi sono tornate nelle relazioni finali. Ne estrapolo alcune che sono di mio maggior interesse. Innanzitutto è emerso che abitare vuol dire stare nelle relazioni e conoscere il proprio territorio. Abitare significa non sentirsi “i padroni” del mondo. Abitare è anche accogliere le diversità. Abitare è infine accompagnare.
Un verbo quest’ultimo che si declina anche nell’accompagnamento di quelle “povertà per noi inaspettate”, come quelle di chi si impegna in politica o nel campo produttivo come gli imprenditori. Sono realtà a cui spesso chiediamo cose, ma che non accompagniamo come comunità ecclesiale con vicinanza fraterna e stile amicale.
Tra tante cose è emersa anche l’indicazione di una concreta prassi, quella della trasparenza. Così la relazione finale del mio gruppo Come cristiani non dobbiamo sentirci padroni ma amministratori dei beni che abbiamo e dei luoghi che abitiamo e lo dobbiamo fare con uno stile di trasparenza”
E’ una riflessione che ha trovato eco anche nella sintesi finale del prof. Fabris: Emerge la necessità di un impegno diffuso, di un cristianesimo vissuto a tutti i livelli e testimoniato quotidianamente, nella trasparenza dei comportamenti. Questo chiede anche un uso dei beni e di ciò che la Chiesa amministra secondo la radicalità evangelica”
Non mi soffermo oltre, anche perché in termini di proposte e dibattiti i documenti prodotti dal convegno ecclesiale di Firenze sono più che esaustivi. Voglio però concludere con due episodi che mi hanno dato da pensare. Un vescovo in una discussione ci fa: “Siamo costretti a ripetere cose che sono già scritte nei documenti e nei codici!” ed un altro vescovo fa: “Mi sembra di sentire le stesse cose di Verona e del Concilio!”.
Ci ho pensato molto a queste parole. Magari come qualcuno ha detto in plenaria, potremmo “sentirci allora inutili”. Il nostro sarebbe stato un “convenire” sterile. Penso invece che parlarsi, dirsi le cose, convincersi del sentire comune dei più sia un importante puntello all’azione pastorale che siamo chiamati a coltivare nelle nostre comunità. Adesso siamo tutti chiamati, laici religiosi e presbiteri ad attuare le indicazioni di Firenze,specie per un cammino di sinodalità e trasparenza, sempre più vicino alla vita della gente.

Allora la domanda che rivolgo a me stesso per prima e poi a tutti noi - Chiesa radicata nella mia Nazione, nella mia Regione, nella mia Diocesi e nella mia parrocchia - è la stessa che ho ascoltato, sulle note di Laura Pausini, qualche sera fa durante un momento di riflessione sull’insensatezza del terrorismo, organizzato dai giovani di Ac nella mia parrocchia: “ma che senso ha ascoltare e non cambiare!?”

lunedì 24 agosto 2015

Verso Firenze 2015

Essere delegato al Convegno Nazionale di Firenze per la mia piccola Diocesi è un impegno stimolante che mi spinge in questo periodo  a riflettere molto sul momento attuale della Chiesa italiana, dal mio piccolo punto di osservazione  di laico da sempre ecclesialmente impegnato, da qualche tempo prestato alla “vita da militante” di uno dei tanti vituperati partiti politici. In un piccolo paese del sud.
Nato in un contesto ecclesiale diverso, ancora segnato dall’approccio che voleva una Chiesa “presente” nel dibattito pubblico con un preciso programma valoriale incentrato sui cd “valori non negoziabili”, oggi il Convegno fiorentino promette di essere una nuova “Loreto 1985”. Il dibattito ormai è aperto. Tutti ci chiediamo cosa emergerà da questo dibattito pubblico della Chiesa italiana. Si preannuncia un intervento di papa Francesco il 10 novembre che segnerà sicuramente una svolta. La stessa organizzazione dei lavori promette una discussione ampia tra i delegati da tutte le diocesi d’Italia. Quale svolta ci attende? Può essere un ritorno a prima di Loreto, come alcuni possono augurarsi? Non credo. Dobbi9amo sintonizzarci sui tempi nuovi che non sono quelli di Lazzati, Scoppola, Sorge e Bartoletti.
Intanto mi sembra utile riportare alcuni umori raccolti in giro per le parrocchie della mia diocesi.
Infatti in diocesi abbiamo già riunito alcuni operatori pastorali per riflettere e lo faremo anche nel prossimo convegno diocesano. Anche i sacerdoti hanno riflettuto tra di loro. Dai primi incontri a cui ho partecipato, per portare a Firenze il pensiero di tutti e non il mio, ho visto in molti laici - quelle persone semplici che dedicano il proprio tempo libero ed i propri personali sacrifici alla pastorale, costituendo l'asse portante delle nostre parrocchie- un forte interesse per questo momento ecclesiale. C’è stato entusiasmo nel riflettere nei gruppi sulle cinque vie che animeranno il dibattito nel convegno. Soprattutto ho letto in tutti una grossa fiducia in papa Francesco e nella coerenza dei gesti che lui sa impersonare. In molti c’è la presa di consapevolezza che come laici non dobbiamo farci condizionare dalle culture dominanti e dobbiamo prendere l’iniziativa senza aspettare di poter essere una massa, proprio  nella logica del piccolo gregge e nella consapevolezza che la nostra grande forza è la conoscenza del nostro territorio. Una conoscenza che ci permette di abitarlo facendoci prossimi a tutti. C’è tanta voglia di uscire dalle sagrestie! In alcuni è emersa la voglia di comprendere come possano costruirsi relazioni che scoprano “una gioia della gratuità solida e duratura?” (la seconda domanda della via Educare). Aspettano le risposte di Firenze! Molti chiedono di moltiplicare i momenti di riflessione e ascolto comunitario della Parola. Del resto posso testimoniare tangibilmente che nella mia piccola realtà parrocchiale spopolano i gruppi whatapp tra i fedeli. C’è quello del coro, quello dell’AC, quello dei giovani, quello della parrocchia e della messa domenicale. Piccole iniziative come quella di condividere la parola del giorno e una breve riflessione riscuotono molto successo. Insomma: vedo nella base del laicato un clima ecclesiale vivace e non spento. Restano tuttavia per lo più intatte le “tare” del mondo cattolico più impegnato e di elite, anche se dobbiamo pur ricordare con Mario Pomilio che: “E’ difficile per il cattolico affrancarsi del tutto da una timidezza che lo rende esitante a muovere i propri passi da solo e gli fa dimenticare che, se siamo fatti liberi, teologicamente di perderci, saremo liberi mondanamente di sbagliare. E’ difficile smuoversi dalla preoccupazione di testimoniare Dio o, peggio, dall’orgoglio di parlare in nome di Dio….il cristiano è ancora presa dell’antica debolezza di non osare i propri passi nel mondo senza un rapporto oracolare con l’a priori; nelle battaglie del mondo egli pare voler portare con se l’Arca Santa, come l’antico Israele…(Mario Pomilio, Scritti cristiani pag 53-54).
Questi brevi spunti ed altri ancora che verranno dalla mia comunità ecclesiale nei prossimi mesi, saranno il bagaglio che porterò con me a Firenze.
Personalmente ritengo che il Convegno nazionale dovrà dare la risposta di oggi alle grandi sfide epocali che sono maturate in questi venti anni nella società italiana. Quali sono queste sfide?
La risposta ancora una volta è nell’agire di papa Francesco. Chiediamoci perchè riscuote questo grande successo nella base ecclesiale. La mia risposta è: perchè papa Francecso con i gesti interpreta queste nuove sfide. Un Papa che, così costruisce una leadership non solo spirituale ma anche popolare, in quanto il popolo che lo ascolta si sente letto ed interpretato dalle sue parole e dai suoi gesti, trovando le risposte alle proprie domande.
In effetti il Papa ha messo al centro un metodo, impostando il suo pontificato sul principio di sinodalità, riscoperto in quella serata emozionante quando si presentò come vescovo di Roma. Un principio che anche lui mostra di aver imparato nella prassi pastorale, partendo da posizioni diverse. Ora lo insegna e si sforza di metterlo in pratica, correndone i rischi. In ambito laico e mondano questo principio di sinodalità possiamo tradurlo con il principio di partecipazione democratica. Oggi la Chiesa italiana è quindi chiamata a promuovere in tutti i livelli proprio questo principio che chiameremo ab intra sinodalità ed ad extra “partecipazione democratica”. Se ci facciamo caso è anche il fulcro del discorso su De Gasperi di Mons. Galantino. Pertanto già oggi la Chiesa potrebbe osare di dare un criterio ai cattolici impegnati in politica: impegnatevi solo in quelle formazioni politiche dove è garantito realmente il principio di partecipazione democratica e, nella legittimità della battaglia politica, non mettetevi al servizio dell’interesse personale dei capi ma dell’interesse del popolo. Questo è quindi quanto al metodo!
Veniamo invece ai contenuti, alle priorità di questo impegno.
Infatti l’enciclica “Laudato Si” contiene un passo che secondo me è la chiave di volta che apre uno squarcio sul futuro. Eccolo:” oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.”
Si saldano allora i due principi tanto cari a molti: tutelare l’ambiente/il creato e affrancare gli uomini dalla povertà. Due principi che, grazie all’insegnamento di papa Francesco, hanno ri-conquistato pari importanza dei cd valori non negoziabili (vita famiglia educazione). Valori importanti ma lontani purtroppo dalla scala delle priorità di un popolo in crisi valoriale ed economica. Francesco ha il merito di averli illuminati con la sua prima enciclica ecologica, sintonizzando la Chiesa sul sentire del popolo, scoprendo il nesso tra queste due grida (quello della terra e quello dei poveri) e indicandoci quindi due strade sicure e prioritarie di impegno: sinodalità e attenzine al grido della terra e dei poveri.
Spero tanto che a Firenze se ne ragioni con lucidità, anche perché la crisi economica di oggi è prima di tutto crisi valoriale legata alla incapacità delle attuali classi dirigenti, figlie e schiave di un contesto sociale superato, di saper leggere ed interpretare i segni dei tempi nuovi e della crisi. Crisi in cui noi laici cattolici fino ad oggi abbiamo avuto una precisa responsabilità omissiva, restandocene nelle nostre parrocchie, forse incapaci di superare le timidezze, preoccupazioni e orgogli che indicava Pomilio nel 1978 e delegando infine troppo alla gerarchia.

Dio sa quanto un’Italia, soffocata da personalismi  populismi e sfiducia,  ha bisogno di trovare il bandolo della matassa ed uscirne! Se la Chiesa italiana – soprattutto i suoi laici!- esce dalle sagrestie abbandonando pulpiti e lamentazioni, proprio sulle orme indicate da papa Francesco, sarà la prima candidata a guidare gli italiani verso l’uscita dalla crisi, insieme a tutti, per dare un metodo ed un obiettivo alla società dei prossimi venti anni. Ne discuteremo a Firenze.

mercoledì 12 agosto 2015

sul mattino


martedì 11 agosto 2015

PER UN'ALTERNATIVA DEMOCRATICA


La segreteria provinciale uscente – aldilà di limiti evidentissimi a tutti- è una tappa “comunque” positiva del cammino di costruzione del progetto democratico nel nostro territorio. Adesso però occorre crescere, maturare, migliorare responsabilizzandosi. E' finito del resto il tempo delle ipocrisie. Basta con la retorica dei 78 circoli! Il segretario ha fatto il suo dovere. Quello che chiunque poteva fare. Nulla di eccezionale. Troppe questioni non sono state affrontate per tenere in piedi una inutile unitarietà e non disturbare i maggiorenti. Se questo è un merito!? Infatti, molti di questi circoli sono la naturale prosecuzione di precedenti esperienze politiche, specie di sinistra, e non tutti i 78 circoli sono vivaci luoghi di dibattito e confronto. Spesso hanno difficoltà ad emanciparsi dalle dinamiche "amministrative" locali - non per demerito dei dirigenti locali - nella assenza compiacente della federazione ligia al motto: non si disturba il manovratore. Potrebbe sembrare un discorso un po duro? In fondo oggi esprimiamo l'unico rappresentante del Sannio in Regione ed al Governo, nonchè tutti i sindaci dei maggiori centri. Emerge invece il rapporto stridente tra questa forza “amministrativa”, che ci ostiniamo ad intestare al partito, e il dato politico. Infatti dopo le ultime tornate elettorali (2013,2014,2015) in cui il partito si è misurato con la pubblica opinione, dobbiamo registrare nel Sannio l'aumento dell'astensionismo e l'avanzata del populismo demagogico grillino che non abbiamo contenuto. Un trend nazionale!? E' una semplificazione sterile. Benevento gode di una condizione “politico-amministrativa” unica in Campania che la chiama a dare di più alla causa democratica! In effetti se ogni dato negativo trova spiegazione nel trend nazionale e quelli positivi nella nostra azione locale, qualche problema di analisi ci sarà o no!? Parliamo di numeri e fatti. Ad esempio, a Benevento città M5S è primo partito, raccogliendo una non irrilevante messe di preferenze. Dismessi i panno del un movimento, i grillini stanno diventando un partito strutturato. Non mi pare una strategia vincente ignorali, pensando che il tempo li sgonfi. In effetti c'è un voto d'opinione "volatile" che si muove indifferente alle dinamiche del voto organizzato e di partito. Noi non lo intercettiamo, accontentandoci – consapevoli della deflagrazione del centrodestra sannita- di fare scouting tra amministratori locali per conservare rendite di posizione. E' evidente che abbiamo il ruolo della Dc dei bei tempi, ma non la sua forza mobilitante nell’elettorato. In sostanza corriamo il rischio di ricordare questa fase politica come quella di un partito senza una vera leadership popolare, ingabbiato in logiche personali di stampo amministrativo che coinvolgono qualche sindaco e qualche dirigente. Ma nulla più!. Del resto molti temi dirimenti per i nostri concittadini - politiche sociali, l'ambiente, turismo, il lavoro o la cultura- vengono lasciati al buon cuore degli appassionati – e ce sono eccome tra i dirigenti locali che ho conosciuto in questi anni!-, senza esiti nell'azione politica concreta che viaggia su dinamiche valoriali autonome e forse arbitrarie. Manca in sostanza una azione collettiva efficace "del partito" che amministra tutto in provincia. Vediamo sforzi lodevoli dei singoli, ma niente più! I fatti restano lontani. Invece con questa forza “amministrativa” dovremmo avere la forza e la capacita di rivoltare questo territorio come un calzino. Invece solo azioni di singoli a cui battiamo da soli le mani, nel disincanto della pubblica opinione. Mi chiedo: qual è la nostra azione "collettiva" sugli Ambiti sociali? Oppure sulle tante aggressioni che la nostra terra ha subito dall'eolico alle ecoballe, dalle trivellazioni all'inquinamento dei corsi d'acqua? Ci sono poi temi del tutto ignorati. Sulla crisi occupazionale di Airola - la più importante in provincia con circa 400 cassintegrati - ad esempio la federazione è stata assente in tutti i passaggi. Oppure: qual e' la nostra riflessione “comune” sui recenti dati dello Svimez? Non basta organizzare kermesse improvvisate e calate dell'alto, senza il minimo coinvolgimento della base. Abbiamo o no la consapevolezza di dover rappresentare nelle istituzioni anche chi non ha votato? Non è un discorso di nomi - per me tutti vanno bene purchè abbiano idee- ma di impostazione politica e di obiettivi. Coinvolgere tutti è faticoso ma è l’unica strada che porta ad un movimento collettivo che riaccenda la speranza. Abbiamo il coraggio di affaticarci in questo percorso con una pazienza operosa?! Fino ad oggi non l'ho visto questo coraggio, nè questa speranza. Penso che ormai, per maturare come organizzazione, occorra battersi per costruire una reale alternativa ai limiti dell'attuale gestione del PD sannita che ho indicato. Non bisogna invece coltivare ostinazioni unitarie che possono trovare la loro sintesi solo in percorsi "realmente" partecipati, oggi assenti. Cominciamo da subito allora, rinnovando i metodi e responsabilizzando la base. La sopraggiunta incompatibilità del segretario che nbe imporrebbe le dimissioni immediate che stranamente tardano ad arrivare, apre una nuova fase di ricambio di cui già si discute – come si usa, in sedi private- tra dirigenti da tempo. Un ricambio che non deve essere di nomi ma di idee. Allora, , prima di accingerci a votare il nuovo segretario di Federazione, non perdiamo l'occasione: apriamo una rinnovata fase di ascolto ed elaborazione nelle assemblee di circolo sui temi che interessano il territorio per individuare il profilo di un nuovo segretario che impersoni una fase di vero rinnovamento, costruendo una leaderschip popolare ed inclusiva, perché nata dal contributo di tutti. Immaginiamo un PD alternativo!. Sarebbe un momento di vera e reale crescita democratica dell’organizzazione. Coinvolgiamo tutti, senza rendite di posizione e accordi preconfezionati. Poi vengono i nomi e le kermesse con nomi altisonanti. Sarebbe utile e veramente saggio. Un primo vero segno di discontinuità e vero rinnovamento

martedì 30 giugno 2015

Si ha paura di ciò che non si conosce

Si ha paura di ciò che non si conosce.
E’ una constatazione saggia che tutti sappiamo fare nelle varie circostanze della vita quotidiana.
La saggezza però in tanti di noi sparisce quando si approccia ad un tema caldo come quello dell’immigrazione.
In effetti nei nostri piccoli paesi, alle prese con i flussi di migranti da ospitare, nell’ambito delle operazioni di salvataggio nel Mar Mediterraneo si sparge ogni giorno in alcuni la diffidenza, in altri la netta contrarietà ad ospitare questi stranieri che non si conoscono.
Passavo in bicicletta l’altro giorno per le strade del mio paese e vedevo a piazza Vittoria un gruppetto di africani e a piazza Lombardi un gruppetto di rumeni. Tutti rigorosamente per se e tra di loro a parlottare.
In alcuni scene come queste generano diffidenza, in altri indifferenza, in molti rifiuto, in altri domande sul che fare.
Perchè?! Si ha paura di ciò che non si conosce.
Personalmente sentivo un sentimento di timidezza nell’allacciare rapporti, avrei voluto fermarmi a parlaci ma non sapevo proprio come fare. Un sentimento che vincerò! Intanto se li incontro al supermercato sono ben lieto di salutarli e scambiarci due chiacchiere.
Il fatto è che forse è giunto il momento di interrogarci e riflettere su come adottare una politica per la integrazione in Valle Caudina.
Certo occorre distinguere: ci sono stranieri irregolari , i richiedenti asilo , quelli che hanno un lavoro e infine  gli stranieri minori non accompagnati.
Ognuna di queste persone “straniere” si porta dietro una storia personale e un bagaglio di diritti e doveri legati alla propria condizione. Non tutti naturalmente possono restare in Italia, ma molti per un tempo più o meno lungo saranno nostri ospiti, a causa di una emergenza che certamente non abbiamo determinato noi italiani.
E’  un problema che le comunità locali devono iniziare ad affrontare istituzionalmente, non solo affidandosi al buon cuore di tanti.
Cosa possono fare allora le Istituzioni?
Dotarsi di strutture e acquisire competenze, come ad esempio ad Airola dove sta per sorgere nell’ex-macello un centro di servizi per gli immigrati che coprirà le esigenze dell’Ambito B3.
Soprattutto le istituzione devono tenere continui e reciproci contatti.
Quanto all’emergenza di questi giorni  che ha ricadute anche in Provincia di Benevento con l’apertura di centri per i richiedenti asilo in vari paesi, è importante, in assenza di auspicabili modifiche normative nel senso di un coinvolgimento maggiore delle comunità locali, rendere protagonista il ruolo del Consiglio Territoriale per l’Immigrazione istituito preso la Prefettura.
In effetti sarebbe saggio da parte della Prefettura dare ai cittadini dei centri interessati tutte le informazioni di competenza.
Ci sono state gare? Chi le ha vinte? Con quali progetti? Per fare cosa?Quanti saranno gli immigrati ospitati? cosa possono fare le Comunità locali, le associazioni etc per accogliere i migranti?
Sono notizie che le Prefettura deve assumersi la responsabilità di dare direttamente alla cittadinanza, senza ingenerare con questa omissione, esasperanti ed inutili dispute locali che vedono protagonisti sindaci e consigli comunali (coma abbiamo visto a Paolisi, Castelvenere, Cerreto Sannita ) spesse volte assurdamente privi di poteri nella gestione del fenomeno migratorio. Si cominci da subito, convocando il CTI di Benevento, viste le insistenti voci di apertura di nuovi centri.

Solo una cittadinanza consapevole, potrà essere realmente accogliente, cogliendo l’obiettivo della integrazione.


giovedì 26 marzo 2015

Quello che avrei voluto dire in Direzione provinciale

Domenica a Torrecuso c'ero.
Ho ritenuto giusto esserci sia per la rilevanza degli argomenti trattati dal partito, sia per aver partecipato in prima persona, grazie all'amico Simone e alla compagna Laudato, ad alcuni dei momenti di discussione programmatica del Partito sannita in tema di Politiche Sociali e Cultura. Sul secondo punto in discussione in direzione (le cd “candidature”) il mio pensiero  si avvicina molto a quello dell’onorevole Giovanni Zarro, voce serena e pacata del nostro partito. Ho invece chiesto di intervenire in Direzione sul primo punto all'ordine del giorno riguardante i temi programmatici della campagna elettorale. Intervento in prima battuta accordatomi gentilmente dal Presidente Insogna, al quale poi, su richiesta dello stesso Presidente, ho rinunciato. Per questo, a costo di apparire un incauto, ritengo doveroso comunicare pubblicamente ciò che in direzione avrei illustrato, nella consapevolezza di non avere in tasca la verità, ma un contributo di elaborazione si. 
In effetti non si tratta solo di disegnare una regione non napoli-centrica - argomento usurato e comune alla destra- oppure perdersi in tecnicismi  che sono anche importanti ed indice di una forte competenza amministrativa dei democratici. Si tratta anche si avanzare una proposta di una Regione vicina ai cittadini con lo smartphone in mano, quelli che twittano e si informano. Una proposta che scenda tra la gente
Allora mi sembra che il partito debba  dire tanto “anche e in aggiunta” su alcuni altri temi molto concreti e dirimenti per ora lasciati in sordina ed alla sensibilità dei singoli democratici , come Abbate, Refuto o Ciambriello, quest’ultimo stranamente senza deleghe in segreteria.
. Temi importanti al fine di arginare l’avanzata del populismo grillino nel Sannio e l’inevitabile crollo di affluenza legato anche ad una politica che in generale sembra sempre più autoreferenziale Li elenco.
La questione ambientale.
Si tratta  di questioni concrete molto concrete: ad es.  il biodigestore di Telese, la discarica Tre Ponti di Montesarchio, Toppa Infuocata, Sant’Arcangelo Trimonte, lo STIR di Casalduni, gli impianti a Molinara, le pale eoliche nel Tammaro, la cava di Durazzano, i rifiuti tombati a Sant’Agata dei Goti, la bonifica dei nostri corsi d'acqua, il catasto degli scarichi. Questioni che non si riducono al semplice NIMBY, ma ad diffuso e crescente senso di rispetto collettivo per l’ambiente, nè tanto meno alla critica legittima e serrata alla legge regionale sui rifiuti che per alcuni aspetti barricaderi ci restituisce l’impressione di un arroccamento sulla difesa di rendite di consenso. In effetti è sotto gli occhi di tutti una diffusa cultura del rispetto ambientale che si sta affermando tra i cittadini del Sannio più che in altre zone della Campania. De Luca su questi temi è chiaro. Io c’ero e l’ho sentito parlarne al Filangieri a Napoli (dove l’unica citata per l’impegno contro l’eolico è stata la coraggiosa Giulia Abbate che si è distinta in queste battaglie) e al teatro di Airola. Il partito cosa ha da dire su questo? Vogliamo lasciare il tema ai grillini?
Le politiche del lavoro.
Abbiamo vere e proprie urgenze come quella dell'ex polo tessile di Airola. A fianco a questa ci metto poi tante emergenze su cui l'amica Galdiero della CGIL si spende giornalmente oppure quelle affrontate da Abbate in Commissione Trasparenza (Maugieri, Consorzi rifiuti, Consorzi Bonifica, centro R). Può mai essere possibile, a titolo di mero esempio, che solo il circolo di Airola, vox clamantis in deserto, abbia detto a Caldoro che non può impiegare 7 milioni di fondi pubblici per una impresa, la TTA di Airola, senza prevedere minime forme di possibile re-impiego della manodopera cassintegrata?! Lo Stato lo ha previsto nel bando del MiSe, come lo stesso Comune di Airola che ha avviato in solitudine la re-industrializzazione grazie alla caparbietà di Napoletano. La Giunta fallimentare di Caldoro no! Lo abbiamo sottolineato quando Caldoro è venuto ad Airola il 24 ottobre scorso con un manifesto che ha fatto discutere tanti. Un manifesto datato che rivendico con fierezza insieme ai miei dirigenti, avendo ricevuto il plauso dal solo onorevole Cozzolino e il “biasimo” da troppi. Cosa dice il partito provinciale su questi temi?
La trasparenza e legalità.
La Regione oggi è imbrigliata in un complesso normativo-regolamentare troppo complicato, che si interseca con la programmazione europea. Un complesso da semplificare nel quale può facilmente annidarsi l'illegalità. De Luca lo ha capito e ha detto che non chiederà voti ai criminali! E noi?! Sono un lettore affezionato delle relazioni semestrali della DiA dove trovo scritto da un pò che nel Sannio c'è la camorra che si occupa di appalti, usura ed estorsione. Una camorra con nomi, cognomi e sentenze di condanna.  Ne abbiamo parlato lo scorso anno nel circolo con l’amico Amleto Frosi di Libera. Sono temi che lambiscono anche la politica. Il partito democratico, prima forza del Sannio, non ha nulla da dire su questo?
Concludo invitando gli amici e compagni democratici del Sannio a riflettere “anche” su questi temi con un metodo partecipato, come ad esempio quello seguito dall'amica Laudato, inserendosi nel percorso programmatico del candidato governatore De Luca. Dovremmo del resto coltivare l’obiettivo concreto di porre argine al grillismo ed al calo di affluenza, attraverso una impostazione programmatica meno tecnicistica e più ancorata “anche” alle aspettative dei sanniti su temi dirimenti come  ambiente, lavoro e legalità. E’ l’impostazione vincente sul piano politico, come l’esperienza di De Luca sta dimostrando e confermerà lunedì 8 giugno. Forza PD!






domenica 22 febbraio 2015

Perchè Renzi non interviene?!

Già: perchè Renzi non interviene in Campania?!
Domanda legittima che implica tuttavia un passaggio preliminare.
Lo scorso febbraio il segretario del PD ha scelto di andare al governo, stringendo un patto con la minoranza dal partito che ha “tradito” Letta.
Perno di quel patto era anche, tra l’altro, un lassaiz faire che oggi vediamo all’opera in Campania, in Calabria, in Emilia Romagna, in Liguria o nel Lazio.
In tutte le Unioni Regionali ci si è trovati di fronte a grosse difficoltà e quasi sempre la risposta è stata il lasciar correre e andare le cose per il proprio verso. Perchè?
Eppure Renzi gestisce il partito nazionale con criteri democratici e partecipati, includendo le minoranze e lasciando ampi spazi di discussione e confronto nelle direzioni nazionali!
Nè ha fatte più lui nell’ultimo anno che Bersani nei sui quattro anni di reggenza.
Allora la spiegazione deve essere tutta politica.
Renzi ha scelto una via impervia commettendo il gravissimo errore di andare al governo senza essere votato.
Il monito dalemiano della “piscina vuota” è stato abbastanza chiaro. Eppure il premier ha voluto tuffarsi lo stesso e per non trovarla vuota ha dovuto fare qualche compromesso per avere il partito tutto unito con se.
E’ stato costretto a farlo, penso, dall’urgenza delle riforme e del cambiamento di cui è portatore. Sa che se non interpreta in maniera adeguata e pronta quest’esigenza, potrà essere in brevissimi tempi superato da altre proposte che con i suoi medesimi metodi arrivino a rottamarlo.
In effetti la sua unica alternativa è andare avanti, portando qualche risultato concreto e tangibile (vedi gli 80 euro oppure il programma di edilizi a scolastica). Solo ciò ne garantirà la sopravvivenza politica. Quanto al cambiamento nel partito, questo è un problema secondario nell'ottica renziana. Il segretario nazionale sembra convinto che il cambiamento nel partito coli dall’alto per caduta e non proceda dal basso per convinzione.
Tuttavia in questa logica stringente c’è un limite patente. Non vorrei che in un arco temporale ampio di qualche anno questo “compromesso” necessitato con la minoranza ed i potentati locali interni al partito, comportasse lo svuotamento dall’interno dell’efficacia del cambiamento interpretato da Renzi.
Oggi il PD si scontra con il contrasto tra il sogno di interpretarsi come comunità politica e   concreto atteggiarsi in un insieme di comunità sovrapposte e difficilmente comunicanti, se non per cooptazione e cointeressenze personali.
Infatti esistono le comunità dei circoli di base ad un primo livello, poi i gruppi dirigenti provinciali, poi quelli regionali ed infine quelli nazionali. Difficilmente c’è osmosi tra i livelli ed è difficile una comunicazione. Non esiste infatti una scuola di partito degna di questo nome nè esiste una cultura ed un sistema oggettivo di selezione dei dirigenti. Basta parlarsi con qualche alto dirigente, carpendone la fiducia, per trovarsi proiettato in carriere del tutto disancorate dal contesto di un partito-comunità .
In un sistema simile – che poi rispecchia quelli che sono i nostri tempi - appare pure normale che un candidato proveniente da SEL ed iscritto lo scorso dicembre nel circolo di Roma, come Migliore, pensi di potersi candidare governatore democratico in Campania e trovi chi lo sostenga.
Certo non tutto è perduto e la vittoria di Renzi nel PD ha dimostrato che questo partito esiste ed è scalabile e contendibile.
Pertanto tutti siamo chiamati a renderlo sempre più vivo con la coerenza, la competenza e la credibilità democratica che questi tempi nuovi richiedono.
Iniziamo dalle prossime primarie, pretendendo a tutti i livelli che siano corrette e libere, senza spaventarci per un’affluenza che sarà dopo 4 rinvii per forza di cose bassa.

Diego Ruggiero

segretario del circolo PD di Airola (Bn)

lunedì 2 febbraio 2015

Cattolici democratici, non basta Mattarella

Sarà un presidente cattolico? Siamo veramente alla rivincita della Democrazia cristiana? L'elezione di Sergio Mattarella come presidente della Repubblica riaccende il dibattito all'interno del cattolicesimo politico italiano. Sono in effetti domande impegnative. Però appare certo che quella cultura "democristiana a sinistra" di cui Mattarella è esponente autorevole abbia detto qualcosa all'Italia. Certamente con Mattarella quella cultura dimostra di aver formato politici all'altezza di essere riferimenti per la Nazione.
Tuttavia non parlerei nè di ritorno, nè di vittoria della Democrazia cristiana. Mi pare un po' troppo, specie in questo tempo di crisi materiale e morale.
Chi vive dal di dentro la vita di una formazione politica, sa bene quanto oggi i cattolici impegnati in politica vivano un vuoto politico culturale enorme, in assenza di riferimenti laici ed ecclesiali realmente credibili. Una condizione che inizia da dopo il Concilio e non oggi. Allora mi chiedo: essere cattolico, con il suo prezioso bagaglio di energie morali, umane, spirituali e culturali, ha forse scarso senso in questa temperie storica? Non penso. Anzi forse i cattolici italiani, calati nell'humus concreto del Paese, hanno ancora tantissimo da dire alla politica italiana. Il fatto è che oggi non sanno cosa dire. Non si tratta di programmi o cose da fare. Per venti anni, grazie al Progetto Culturale, il programma lo abbiamo avuto... ed era chiarissimo. Ma non è successo niente e le battaglie sono state perse, come quella sulla legge 40.
Allora il problema è più profondo: stregati da un contesto culturale edonista ed individualista abbiamo abdicato in questi anni alla nostra capacità di leggere ed interpretare realmente la realtà italiana. Papa Francesco invece ci indica risolutamente la via. È quella dell'ascolto attento, operante e dialogico nella ricerca della sinodalità che in politica si traduce in "democraticità" delle strutture politiche e dei partiti.
Il punto è: i cattolici oggi impegnati in politica in Italia sanno farlo?  Ed ancora: le nostre strutture formative ecclesiali (parrocchie, associazioni e movimenti) hanno l'obiettivo di formare laici autonomi e con la schiena dritta (obbedienti in piedi mi insegnava il mio presidente di Ac) oppure nella pratica le nostre alte aspirazioni si riducono a formare yes man del don o del mons. di turno?
A me pare che personalità del calibro di La Pira, Lazzati, Dossetti, Fanfani o Moro - esponenti di quella cultura politica che ha formato Mattarella - non fossero proprio degli yes man.

Allora il problema oggi è come ri-generare i cattolici alla politica. Con quale stile e con quali priorità? Infatti è inutile il richiamo a far rivivere la cultura "cattolico democratica" - che oggi sarebbe vincitrice. Quella cultura si è purtroppo consunta con la propria generazione. Non ha saputo rinnovarsi, passando il testimone ad una nuova generazione che autonomamente e responsabilmente ne continuasse la tradizione. Non è neanche demerito dei cattolici democratici. Semplicemente la storia è andata avanti e ha fatto venir meno alcune premesse per il formarsi e perpetuarsi di questa tradizione. Oggi in effetti sulla nostra generazione di cattolici in politica - sapete sono pro-tempore segretario di sezione di un partito e delegato della mia diocesi a Firenze - incombe la necessità dare risposte nuove all'altezza di questi tempi nuovi. Bisogna volare alto. Rinunciare a pensare che politica sia solo fare un cursus honorum che parte dal fare l'amministratore locale per arrivare sempre piu' in alto.
Bisogna porsi domanda alte, partendo dai luoghi più bassi, dalle piazze e dai campanili, perché solo partendo la lì le domande sono sofferte e le risposte vere. Ad esempio, i cattolici italiani per anni si sono divisi sui programmi rispetto alle varie formazioni politiche che hanno - per così dire - fecondato diventando irrilevanti. Hanno mai posto come discrimine delle proprie scelte di collocazione politica, la democraticità delle strutture di partito? Non hanno ceduto alle logiche personalistiche imperanti?! Hanno mai pensato che l'attenzione alle povertà (in una società in declino) fosse prioritaria? Hanno mai pensato alla grande importanza che tanti ormai attribuiscono alle tematiche ambientali o ad interpretare la nuova "cultura della rete"? Non è che qualche volta - io dico spesso - si sono fatti dettare l'agenda delle priorità dalle culture più laiciste, rincorrendo temi importanti ma non essenziali nella vita della stragrande maggioranza degli italiani? Perché la politica se non interpeta e legge la società concreta - quella con lo smartphone in mano - diventa una costruzione a tavolino irrilevante.
Sono solo alcune domande che dovrebbero essere all'ordine del giorno del convegno di Firenze 2015, per dare la svolta che questi tempi nuovi richiedono.