martedì 22 giugno 2010

Un partito sulla sabbia?!



Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandar!

Chissà se la vicenda possa scomodare proprio il vate fiorentino, però le parole di Virgilio sembrano se non altro calzanti!
Come spiegare, se no, il silenzio apatico (...o interessato?) che avvolge il congresso provinciale PD di Benevento?
Possibile che nessun si ponga domande, che nessuno apra un serio dibattito?

Eppure appare stranissima una fase congressuale in cui non si discute di idee e nemmeno ci si dà obbiettivi circa la strutturazione del partito, mentre invece si discute e ci si accapiglia con "sacrosante" ragioni su nomi ed organigrammi in vista delle prossime scadenze elettorali.

Si ha la triste sensazione di un congresso provinciale inane che, celebrandosi "a prescindere" dalla formale costituzione dei circoli cittadini, finisce inevitabilmente per auto-alimentarsi di quella eterna fase di transizione e di emergenza che caratterizza la vita politica del Paese.

Oggi, a più di due anni e mezzo dalla fondazione del PD, ci scontriamo con un fatto eclatante: i circoli cittadini nella provincia di Benevento non esistono ancora!
Ciò che ancor più stupisce è l'assenza della politica: nessuno ce ne spiega la ragione, nessuno se ne assume la responsabilità!

Una lista bloccata di cento nomi unitari: chi li ha scelti, con quali criteri, perchè, si è tenuto conto dei circoli?

Un segretario unitario: chi lo ha scelto, con quale criterio, che idee ha, dove vuole portare il partito, che impegni prende, costituirà i circoli?

Tante domande per ora senza risposta, per adesso una sola certezza: stiamo alzando i muri della casa senza preoccuparci delle fondamenta; stiamo costruendo un partito sulla sabbia!

Per questo suonano come macigni le parole del compianto Pietro Scoppola che ad Orvieto disegnava un partito democrativo dove elemento qualificante fosse" l’applicazione del famoso artico 49 della Costituzione", che delinea lo strumento-partito come mezzo per la partecipazioni dei cittadini alla vita politica "con metodo democratico" . E tuttavia, ad occhi aperti e con un realismo non cinico, Scoppola sottolineva, alla luce di questo obbiettivo alto, che occorreva prendere "atto dei passi oggi possibili" tenendo viva una "speranza più impegnativa" e giocandola "non contro il processo ma oltre, oltre questo processo oggi possibile, quando scelte più impegnative saranno necessarie."

Oggi queste scelte più impegnative sono diventate necessarie, improcrastinabili.

Non si può vivere sempre nell'emergenza, nell'attesa della distribuzione delle prossime candidature!

Occorre subito con coraggio, acume e risolutezza andare "oltre", coltivando quella "speranza più impegnativa" di un partito "democratico" che, aldilà dei personalismi e delle logiche meramente correntizie, sappia essere il partito nuovo che tutti desideriamo.

giovedì 17 giugno 2010

Un PD "oltre" per una speranza più impegantiva




Segnalo con piacere ed una punta di amarezza l'intervento di Samuele Ciambriello sul mattino del 16 giugno circa l'attuale stato del PD napoletano.

Si tratta proprio di un'analisi puntuale e realistica della situazione interna al partito napoletano che ben si attaglia anche a tutto il PD campano dopo le recenti regionali che ci hanno consegnato un csx inchiodato al 42 % non ostante i funambolici sondaggi pre-elettorali.

Aldilà di sterili recriminazioni tuttavia oggi occorre porre l'attenzione al PD.
L'analisi di Ciambriello è quella che tutti facciamo guardando un partito che rischia, come sottolinea Ciambriello, di avere come "democratico" solo il nome.

Quanta distanza tra i sogni e la realtà!

Nel 2007 Pietro Scoppola ad Orvieto disegnava un partito democrativo dove elemento qualificante fosse" l’applicazione del famoso artico 49 della Costituzione", che delinea lo strumento-partito come mezzo per la partecipazioni dei cittadini alla vita politica "con metodo democratico" . E tuttavia, ad occhi aperti e con un realismo non cinico, Scoppola sottolineva, alla luce di questo obbiettivo alto, che occorreva prendere "atto dei passi oggi possibili" tenendo viva una "speranza più impegnativa" e giocandola "non contro il processo ma oltre, oltre questo processo oggi possibile, quando scelte più impegnative saranno necessarie."

Oggi queste scelte più impegnative sono diventate necessarie, improcrastinabili.

O il PD sceglie con risolutezza la via del "metodo democratico" per la partecipazione dei cittadini alla vita politica o non rappresenterà più ciò che tutti sogniamo: un partito veramente nuovo!

L'alternativa sono i partiti "personali" (ed il PDL ne è icastico esempio...quello di De Luca ne è esempio più scialbo) dove populismo e leaderismo ammazzano ogni vero progetto votato al bene comune.

Come uscirne? Ciambriello indica una via: dare un'anima al PD!
Ma questo, realisticamente e senza cinismo, oggi non basta!

Oggi il problema del PD è anche a Roma, in una dirigenza nazionale che, votata in primis a guidare il processo di costituzione del PD, da decenni ormai non si rinnova, avendo come obbiettivo primario, se non unico, la propria autocoservazione.
In una situazione talmente ingessata e paralizzata del partito, tra veti incrociati e rigogliosi orticelli personali, la scossa vera potrà venire solo da una "rivoluzione" romana.

Da Bersani, che ho convintamente appoggiato alle scorse primarie, sto aspettando questo!

Non basta ribadire, come spesso sottolinea il mio- il nostro segratario, di aver inserito nella dirigenza nazionale tanti quarantenni!

Sono passati ben tre anni dal 14 ottobre 2007. Oggi, a qualche giorno dai congressi provinciali, tantissimi circoli locali in tutte le province campane ancora non sono formalmente istituiti. Il Pd napoletano è commissariato. Tanti circoli sono in mano ai placet ed ai desiderata dei signori delle tessere o di faide intestine.
Ciambriello ha proprio ragione. Così diventa difficile fare qualsiasi discorso partitico teso ad un reale rinnovo della classe dirigente.

La verità oggi è che l'unica vera rete dei circoli del PD rimane esclusivamente quella personalistica dell'attuale dirigenza campana che ha tutto l'interesse a mantenere lo status quo per conservare le proprie posizioni di privilegio, in vista di futuri ed incerti cambi degli umori elettorali o delle strategie di alleanze di altri partiti ovvero, peggio, della prossima "nomina" di deputati e senatori.

Per questo, e concludo cogliendo l'attualissimo invito di Scoppola, occorre subito con coraggio, acume e risolutezza andare "oltre", coltivando quella "speranza più impegnativa" di un partito "democratico" che, aldilà dei personalismi e delle logiche meramente correntizie, sappia essere il partito nuovo che tutti desideriamo.



Pd campano in coma che altro aspettare?
Samuele Ciambriello La sconfitta alle regionali, con calo consistente rispetto alle precedenti (con Ds e Margherita quasi al 30%), poteva essere per il Pd a Napoli occasione per una riflessione seria.
A distanza di più di due mesi, invece, non solo non si è aperta nessuna discussione ma continua una fasi di forte paralisi. È ancora rinviato il congresso provinciale per la nomina degli organismi dirigenti e del segretario provinciale. Non poca cosa, visto che parliamo di un bacino di quasi tre milioni di persone. C'è, a quanto mi risulta, un calo di iscritti rispetto all'anno precedente. A Napoli, ci troviamo di fronte ad un partito che da quasi due anni è commissariato, da Enrico Morando, torinese, eletto in Veneto, designato dal segretario Veltroni. La paralisi che blocca finanche la nomina del capogruppo in Consiglio comunale a Napoli è imbarazzante e mostra il volto di un partito che ha molte "anime", intese come correnti interne, ma che non riesce ad avere un'anima. Prigioniero di dinamiche localistiche e di corrente, il partito nato per cambiare l'Italia non solo non è adeguato per contrastare la destra, ma nemmeno per discutere della propria azione di governo locale. Eppure credo sia evidente anche ai cittadini meno avvezzi alla politica, che è autolesionismo puro continuare la competizione di correnti. È impossibile rilanciare la nostra azione politica se il Partito Democratico non supera i propri limiti. È indispensabile superare la logica del "partito liquido" per darsi forme più partecipative ed incisive di organizzazione e di rappresentazione della società, per fare dell'iniziativa politica tra e con i cittadini un impegno permanente. Per questo avverto, e penso di essere in buona compagnia, come non rinviabile il rinnovamento dei gruppi dirigenti. Un rinnovamento non anagrafico (o non solo), ma politico che individui con chiarezza le responsabilità di chi deve guidare il secondo partito del paese. Un gruppo dirigente scelto sulla base di criteri di capacità, credibilità, rappresentatività, etica della responsabilità e non in base al peso delle tessere "governate" da questa o da quella corrente. A Napoli, il commissariamento poteva essere giustificato come fase "ponte" che traghettasse il partito verso il rilancio e che gettasse le basi per un nuovo rapporto con i territori. Oggi, invece, si è paralizzati in un debole equilibrio di poteri di corrente. Un partito è vincente se ha la capacità di proporsi come "sindacato del territorio" che sa raccogliere gli interessi e i disagi delle comunità, senza inseguire il populismo che cavalca i sentimenti dell'antipolitica. Bisogna trovare il modo di promuovere le realtà locali e tutti gli attori del complesso tessuto urbano, avviando una nuova stagione della cittadinanza attiva. Recuperare lo spirito del 1993 quando la stagione dei sindaci destava entusiasmo e stimolava la partecipazione. Aspettare oltre significa rassegnarsi a morire lentamente. Significa rassegnarsi ad un partito che parla a settori sempre più recintati e ristretti della popolazione, perdendo il contatto con le nuove generazioni, con i bisogni vecchi e nuovi della nostra gente. Significa non esistere se non nei luoghi del governo amministrativo. E invece, solo tornando nella società per imparare di nuovo a conoscerla possiamo riconquistare il consenso dei cittadini. Ma per questo, non abbiamo bisogno di commissari, ma di dirigenti, seri, capaci e affidabili, selezionati attraverso le procedure democratiche di un partito che di democratico non può avere solo il nome. Samuele Ciambriello

mercoledì 2 giugno 2010

Contro il trionfalismo ecclesiale




Segnalo quest'articolo di un giornalista serio ed intelligente che scrive sulle colonne di Avvenire: Roberto Beretta.
L'ho trovato su un sito che consiglio a tutti di visitare: www.vinonuovo.it
In un momento di reale difficoltà della Chiesa gerarchica per gli scandali finanziari (vedi vicenda IOR con i recentissimi strascichi) e di pedofilia, ci vuole vero coraggio a scrivere queste cose e a parlare del trionfalismo ecclesiale.
Si rischia il linciaggio morale di qualche cane di Pavlov sanfedista!
E credetemi!....in giro ce ne sono di veramente insospettabili.
Io aggiungo che questo trionfalismo ecclesiale trova una profonda radice anche in una linea ecclesiale, vigorosa nell'episcopato soprattutto durante il papato di GPII, che, pur proponendo un messaggio evengelico dai forti contenuti, ad una attenta analisi degli atteggiamenti pratici e della sintassi applicativa, debordava spesso su una eccessiva attenzione all'efficacia del messaggio veicolato.
Ciò ha portato tanti esponenti della chiesa gerarchica a non coltivare sufficientemente la virtù della PRUDENZA che certamente avrebbe evitato tanti piccoli (es: caso boffo)e grandi (es: ior, padre meciel, pedofilia)scandali che solo oggi scopriamo.
Come uscirne?
Il Papa profeticamente ha indicato una via: penitenza ed espiazione!

Conclusione della pecora nera?
Grazie a Dio, la carità non avrà mai fine e la Chiesa non è solo nelle mani degli uomini ma anche è nelle mani di Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo!!!



a presto.




ROBE DI RO.BE.
A margine dell'ultima «piazzata»

di Roberto Beretta | 21 maggio 2010
Quando i cattolici scendono in piazza l’apologetica di contrattacco non manca mai: come se ci fosse sempre bisogno di un «nemico» (un complotto) cui replicare

Si è appena consumata l’ultima «piazzata» cattolica (anzi, del cattolicesimo italiano) e quindi non si fa danno a nessuno - soprattutto a quanti hanno organizzato il 16 maggio la giornata romana di solidarietà col Papa - se ci permettiamo qualche osservazione critica.

Uno. Tutti sanno i rischi insiti nelle manifestazioni di massa, che nella loro speciale retorica comprendono anche la compiacenza del contarsi («Avete visto quanti siamo?») e la tentazione della prova di forza. Il mondo cattolico – dai «baschi verdi» di geddiana memoria fino all’ultimo Family Day «elettorale» - ha già abbondantemente dimostrato di non saper affatto sfuggire a tale rischio.

Due. Stare accanto al Papa in un momento difficile sta bene, anzi benissimo; ma per dimostrare affetto in genere si usa una carezza: non si fa il braccio di ferro... Invece quando i cattolici scendono in piazza l’apologetica di contrattacco non manca mai: come se ci fosse sempre bisogno di un «nemico» (un complotto, un assedio) cui replicare a suon di truppe cammellate di movimenti & diocesi.

Tre. È palese quanto il genuino voler bene al Papa di tanta gente si presti purtroppo ad essere strumentalizzato (magari anche inconsciamente) dal trionfalismo ecclesiastico. Il presidente della Cei Bagnasco, in una recente intervista, dedicata proprio all’evento del 16 maggio, ha dichiarato: «Il rapporto degli italiani con la Chiesa è genetico»... Ma per piacere! Sembra di sentire il vecchio ritornello della «Francia figlia primogenita della Chiesa»: e - guarda caso, o (meglio) vendetta della storia ­- oggi Parigi è l’avanguardia della secolarizzazione in Europa!

Quanto meno trionfalista (e più cristiano) il monito che solo poche ore dopo lo stesso Papa lanciava a Lisbona: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista». Che stesse alludendo proprio all’Italia?