giovedì 13 dicembre 2012

Sulle primarie parlamentari nel Sannio


Primarie per i parlamentari del PD - e spero della coalizione Italia.BeneComune- nel Sannio!
Sembrava difficile ed invece....
Invece eccole, sono improvvisamente arrivate, se ne discute con insistenza, si ipotizzano candidature e percorsi.
Per chi ci ha sempre creduto e le ha auspicate, come i tanti segretari di circolo del PD impegnati sul territorio per organizzare le primarie, è arrivato il momento di concorrere alla scelta dei nostri candidati in un percorso reale e radicato sul territorio sannita, lontano dalle virtualità del web.
Appare sempre più evidente che il percorso democratico e partecipativo scelto dal nostro coraggioso segretario, Bersani, sta producendo frutti di rinnovamento.
Chi voglia però discettare di politica sul territorio a questo non può fermarsi.
Appaiono necessarie alcune considerazioni sul Parlamento  che da qui a tre mesi eleggeremo e sulle primarie che ci coinvolgeranno nel Sannio.
La prima. Si voterà nuovamente con una legge elettorale tanto sbagliata e miope che non dovremo stupirci di un ulteriore calo dell'affluenza alle urne. Serve radicare processi di reale partecipazione per arginare questo fenomeno che mina l'autorevolezza del Parlamento che sarà eletto.
La seconda. Chi governerà dovrà tener conto di questa generale disaffezione della gente e saggiamente dovrà cercare di allargare il perimetro della maggioranza. Appaiono auspicabili candidature di uomini e donne di mediazione.
La terza. Sarà comunque difficile, qualora si voti alle primarie secondo le ampie circoscrizioni elettorali del porcellum, poter garantire un adeguato rinnovamento: ampie circoscrizioni non consentono a candidati "sconosciuti" di poter impostare in 2 settimane una efficace campagna elettorale. Un regolamento "giusto" per noi sarebbe quello che privilegia i piccoli collegi, proprio come quelli del Mattarellum.
In definitiva queste primarie per i parlamentari, qualora il regolamento non sia quello "giusto", potrebbero rivelarsi un boomerang, producendo il miope effetto di ri-consacrare quello che già c'è! 
Il che non è un male di per se stesso, ma non aiuterebbe il "piccolo" Sannio nel concorrere al grande sforzo di rinnovamento e partecipazione che il PD guidato da Bersani sta coraggiosamente promuovendo.

lunedì 15 ottobre 2012

La Chiesa bella del Concilio

C'ero anche io a Roma giovedì sera sotto l'obelisco di piazza San Pietro ad ascoltare il breve discorso del Santo Padre.Ho ascoltato parole belle e significative, sentite, rivolte al popolo di Dio.
Il Papa ci ha descritto da un lato una Chiesa che è coinvolta nel peccato e nella zizzania - quella che tutti i giorni ci viene ultimamente sbattuta in faccia-, dall'altro ha speso delle parole bellissime e semplici in cui mi riconosco: "Abbiamo avuto anche la nuova esperienza della presenza del Signore, della Sua bontà, della Sua forza. Il fuoco dello Spirito Santo, il fuoco di Cristo, non è il fuoco divoratore e distruttivo, è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà e di verità, che trasforma, dà luce e calore. Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica, anche oggi in modo umile il Signore è presente e dà calore ai cuori, nostra vita, crea carismi di bontà e carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio. Se Cristo vive è con noi anche oggi e possiamo essere felici anche oggi perché la sua bontà non si spegne, è forte anche oggi"
Queste mi sembrano le parole più belle sentite l'altra sera. Tuttavia ciò che porterò nel cuore è l'esperienza, di per sè non eclatante, che ho avuto durante la fiaccolata da Castel Sant'Angelo a piazza San Pietro.Nella folla vicino a noi del gruppo diocesano di Azione Cattolica, alcuni giovani seminaristi dei Legionari di Cristo. Qualcuno direbbe: DestraVsSinistra, ProgressistiVsTradizionalisti! 
Ammetto che forse li guardavo con un poco di circospezione e curiosità. Vestiti a puntino, eleganti e signorili, mi sembravano così distanti dal mio modo di vivere e stare nella Chiesa. Ad un certo punto, spinto dalla curiosità, ho attaccato bottone con uno di loro, facendo qualche vaga domanda sul loro fondatore. Improvvisamente mi si è aperto un mondo diverso da quello che avrei potuto immaginare: avevo davanti a me una persona solare, semplice, che mi sembrava sprizzare amore per il Signore. Si chiamava Massimo. Oddio, mi sono detto tra me e poi gli ho ripetuto: "Nella Chiesa non siamo certo noi a decidere della bontà di un carisma! Sarà Dio a deciderne, indipendentemente da tutto." Lui mi fa: "Hai visto il film di State Buoni se potete? A chi chiedeva a Filippo Neri “Ma perché è così difficile seguire il Vangelo?”, il santo rispondeva: “Perché è semplice” - fa una pausa e continua sorridendo-  è una risposta un po da curia romana ma molto vera!" 
Beh, poi ci siamo incamminati verso piazza San Pietro. Lui col suo gruppo, un poco più avanti al nostro.
Il cammino era lentissimo. Almeno fino all'attraversamento di  via della Conciliazione. Romani impazienti strombazzavano a più non posso. Il traffico cittadino era costretto a fermarsi, alternandosi con i pellegrini. Mi è parso un poco come il cammino della Chiesa dopo il Concilio: a tratti sembra un cammino bloccato nel suo incedere, però mi rincuorava vedere il legionario poco avanti a me di AC, nello stesso cammino di Chiesa.Quel traffico romano impazzito  disturbava proprio il canto di noi pellegrini e mi procurava una distrazione irritante. Ho pensato: beh in fondo anche la Chiesa in questi anni mi pare molto distratta dallo strombazzare di un mondo lontano da Dio!
Comunque armato di pazienza e cercando di pregare cantando, non ostante gli odiati clacson, ad un certo punto ho pensato che non avremmo neanche trovato posto in piazza. Il mio amico prete mi fa: "Tranquillo, le cose che organizza l'Ac poi non richiamano mica tante persone! Una volta era diverso!" Ho pensato: " beh c'era il collateralismo, la militia Christi ecc...ma poi abbiamo fatto la scelta religiosa, proprio dopo il Concilio! 
Mentre ero irretito e spazientito da questi pensieri, abbiamo attraversato la strada ed improvvisamente il cammino iniziava a farsi spedito. I clacson erano lontani, non li sentivo più, finalmente! Mi sono a quel punto immaginato una Chiesa che finalmente dopo il questi primi 50 anni di rodaggio, riesca a lasciarsi dietro tutta questa "distrazione" e punti speditamente verso la meta di una risoluta e bella coerenza evangelica, sulla strada indicata dal Concilio.
Alla fine  mi sono ritrovato in piazza, vicino all'obelisco e sotto la famosa finestra.Mi dicevo:"Beh, Diego oggi hai 36 anni, chissà se tra 50 anni sarai ancora qui a ricordare l'apertura del Concilo! Avrai 86 anni!".
Mentre ne facevo una battuta con un'amica, ad un certo le ho detto:" Pasqualina, io credo di starci tra 50 anni a festeggiare, come te, ma spero di non stare qui a piazza San Pietro perchè la Chiesa diventerà veramente la "Chiesa bella" voluta dal Concilio!"
Poi il Papa ha iniziato il breve discorso dicendo: "Cinquant’anni fa anch’io sono stato qui in piazza, con lo sguardo verso questa finestra!"
Aveva 35 anni ed un futuro da percorrere in questa Chiesa, proprio come me.

lunedì 1 ottobre 2012

RenziVsBersani: alcune considerazioni.



Al di là di qualche eccesiva venatura polemica, l'articolo di Giancristiano Desiderio apparso su Sanniopress (Matteo nella patria degli antirottamatori, http://www.sanniopress.it/?p=27017 ) rappresenta un pregevole spaccato di tutto ciò che le primarie nel Sannio non dovrebbero rappresentare.
Una premessa dovuta: sono coordinatore di uno dei circoli sanniti del PD, quelli che “sono tutti conservatori, anzi reazionari”.
Stupirò! Non è che Renzi dispiaccia del tutto – in fondo Adesso era il titolo della mitica rivista di don Mazzolari che seppe criticare profeticamente la Dc del 1948-, anche se continuo ad apprezzare molto il nostro segretario Bersani, che ho sostenuto con i miei dovuti distinguo su una impostazione eccessivamente marcata a sinistra, alle primarie del 2009.  
Mi definirei  oggi moderatamente bersaniano e blandamente renziano.
Insomma credo che, pur coltivando legittime scelte diverse, occorra rifuggire da visioni manichee (BersaniVsRenzi, VecchiVs Nuovi, ReazionariVsRiformatori, AdessoVsDopo ecc…), come quella di Desiderio, dove bene e male paiono rigidamente irregimentati

Ma non è questo il punto! Anche perché questi sono orientamenti e preferenze personali.

Il punto vero è un altro: queste primarie partite con entusiasmo ed un bel pò di calcolo mediatico all’inseguimento di un paio di camper, riusciranno a contribuire ad una reale rigenerazione della classe dirigente del paese? Contribuiranno alla selezione di una classe dirigente all'altezza delle sfide del nostro tempo?

E’ la domanda che mi ponevo a Benevento mentre in terza fila, al mio fianco, un vecchietto - ultrà del giovane Renzi-  alzava un cartello con su scritto “Matteo sei il nostro Masaniello”. A Benevento ho ascoltato per una piacevole oretta il discorso-format del sindaco di Firenze, tra video e grafici scaricati da internet.
In questa oretta ciò di cui Renzi non ha mai parlato è come intende selezionare i candidati in parlamento tra 3 o 4 mesi. Tale silenzio fa il paio con l’atteggiamento poco determinato tenuto sulla questione, dalla dirigenza nazionale nel corso dell’ultimo anno.

In effetti, mi pare di aver inteso,  Renzi guarda agli amministratori locali, come lui. Mi chiedo se amministratori locali, cresciuti in un contesto "personalistico" in cui i partiti sono diventati “partiti di eletti”, abdicando al loro ruolo di raccordo con la società, sapranno cogliere la domanda di partecipazione che arriva dalla gente (come amava chiamare Sturzo il popolo)?

Bersani invece ha promosso fino ad ora - e certamente promuoverà-  giovani del partito cresciuti nel medesimo contesto leaderistico: giovani che spesso (ma non sempre, vivaddio!) avanzano per cooptazione in strutture purtroppo di nicchia e/o  elitarie, restando docili in attesa del proprio momento. Questi giovani di partito sapranno innovare seriamente le modalità di partecipazione politica?

Infatti oggi – ce lo dimostra l’imperioso avanzare  del grillismo - la gente non vuole più solo esprimere un consenso ad una persona o un’idea; non vuole essere solo un numero in un collettivo, ma vuole contare e decidere...veramente!
Il fatto è che oggi la platea degli interessati alla politica è cresciuta – e si incazza e non si accontenta! Altro che antipolitica, qui c’è una voglia matta di politica credibile e partecipata!!
Non bastano più soprattutto le deleghe in bianco. La gente cerca, a mio avviso saggiamente, una rigenerazione dei meccanismi della partecipazione politica. Rigenerare vuol dire proprio nascere di nuovo, ricominciare daccapo. Questo non significa rottamare polemicamente i vecchi, ne aggiungersi cinicamente a loro per cooptazione e/o costrizione. Sia vecchi che giovani sono chiamati a questa ri-generazione.

Come potrebbe avvenire questa rigenerazione?

Non mi ritengo all’altezza di una risposta così epocale, però credo che una prima strada percorribile per il PD, un tentativo, potrebbero essere le primarie per la scelta dei candidati  parlamentari, secondo l’impegno statutario del PD ribadito alla scorsa assemblea nazionale. Mi sembra un punto oggi ineludibile e prioritario. Più importante della stessa sfida mediatica tra Renzi e Bersani che tanto affascina il desiderio di tanti

Una seconda  strada potrebbe essere quella della promozione di artefici appassionati ed umili al servizio di processi politici ampiamente partecipati, “uomini reali” – e non comparse -come insegnava MazzolariI quando su Adesso pubblicava: "Uomini non ci si improvvisa, e nella lotta politica italiana ciò che più dolorosamente sorprende è la mancanza dell'uomo. Non dell'uomo grande, di cui non vogliamo neanche sentir parlare, ma dell'uomo reale, con il suo modesto, insostituibile corredo di qualità morali." Volutamente mi affido con Mazzolari alle qualità morali del politico, proprio perché queste, prima di altro, la gente chiede e di queste persone i partiti hanno un disperato bisogno.

mercoledì 19 settembre 2012

ERETICO

Dimezziamo i parlamentari, diminuiamo i consiglieri, aboliamo le province! Sicuro che la riduzione dei componenti degli organi politici di rappresentanza indiretta sia “di per se” la panacea di tutti i mali!? 
Gli ateniesi nel 508 a.c. durante il periodo di Clistene erano dotati di un organo rappresentativo, la boulè, di circa 500 persone. Gli abitanti di Atene non erano oltre i 10.000.
 Lo stesso potrebbe dirsi per gli albori della Roma repubblicana. Erano in effetti sistemi di rappresentanza indiretta saggi, perché allargando la base degli eletti facilitavano l’accettazione da parte del popolo delle decisioni della maggioranza. Infatti è semplice considerare che la decisioni di un organo rappresentativo ampio rifletta in maniera maggiore del volere di tutti. In sintesi: più eletti uguali maggiore rappresentanza degli elettori, meno eletti uguale minore rappresentanza.
D’altra parte oggi la crisi della rappresentanza indiretta pare causata dalle spinte provenienti dalla società che invocano forme di partecipazione diretta. 


Infine le moderne tecnologie facilitano forme di partecipazione diretta alla discussione ed alla decisione. 


Ciò non toglie che una società complessa richieda competenza specifiche anche in politica: in futuro difficilemnte potremmo fare a meno del cd "politico di professione"


Non invoco uno sterile assemblearismo, né difendo una classe politica che ha bisogno di una immediata rigenerazione, però non sarebbe il caso di porsi qualche domanda in più? Anche perché l’attuale crisi politica pare, più che altro, segnata dall’eccesso di soldi in mano ai politici e dall’assenza di una loro trasparente gestione.

martedì 28 agosto 2012

Dinosauri e ragazzotti

Mi rifiuto di pensare che la questione del ricambio generazionale nella federazione beneventana del Partito Democratico, al di là di sterili dispute nominalistiche sull’appeal di questa o quella personalità politica sannita, possa o debba ridursi, come riportato dal quotidiano il Sannio nel numero del 25 agosto scorso ( http://www.ilsannioquotidiano.it/politica/item/10306-pd-trenta-quarantenni-alla-riscossa.html ), ad uno scontro tra dinosauri (o anche grandi vecchi, zietti ed eminenze grige) da un lato e ragazzotti (o anche panchinari) dall'altro.
Non mi sembra neanche che il tutto possa giocarsi su concetti come “spallata” o “forza” e “voracità” politica di una giovane generazione fatta di ragazzotti e panchinari.
Sarebbe in effetti un ragionamento troppo semplicistico e poco rispettoso di una partito, come il PD sannita, che, come nessun altro, sta nel tempo strutturandosi capillarmente sul nostro territorio.
Anche per intavolare una proficua discussione su questa importante questione che interessa un po tutti i soggetti politici attuali, mi sembra utile ricordare le parole di Ciriaco De Mita pronunciate in occasione del congresso di scioglimento della Margherita nel 2007: guai a chi immagina di crescere aspettando donazioni...nel rapporto giovani e vecchie generazioni, il ricambio non è dato dalla sostituzione ma dalla capacità delle generazioni precedenti di aiutare i giovani a conquistarsi ruolo di guida e capacità di interpretazione”
Certo, alla nitida consapevolezza del discorso fatto allora non rende giustizia il rancoroso disimpegno del  leader irpino dal nostro progetto politico, testimoniato dalle polemiche “intelligenti” dello scorso maggio. Ciò, tuttavia, non toglie forza a quelle parole spese proprio per il nascente PD, pur essendo necessaria qualche doverosa precisazione, al fine di non confondere quelle parole con una apodittica ipoteca dei vecchi sui giovani.
Infatti oggi, alla luce di quelle parole di allora, una domanda utile da porsi potrebbe essere: sono le vecchie generazioni in grado di “aiutare i giovani a conquistarsi ruolo di guida e capacità di interpretazione”? Cosa vuol dire conquistare un ruolo di guida in politica? Cosa è la capacità di interpretazione in politica?
Provo ad abbozzare qualche risposta, nella speranza di offrire un contributo alla possibile elaborazione di un dibattito.
“Capacità di interpretare” in politica potrebbe voler dire saper leggere, emancipando il proprio impegno politico dalle vicende politico-elettorali che passano,  la realtà culturale e sociale del nostro tempo, raccontandola in maniera semplice e convincente all’elettorato che, sentendosi a sua volta “letto ed interpretato”, esprime il proprio consenso.
“Ruolo di guida” potrebbe voler dire, dopo questa attenta opera ermeneutica, saper trovare risposte convincenti in un dialogo proficuo con tutte le parti del processo politico. Con una importante postilla: chi guida non è colui che prende semplicemente le decisioni, bensì colui che, conscio del limite che qualsiasi potere incontra nella impossibilità di coartare le altrui coscienze, concorre con altri a determinare,  dirigendolo, gli esiti del processo politico. In definitiva guidare un processo politico non è semplicemente imporsi, sia pur responsabilmente, con la forza di un numero dato dal consenso; piuttosto è saper interpretare e guidare un processo, esprimendo un pensiero che raccoglie consenso. Questa è la reale “forza” politica di una leadership politica collettiva che porta ad una ri-generazione della classe politica che non sia mera “sostituzione”, né tanto meno (aggiungo) semplice “addizione”. Sia vecchie che nuove generazioni dovrebbero essere all'altezza di questa sfida, al di là dell'età.
L’inversione di tale processo (dall’elaborazione di un pensiero politicamente spendibile alla raccolta del consenso elettorale) in senso meramente decisionista (prima il consenso e poi l’elaborazione), è stato il segno distintivo dell’agire politico mediatizzato di gran parte delle precedenti generazioni politiche che sono state protagoniste della scena pubblica dal 1992 in poi. Ciò ha determinato in questi anni la necessità di un ri-generazione della classe politica in tutti i partiti, a cominciare dal PD, ed una diffusa stanchezza dell’elettorato sempre più insofferente.
Provo allora a rispondere alla prima domanda sulla capacità delle precedenti generazioni di aiutare i giovani. La mia risposta è, per ora: sì, i vecchi possono ancora riuscire ad aiutare i giovani, a patto di dimostrare il saper essere sobri nella gestione del potere ed il saper capire il cambiamento di questi anni.
            “Sobrio” in politica, secondo una bella espressione di don Tonino Bello, è colui che non si ubriaca del potere acquisito, ma conserva una esatta coscienza del suo limite.
“Capire il cambiamento” vuol dire oggi comprendere la svolta epocale di questa complessa società del 2.0 che, da un lato richiede saperi e impegni specializzati (anche e soprattutto) in politica, dall’altro propone forme diffuse di partecipazione politica diretta che mettono in crisi il tradizionale concetto di rappresentanza e di organizzazione politica, richiedendo necessari e concreti adattamenti dei processi decisionali e di partecipazione nei partiti strutturati.
            La composizione di queste due domande politiche della società 2.0 in una concreta offerta politica ri-generata è l’arduo compito che attende vecchie e nuove generazioni, nel PD, ma anche in altri partiti. Se le vecchie e nuove generazioni non saranno all’altezza del compito assegnatogli dalla storia, sarà la storia stessa a sostituirle perché avranno dimostrato la propria inadeguatezza, come avvenne ad esempio nello storico passaggio dai partiti dei notabili a quelli di massa.
L’auspicio è che coloro che si apprestano oggi a sostituirsi e/o aggiungersi alla vecchia generazione, oppure coloro che nella generazione precedente assumeranno fino in fondo l’affascinante compito maieutico di aiutare i giovani, si dimostrino nel tempo futuro all’altezza delle sfide lanciate dal cambiamento di questi anni e del compito di ri-generare la classe politica, nella consapevolezza che, come ricordava Weber di fronte alle epocali sfide del 1919, in politica “non importa l’età quanto piuttosto la capacità di leggere senza pregiudizi le realtà della vita, la capacità di sopportarle ed esserne interiormente all’altezza.”

giovedì 23 agosto 2012

Lo storico abbaglio


Quest'articolo di Massimo Franco sul Corsera: "I cattolici e l'unità (impossibile) da recuperare" (http://www.corriere.it/opinioni/12_agosto_23/franco-cattolici-unita-recuperare_f084be0e-ecf7-11e1-89a9-06b6db5cd36c.shtml) mi ha sollecitato qualche generale riflessione sullo "storico abbaglio" citato dal giornalista.


Personalmente quelle parentesi nel titolo non le avrei messe!
Nè tanto meno mi scandalizzo di fronte alla presa d'atto di tale impossibile unità politica dei cattolici, anche perché l'unità spirituale a cui siamo chiamati come comunità credente è ben più profonda di quel livello semplicemente culturale, sociale e politico al quale si fa riferimento. D'altronde il richiamo di Gaudium et Spes n° 43 mi è sempre sembrato importante: "nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa."

Ritengo tuttavia eccessivo parlare di rissa tra "spezzoni del mondo cattolico", visto che in fondo si è trattato di un editoriale, quello dei paolini, che non ha trovato la esplicita adesione di altre associazioni o movimenti cattolici. D'altra parte le reazioni stizzite di qualche singolo ciellino (Amicone, Formigoni ecc...) per certo non esprimono il sentire ufficiale del movimento di Giussani.

Ciò che invece mi interessa cogliere dall'ottimo articolo del dott. Franco, è il riferimento ad una "crisi d'identità culturale" non ancora superata dopo la guerra fredda e ad un"involontario abbaglio storico" nell'immaginare un mondo cattolico unito o destinato a ricompattarsi. A mio avviso questo discorso  va approfondito con la dovuta attenzione, specie in rapporto con la recezione del Concilio Vaticano II nel dibattito culturale all'interno della Chiesa italiana e soprattutto in relazione al modo di intendere ed interpretare il rapporto dei cattolici con il Potere ed il suo Limite.

Da quel che ho potuto apprendere negli anni, visto che a 10 anni mi interessavo d'altro, sembra che  il Convegno di Loreto (1985) fu il vero  spartiacque  italiano nella recezione del dettato conciliare, fino ad allora oggetto di aspre polemiche; almeno  a partire dalla lacerazione sulla cd "scelta religiosa" dell'AC di Bachelet e fino alla cristallizzazione in un ampio dibattito tra mediazione e presenza che vide protagonisti intellettuali come Lazzati, Sorge, Giussani.

Sullo sfondo politico c'era una DC ormai incapace, dopo gli anni del boom, di governare una nazione modernizzata. In effetti erano esaurite le grandi spinte ideali del 1948 che avevano reso possibile l'irripetibile esperienza dell'unità politica dei cattolici: un Paese da ricostruire, una repubblica da fondare, una classe dirigente sobria e autorevole da proporre dopo un ventennio che aveva sfasciato il tessuto etico italiano. Iniziava quindi una lenta ed inesorabile degenerazione dello scudocrociato sotto la guida della cd terza generazione (quella di Forlani e De Mita). Il tessuto ecclesiale viveva intanto un crescente distacco dal partito "unico" dei cattolici al quale restava, come "unica" ragione d'essere, l'anticomunismo che era stato carattere, sia pur importante, non essenziale per il suo nascere. Intanto associazioni e movimenti, a loro volta alle prese con la modernità e le spinte innovative conciliari, iniziavano a differenziarsi, staccandosi idealmente dalla balena bianca che non riusciva più ad interpretare le spinte popolari e rimaneva avviluppata nel clientelismo smodato che ne avrebbe consacrato la fine.

In questa cornice critica, a Loreto il papa polacco, con un memorabile discorso, consacrò in Italia una linea ecclesiale che è stata definita "cultura della presenza", impersonata ed interpretata in questi anni  da CL sul fronte dell'associazionismo laico e da Ruini nelle gerarchie, con prassi operative che hanno segnato quella che Sandro Magister ha efficacemente definito come "chiesa extraparlamentare".
Su tali prassi operative mi piacerebbe soffermarmi, visto che ritengo che "l'abbaglio storico", cui si riferisce l'articolo, tanto involontario non sia, trovando giustificazione nella situazione descritta.Infatti in questi anni "extraparlamentari", dopo aver preso coscienza della crisi decritta, la  chiesa italiana è stata guidata sulla scorta di un preciso presupposto e di una concreta linea d'indirizzo.

 Si è detto e scritto che il cattolicesimo in Italia, con la sua rete di associazione e parrocchie, godrebbe di (ampia) popolare diffusione nella società. La Chiesa italiana, anche alla luce della condizione favorevole non goduta in altri paesi occidentali, si è vista investita del grande compito storico di indicare l'esempio a cui tutte le altre chiese nazionali avrebbero dovuto guardare. Pertanto i vescovi hanno chiesto con insistenza ai cattolici italiani di testimoniare coerenza tra fede professata e vissuta, non disdegnando (anzi promuovendo) la collaborazione con i cattolici "non militanti" purchè schierati per le proprie battaglie culturali, al fine di essere rilevanti (Ruini: meglio contestati che irrilevanti!) ed arrivare a guidare infine la società. Più concretamente in politica la CEI ha esortato all'unità i cattolici  ovunque militassero, non più in nome dell'anticomunismo, ma per difendere alcuni valori irrinunciabili e/o non negoziabili che assumono a tratti i connotati di un programma simil-politico, senza aver paura di dettare la cd "linea", come nel caso del referendum del 2005. 

Tale analisi e la linea d’indirizzo adottata, pur se parzialmente giustificabile nel confuso passaggio del 1992/1994, a me pare, sia divenuta nel suo protrarsi senza l'alternativa di una costruzione di lungo periodo, il vero "abbaglio storico" volontario (non involontario!) della Chiesa italiana.

Intanto il presupposto è discutibile. 

Perché l'esistenza di un'ampia rete di associazioni, movimenti e, soprattutto, di parrocchie, dovrebbe essere sinonimo di un cattolicesimo popolare e diffuso? La consonanza su alcune battaglie "culturali", cosa aggiunge o cosa toglie alla diffusione del Vangelo? Il vangelo in effetti interpella le coscienze e l'esistenza di struttura fisiche o di convergenze culturali, non è indice di coscienze strutturate e formate!
Il fine è poi altrettanto opinabile!
Sicuro che i cattolici siano chiamati ad essere rilevanti e a guidare la società? E' una opzione di per sè coerente col vangelo? Non è, semmai, una opzione che necessità di chiarimenti e di un forte senso del Limite del Potere che forse è mancato?!

Il programma simil-politico proposto è infine francamente poco spendibile per organizzare una proposta politica efficace.
Siamo sicuri che le priorità degli italiani siano i famosi valori non negoziabili?! Non è che forse dovremmo semplicemente prendere atto della irriducibilità della Dottrina Sociale della Chiesa ad un partito ed ad programma politico?! Non è che forse dovremmo prender atto dei limiti delle scelte politiche nella formazione delle coscienze? Può il Magistero della Chiesa dettare le priorità di un programma concretamente politico?

D'altra parte la semplicità del ragionamento enunciato, si è accompagnata purtroppo, sicuramente a livello di trasmissione della linea d'indirizzo enunciata tra vertice e base, con una scarsa coscienza effettiva della complessità del cattolicesimo italiano che è legittimamente attraversato da opinioni diverse, le quali non possono ridursi alla semplice questione di rivalità tra sottogruppi, enunciata da Franco.

In effetti troppo spesso, per ovviare alle oggettive difficoltà nell'affrontare tale complessità, si è trasmessa l'impressione di coltivare un efficientismo decisionista, sterile e burocratico, guidato da uno scarso senso del Limite del Potere. 
Troppo spesso si è agito, nelle strutture ecclesiali ma anche nella società, pensando che la  decisione adottata da chi abbia diritto a prenderla, basti "di per se" a renderla attuabile, trascurando il grosso limite che ogni potere (politico, economico, magisteriale...) incontra nella impossibilità di coartare le coscienze. 
Gli esiti finali di questo processo, per il cattolicesimo italiano,  sono sotto gli occhi di tutti: 
-il fallimento tra gli scandali dei leader politici di CL, 
-gli scandali vaticani che hanno mostrato una Chiesa inerme, poco coerente e attraversata da fratture che trovano sfogo nelle indiscrezione di qualche giornalista e non in un dibattito franco, 
- la copertura data al berlusconismo, 
- le lotte per il potere ecclesiale e non, 
- la marginalizzazione dell'associazionismo cattolico nel dibattito pubblico, 
- il senso di inadeguatezza, frustrazione ed inutilità che tanti laici impegnati avvertono riguardo a convegni ed occasioni di dibattito ecclesiale.

Concludendo mi chiedo seriamente se non sia arrivato il momento di un bilancio franco  all'interno del cattolicesimo italiano su questo storico abbaglio, non per tornare ad un dibattito ormai superato (presenza o mediazione?),  ma per trovare nuove strade e nuove ragioni per una presenza "realmente significante" dei cattolici nella società italiana.


Cattolici, tra contrasti e tregue
un’impossibile unità politica

La rissa fra spezzoni del mondo cattolico non deve sorprendere. È il riflesso fedele di una crisi di identità culturale, prima ancora che politica, non ancora superata dopo la fine della Guerra fredda e della Dc, e dopo gli anni dell'alleanza ambigua col berlusconismo. Le parole aspre che si scambiano Famiglia cristiana e Comunione e liberazione sono figlie di ruggini di un passato sempre più corrosivo.
E confermano che il «nuovo protagonismo politico dei cattolici», espressione abusata, continua a manifestarsi con contrasti, incomprensioni, idiosincrasie; quasi mai su parametri di unità.
Ma forse il problema è proprio questo. Continuare a immaginare un mondo unito o comunque destinato a ricompattarsi costituisce un'illusione, anzi una sorta di involontario abbaglio storico. A un mese e mezzo dal primo anniversario del convegno dei «Forum sociali cattolici» a Todi, dove si tentò una riconciliazione interna in vista di un mitico rilancio, quanto accade sottolinea non le dimensioni di un'occasione mancata, ma la vistosità di una missione impossibile. Non è soltanto l'impossibilità di «rifare la Dc» o qualcosa di simile: a meno che non si immagini una «rifondazione cattolica» minoritaria e con un marcato profilo clericale.
Lo stesso governo di Mario Monti, nel quale sono presenti in veste di ministri alcuni dei protagonisti di Todi, non può essere letto come il ritorno sulla scena di quel mondo. Le dinamiche che hanno plasmato la coalizione dei tecnici sono totalmente staccate da logiche di appartenenza religiosa. E lo stesso Monti è l'esempio lampante di un cattolico convinto ma «non militante», scelto come premier per ragioni di competenza economica e di credibilità internazionale: un «cattolico per caso», si potrebbe azzardare, fuori dalle appartenenze miniaturizzate e incattivite che di tanto in tanto riemergono sotto il segno di polemiche datate.
Sono prolungamenti di conflitti del passato, e indizi di una frattura nel modo di intendere il rapporto con il potere. Ogni isolotto dell'arcipelago cattolico lo vive a proprio modo, imputando al vicino la colpa di un approccio diverso. Scorie di quello che una volta era il «supermarket democristiano»: tutto o quasi, e il contrario di tutto, tenuti insieme dalla finzione di un'unità politica necessaria contro il comunismo. Ma da tempo non esiste più questa esigenza. E probabilmente andrebbe archiviata anche la classificazione di «laici» e «cattolici», perché non si capisce come mai l'opinione pubblica dovrebbe considerare distinte e perfino contrapposte queste due identità.
Rimane invece, e riaffiora, la tendenza a una rivalitàche riecheggia quella fra subalternità governativa e «grillismo» anche ecclesiastico nei confronti di Palazzo Chigi. Si tratta di un fenomeno tipico di una fase se non di decadenza, di forte sbandamento, accentuata dalla crisi economica e dalla difficoltà di rapportarsi col governo Monti. Le gerarchie religiose non possono fare molto. Non sono in grado di rimettere insieme un esercito atomizzato in sottogruppi; e sono percorse a loro volta da tensioni non troppo sotterranee. Insomma, l'unità è un fantasma per tutti.
Lo stesso richiamo ai «valori non negoziabili» finora si è rivelato insufficiente a unificare qualcosa che ormai ha punti di riferimento divergenti. Tanto che è improbabile assistere a tregue o riconciliazioni, per quanto invocate o pilotate dall'alto. L'impressione è che l'Italia intera, quella delle associazioni, dei partiti, della protesta, faccia il proprio ingresso nella Terza Repubblica più frantumata che mai; e assillata da un senso di vuoto e di tendenza a guardare indietro a caccia di colpevoli, che i veleni fra cattolici semplicemente rispecchiano: energie sprecate duellando su campi di battaglia artificiosi, mentre le linee di rottura sono altre.




lunedì 20 agosto 2012

Vocazione radicale


Mi ha molto colpito questo passaggio dell'articolo di fondo di Mons. Crociata pubblicato su Avvenire del 15 agosto scorso : " C’è un ricco vissuto ecclesiale, intessuto di impegno caritativo e sociale – fatto di azione pastorale ordinaria e di proposta formativa – che ha bisogno di diventare visione condivisa della vita collettiva e dei suoi beni ideali e valoriali, anche attraverso l’elaborazione di una cultura che interpreti la vita del Paese e concorra a progettarne il futuro. In questo quadro acquista significato e forza di necessità l’esigenza di accompagnare la dedicazione di singoli credenti all’ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale. "
In effetti penso che le parole del segretario generale della CEI dovrebbero interpellare molto seriamente chiunque, ai vari livelli,  nella Chiesa italiana occupi qualche posto di responsabilità.
Cosa significa oggi e concretamente "accompagnare la dedicazione di singoli credenti nell'ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale"?
Scegliere di essere vicino a chi si dedica alla politica come vocazione radicale pare già una scelta di campo netta. Vuol dire, nel generale e scontato attacco alla casta politica di questi giorni,  considerare positivo che vi possano essere persone che dedichino la propria vita alla politica: non però alla politica immaginaria che ci sarà, dopo composizioni e ricomposizioni o altri artifizi politicanti, ma a quella che c'è! 
Come non ricordare la lezione weberiana della politica come beruf (professione/vocazione)!
Si, ma cosa potrebbe voler dire "vocazione radicale" alla politica?
Vocazione è l'intima chiamata interiore al servizio che il Signore fa a ciascuno in tanti campi della vita.
Radicale forse potrebbe voler dire il riferimento ad un impegno senza risparmio di energie scelto  con matura responsabilità.
Qualcuno potrebbe interpretare questa scelta di campo di mons. Crociata come la necessità di scegliere, guidare e promuovere chi è ritenuto, per fedeltà al magistero (e forse agli orientamenti politici del don/mons di turno), più adatto a servire nella politica.
Questa nuova generazione di cattolici in politica, invocata forse eccessivamente, non può nè deve certamente nascere così.
Su questo concordo con Crociata, quando chiarisce che queste scelte devono essere assecondate "solo" nella dimensione vocazionale radicale.
Comunque ammettiamo anche che siffatte vocazioni radicali alla politica esistano, la domanda è: cosa fare?
Il passaggio di Crociata sul punto mi pare illuminante: è significativo e necessario accompagnare i singoli credenti.
Chi ha posti di responsabilità nella Chiesa italiana, ai vari livelli, dovrebbe fare ciò!
Ciascuno per la sua parte in vista del bene comune.
Una grossa responsabilità!
Accompagnare significa farsi prossimo, farsi vicino, farsi compagno di viaggio, cercare la calda amicizia, evitare l'indifferenza, aiutare a maturare, cercare il dialogo e la condivisione con coloro nei quali si scorgano i segni di questa vocazione radicale. Vuol dire per questo essere attennti ai percorsi vocazionali di ciascono, assecondarli, farsene partecipe.
Mi chiedo: se la nuova generazione tanto invocata tarda a venire, non è che forse la stessa Chiesa italiana, e chi in essa a vari livelli ha posti responsabilità sia nel governo e sia nell'accompagnamento spirituale, non è pronta ad assolvere questo gravoso e affascinante compito maieutico?

Risvegliare le coscienze

Le grandi difficoltà dell’ora presente richiedono un sussulto di consapevolezza e di partecipazione che non sia circoscritto al­la pur necessaria dimensione tecnico-politica. In quest’ottica, che riguarda insieme cittadini, istituzioni e società civile, una re­sponsabilità particolare spetta ai cattolici, portatori di una visio­ne e forti di una presenza che possono recare un grande contri­buto al risveglio delle coscienze. Il rapporto tra cattolici e politica è all’ordine del giorno. A farlo tornare di attualità concorre la sfi­da lanciata dal drammatico intreccio tra crisi economica e infini­ta transizione della politica, le cui riforme sembrano non arriva­re mai. Il momento ora richiede uno sforzo convergente da parte di quanti rivestono ruoli di pubblica responsabilità come pure dei singoli cittadini. Non mancano i segnali della volontà di uno straor­dinario impegno collettivo, riconoscibili nella disponibilità di tan­ti a farsi carico dei sacrifici necessari, mentre rimane quasi intat­to dinanzi a noi il compito di coniugare misure congiunturali e pro­getti per il futuro del Paese: la gravità del momento non tagli fret­tolosamente fuori ciò che va appena oltre i quotidiani bollettini economici. 



Sarebbe ingeneroso non riconoscere gli sforzi che governo e isti­tuzioni stanno compiendo; ma sarebbe miope sottostimare la fe­conda operosità disseminata nei territori, spesso priva di risalto nella cronaca e nella rappresentazione mediatica. Tanta parte di questo sforzo, dai vertici istituzionali alla base popolare, ha nome o anche solo sensibilità cattolica. Senza pretesa di esclusiva, i cat­tolici sono parte viva e significativa della coscienza morale del Paese, e in questo momento contribuiscono in maniera determi­nante, sia essa palese o discreta, all’attraversamento di questa fa­se della sua storia. La terapia che essi praticano discende da una diagnosi che mostra necessario rimuovere le cause oltre che alle­viare i sintomi. Bisogna che i provvedimenti adottati abbiano l’ef­ficacia del lungo periodo e possiedano la qualità di interventi strut­turali. Le vere risposte alla crisi sono quelle che inducono a guar­dare lontano, che provano a dare una soluzione ai problemi in u­na visione progettuale, in modo che la crisi rappresenti non solo un problema ma anche un’opportunità. 



La situazione di emergenza non sembra di breve periodo; perciò la tentazione sarebbe adesso la divisione, la fallace risposta della lotta di tutti contro tutti. Dalla crisi non si esce esasperando i con­flitti e lo spirito di contesa, ma praticando rinnovata solidarietà e nuova amicizia civica. L’Italia è stata grande quando, nei momenti difficili, tutti si sono fatti carico e si sono presi cura l’uno dell’al­tro. Questo è tempo di risveglio della consapevolezza che ci lega un destino comune, che solo insieme supereremo le prove che ci attendono e per ciò stesso inizieremo a ricostruire. 



È in questa direzione, e non da ora, che si muove la Chiesa in Ita­lia, innanzitutto con il costante richiamo magisteriale - a partire dalle parole di Benedetto XVI - ai princìpi e ai valori costitutivi del senso autentico della persona, della vita, della società ("l’etica del­la vita e della famiglia - ci ha ricordato in questi giorni il cardina­le Bagnasco - non è la conseguenza ma il fondamento della giu­stizia e della solidarietà sociale"). In tale orizzonte si colloca il di­scernimento della situazione e della evoluzione della collettività attraverso lo strumento delle Settimane sociali e di altre istanze della riflessione cristianamente motivata, come pure la proposta di percorsi formativi promossi dalle chiese locali e dalle aggrega­zioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Tutta la comunità ecclesiale si sente chiamata a far crescere la co­scienza della responsabilità comune nei confronti del Paese. Non abbiamo interessi di parte da difendere, ma bene comune da pro­muovere. E il primo bene comune di cui l’intero Paese ha bisogno consiste in un rinnovato e rafforzato senso civico e dell’interesse generale. Oggi siamo in grado di vedere come la spregiudicata speculazione finanziaria e l’esasperazione dell’individualismo e­tico- culturale di piccoli gruppi minacciano pericolosamente la vi­ta di tutti, perché dilapidano ricchezza collettiva accumulata lun­go decenni a forza di laboriosità e di risparmio, e tutto un patri­monio di tradizioni di valori e di vita buona. Finché non ricono­sceremo che la crisi si annida nei comportamenti individuali e particolaristici, non impareremo che da lì inizia il riscatto che farà vedere la luce ora e negli anni a venire, necessario ancor prima di ogni pur avveduta soluzione tecnica.



P er i cattolici, la comunità ecclesiale nelle sue varie articolazioni è lo spazio in cui intraprendere questa azione di nuova maturazione, innanzitutto sul piano della fede e, grazie ad essa, anche su quello etico e civile. 


L’energico rilancio di iniziativa pastorale è puntualmente attestato nella vita della Chiesa: il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, l’Anno della fede con la memoria del Concilio Vaticano II e della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, il cammino della Chiesa in Italia sul tracciato educativo ora sempre più chiaramente orientato all’appuntamento del Convegno ecclesiale nazionale di metà decennio. Una Chiesa vitale e fedele alla sua identità e missione è già fermento di nuova società. 


C’è un ricco vissuto ecclesiale, intessuto di impegno caritativo e sociale – fatto di azione pastorale ordinaria e di proposta formativa – che ha bisogno di diventare visione condivisa della vita collettiva e dei suoi beni ideali e valoriali, anche attraverso l’elaborazione di una cultura che interpreti la vita del Paese e concorra a progettarne il futuro. In questo quadro acquista significato e forza di necessità l’esigenza di accompagnare la dedicazione di singoli credenti all’ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale. 


Non dimentichiamo la presenza e l’impegno di quanti già militano nell’agone politico e operano nelle istituzioni. Ai cattolici impegnati in diversi schieramenti e formazioni è commesso l’onere di testimoniare quella convergenza originaria attorno alla fede e alla sua verità, che sono per tutti i credenti ragione di vita e radice di pensiero e di giudizio sulla realtà. In quella convergenza, andrà saggiata la qualità ecclesiale della loro appartenenza, nonché la conseguente coerenza personale indivisibilmente ideale e pratica.


Mariano Crociata