mercoledì 9 gennaio 2013

Cattolico che vota cattolico?!


Alle elezioni politiche un credente “deve” votare solo politici "cattolici"?
E’ la provocazione che mi balzava in mente, leggendo le cronache politico-ecclesiali nazionali degli ultimi giorni. Da un lato ci si affanna a definire questo o quel politico come cattolico rintracciando il quarto di sangue (la messa domenicale, il servizio nella tale associazione  ecc…) che lo certifichi “cattolico”, dall'altro capita di leggere che "La Chiesa cattolica sta con l'Italia e poichè sta ogni giorno tra la gente, i vescovi e gli uomini e le donne di Chiesa conoscono in modo davvero unico e "dal basso" problemi e attese, fatiche e slanci della vita vera". Un modo per sentirsi garantiti in una società che non si sente più propriamente cristiana?!
In effetti il ragionare di questo affascinante "sentire cum ecclesia" proposto ai credenti da tanti opinionisti, potrebbe semplificarsi così:
- i cattolici sono gli interpreti autentici "dal basso" della “vita vera” paese,
- per questo devono essere ascoltati ed  hanno una grande responsabilità nello scegliere chi ci guiderà.
- Sintesi: Con quale criterio dovranno scegliere? Votare politici integerrimi "cattolici", meglio se pugnaci difensori della triade V.F.E. (Vita-Famiglia-Educazione).
Ma è proprio così!? Siamo così sicuri di questa sintonia tra cattolici e Paese? L’unica risposta praticabile è proprio quella del “cattolico che vota cattolico”?
La tesi  è accettabile con un'avvertenza: i cattolici, categoria ampia nella quale sarebbero comunque utili distinzioni, non sono i soli ad interpretare "dal basso" la vita vera della gente in contrapposizione ad una politica lontana dalle persone. Sarebbe utile riconoscere umilmente che i cattolici non sono i soli in contatto con la vita vera, facendosi persino sfiorare dal dubbio che qualche politico vicino alla “vita vera” in giro c’è ancora e non è sempre “cattolico”.
Dietro al ragionamento sulla responsabilità dei cattolici si nasconde un pericolo: l’esigenza di essere ascoltati in politica, e quindi impegnarsi per questo, implica sempre l’esigenza “spirituale” di purificare l’impegno dalla fascinazione del potere. Il “tra voi non sia così” evangelico deve essere la cifra e lo stile di un impegno politico che non si improvvisa schierando qualche faccia pulita alle elezioni ma è il frutto di un faticoso cammino personale e comunitario.
La sintesi non pare infine scontata. Sul piano fattuale si scontra con il fallimento politico di tanti “cattolici” che in questi anni hanno riscosso molti consensi, sul piano concettuale implica la riduzione della forza morale della cultura cattolica a lobby d’interessi.
E’ questa la strada che sono chiamati a percorrere i credenti italiani che dovrebbero partorire la invocatissima “nuova generazione” di impegnati in politica?
Forse non sarebbe utile per tutti noi cattolici un sereno ed umile esame di coscienza che ci porti a vivere autenticamente ciò che predichiamo?! Ad esempio predichiamo la vicinanza alle povertà, ai giovani precari e disoccupati: le nostre parrocchie e le nostre associazioni sono sempre e coerentemente al loro fianco? Predichiamo il diritto alla partecipazione politica e soprattutto nei partiti politici: i nostri organismi pastorali e le nostre associazioni sono sempre coerentemente palestre di partecipazione? Chiediamo con forza attenzione per le famiglie: le nostre comunità e le nostre associazioni nel programmare la pastorale sono sempre coerentemente attente alle esigenze delle famiglie?
Una volta appresi da un amico sacerdote un bel motto: “E’ l’opera compiuta che mostra la qualità di chi la compie” (Gregorio da Nissa). Forse i cattolici –e chi aspira ad interpretarne il sentire- dovrebbero sempre ricordarlo: misurando la qualità della proposta “politica” extra ecclesia sull’opera compiuta intra ecclesia faranno un vero servizio al Paese, liberando la grande forza morale del cattolicesimo politico.