domenica 30 gennaio 2011

Cattolici in politica: la voce di Campanini


Difficile non condividere le riflessioni di Campanini. 
Purtroppo pian piano questa vecchia guardia di cattolici dalla schiena dritta va scomparendo...chi ne prenderà il testimone


Campanini: cattolici spaventati dalla politica

«Il cattolicesimo italiano sta diventando intimistico», dice il professore, «e soffre ormai della stessa malattia che affligge la nostra società: ciascuno si fa gli affari propri».

20/01/2011
Don Sturzo incontra Alcide De Gasperi.
Don Sturzo incontra Alcide De Gasperi.
Premette e avvisa: «La fede non può in alcun modo sostituire la conoscenza puntuale dei problemi, che è una condizione necessaria perché le decisioni assunte dalla politica siano efficaci e producano buoni risultati». Giorgio Campanini, per lunghi anni professore di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma e poi di Etica sociale a Lugano e di Teologia del laicato alla Pontificia Università Lateranense a Roma, ha appena compiuto 80 anni e ragiona di politica e di fede, di religioni e di Stato e del rapporto non sempre facile tra cristianesimo e potere. E riflette sull’Italia e sulla Chiesa, i suoi vescovi e i suoi laici impegnati e disimpegnati, in un travagliato momento politico per il Paese. Voce di riferimento per la comunità ecclesiale durante la stagione postconciliare, senza sconti per nessuno.

Professore, perché la conciliazione tra il cristiano e la politica è difficile?
«Per un cristiano la politica è “servizio”, ma poi deve stare attento e non fare pasticci tra l’etica del successo e l’etica della testimonianza ».

Ma lei da cosa parte?
«Dal Vangelo, perché lì dentro ci sono gli strumenti per l’analisi. Prenda la questione della competenza. Rilegga Luca, quando il Signore spiega che chi ascolta le sue parole è come un uomo che ha costruito la casa sulla roccia e quando viene la tempesta e il fiume rompe gli argini la casa sta in piedi perché era costruita bene. Insomma, per operare bene in politica non basta la buona volontà, la buona fede, come si dice, e nemmeno una personale vita di pietà».

E lo spirito di servizio, altra formula spesso abusata?
«C’è un’ipocrisia con la quale spesso il potere usa quella formula, mentre essenzialmente persegue fini di successo e di affermazione personale o di gruppo. È il tema delle distorsioni: clientelismo, favoritismi vari, uso improprio della capacità di persuasione del politico fino ad arrivare alla corruzione. Ma c’è un’altra questione da analizzare, e cioè la zona grigia che sta tra la vera e propria corruzione, cioè un reato, e l’esercizio del potere discrezionale, che non è reato ma non vuol dire che sia ammesso, se esso diventa improprio. Per un cristiano che fa politica non basta astenersi dalla corruzione, occorre anche dare un’esemplare testimonianza, per esempio stando lontani da chi – parenti, amici, finanziatori, sostenitori – sollecita un uso disinvolto del potere, aiuti, posti e via di seguito. Si chiama “rigore morale” e oggi è una sorta di chimera».

Come giudica l’attuale momento politico?
«È uno dei più tristi della storia della Repubblica, ma non è tutta colpa della politica. Una notevole responsabilità l’ha l’opinione pubblica, che ha preferito l’intrattenimento televisivo, che non chiede informazione corretta, che ha deciso di non partecipare alla vita civile. E quando sono i cattolici ad aver perso passione per la città, cioè l’amore per le cose comuni, per dirla con Giorgio La Pira, il guaio è grande. Negli ultimi trent’anni i cattolici se ne sono andati dalla politica, hanno messo nel cassetto le proprie “virtù sociali”, hanno deciso di non andare a votare».

Peccato di omissione?
«Non faccio il confessore. Osservo solo che la disinformazione va bene, che si è accettata la delega passiva, che in giro c’è una riluttanza forte a informarsi sui programmi dei partiti e le personalità dei candidati, che “tutto va bene” e chi dissente è guardato con sospetto. Domando: davvero è senza importanza che l’etica pubblica sia sparita dall’orizzonte?».

Secondo lei da quando è accaduto?
«Da Craxi in poi è iniziata una fase involutiva della politica».

Che i cattolici non sono stati in grado di contrastare...
«Esattamente. Da una parte ci si era illusi che occupando ancora il potere con la Dc si poteva salvare qualche cosa. Dall’altra, l’episcopato italiano ha creduto, venuta meno la Dc, di poter gestire direttamente il rapporto tra la Chiesa e la politica. Ma ha demotivato i laici cattolici. Se l’episcopato parla sempre, perché dovrebbero poi intervenire i laici? L’esempio più recente è la Settimana sociale di Reggio Calabria: attenzione al messaggio del Papa e alla relazione del cardinale Bagnasco e silenzio sul lavoro delle commissioni dove parlavano i laici. Qualche difetto c’è».

Senza il cardinale Ruini in questi anni sarebbe stato peggio?
«Da molti anni la Cei gestisce in prima persona il rapporto con la politica. Io credo che, invece, i vescovi dovrebbero intervenire solo in casi eccezionali. La Gaudium et spes sottolinea la responsabilità dei laici. C’è qualcosa che non va nell’applicazione del Concilio».

Cosa bisogna cambiare?
«Bisogna scovare qualche organismo ecclesiale che dia voce ai laici ed esprima l’opinione dei cattolici e non solo dei vescovi. Può essere il Comitato permanente delle Settimane sociali, ma deve essere guidato da un laico e non da un vescovo. Oppure il Forum del progetto culturale, ma vescovi e cardinali devono fare un passo indietro».

Per dire che cosa?
«Per parlare, innanzitutto. Le faccio un esempio: sui 150 anni dell’unità d’Italia non c’è alcun documento su cosa i cattolici si attendono, su cosa vogliono che sia realizzato. Hanno parlato solo vescovi e cardinali. Sulla crisi politica non è stato elaborato nulla e non basta assolutamente per essere contenti mettere in fila le prolusioni del cardinale Bagnasco alle Assemblee e ai Consigli permanenti della Cei. I laici cattolici parlano e scrivono in ordine sparso e non c’è nessuno che si preoccupi di dare loro voce unitaria».

È soltanto questione di forma o anche di contenuto?
«La passione civile latita anche dai pulpiti, dalla catechesi, dalla prassi quotidiana: è paura della politica. Il cattolicesimo italiano sta diventando intimistico e soffre della stessa malattia della società: ciascuno si fa gli affari propri».

E sui “valori non negoziabili”?
«Sull’argomento ho delle riserve. L’esistenza di Dio è un valore non negoziabile. Ma quando si dilata troppo questa categoria si cade in più di un equivoco e si impedisce alla politica di avere cittadinanza. La politica è l’arte della mediazione. Prenda la vita, pacificamente valore non negoziabile. Ma non basta l’affermazione, perché poi si tratta di capire come la si difende in un particolare momento storico, cioè come si negozia sulle scelte. Qui i cattolici possono anche dividersi tra loro, arrivando a scelte politiche diverse, senza che ciò debba creare scandalo».

L’attuale Governo su questo piano secondo lei va promosso?
«Si può dire che ha impedito qualche deriva radicale sulla questione dell’eutanasia. Ma sulle politiche a favore della famiglia il mio giudizio è pesantemente negativo. E poi ci sono problemi come la questione dell’etica privata distinta da quella pubblica, la sindrome da presidenzialismo, la subordinazione dei valori agli interessi, l’uso strumentale, a volte, dell’etica evangelica, l’apparenza a scapito della sostanza».

Molti tendono a dare la colpa a Silvio Berlusconi. Lei che ne pensa?
«Magari fosse così! Auguro a Berlusconi lunga vita da pensionato. Ma non è lui il problema. È la cultura che in questi anni è stata imposta: arrivista, erotizzata, basata sulla visibilità. Piace agli italiani, ma non dovrebbe piacere ai cattolici».
Alberto Bobbio

lunedì 17 gennaio 2011

Lettera al consiglio diocesano

IL TESTO COMPLETO  DELLA LETTERA APERTA CHE HO SCRITTO
AL CONSIGLIO DIOCESANO DI AZIONE CATTOLICA AL TEMINE DEL MIO MANDATO DI SEGRETARIO DIOCESANO. LO PUBBLICO QUI. PERCHè PARTE DI ME.


Cari amici consiglieri vecchi e nuovi,
            dopo lo scambio di mail di novembre vi dissi che avrei meditato nel cuore le vostre parole. Però non sempre è facile aprire il cuore. Oggi decido di farlo con voi perché siamo insieme chiamati a prendere decisioni importanti che determineranno il prossimo triennio.
            Il consiglio è stato rinnovato.  Ci sono oggi 8 nuove persone: renza orsola sisina emanuela marilena lia carmelina veronica., delle quali tre con esperienze in precedenti consigli (renza, carmelina, sisina). Dei vecchi siamo rimasti in 11: io daniela angelo rino federico valentino marino ennio teresa letizio raffaele.
            In questo ultimo triennio è stato fatto da tutti noi un lavoro bello e faticoso, cercando di tenere unita l'associazione a livello diocesano per evitare quegli appiccichi e ammuine che il vescovo più volte ci ha raccomandato di evitare. Tutto ciò senza trascurare la necessità per l’associazione di essere inserita a pieno titolo nel tessuto ecclesiale.
            E' un lavoro che ha portato frutti perchè, aldilà delle inevitabili frizioni dovute a incompatibilità caratteriali e personali che forse sono imprescindibili, tutti i consiglieri hanno avuto a cuore sinceramente la sorte dell'associazione, mettendo a disposizione il meglio delle proprie forze.
            Ciò non di meno, oggi in un consiglio in parte rinnovato, siamo chiamati tutti insieme ad uno sforzo maggiore: far si che questa unità formale diventi sostanziale. Non l’unità retta dalle relazione amicali e dallo spirito di simpatia/antipatia, ma una unità rinsaldata su ben altre fondamenta: la fede nel Signore che tutti ci unisce e il bene dell’associazione dove siamo chiamati a svolgere in questo momento il nostro servizio nella Chiesa.
            Personalmente in questo triennio passato ho avuto l’onere e l’onore di interpretare il ruolo di segretario dell’associazione: un incarico che mi ha portato a valutare ed affrontare insieme al presidente ed all’assistente unitario tante situazioni, preparando i consigli e gli ordini del giorno e organizzando, in prima persone insieme ai ragazzi della segreteria, tante iniziative unitarie.
            Questo ruolo mi ha portato, come era naturale, elogi e critiche, dovuti a pregi e limiti miei personali ben noti a tutti.
            Non sta a me giudicare il mio lavoro in associazione. Qualche atteggiamento mio però lo posso giudicare io stesso. Forse a volte mi sono sentito, lo dico in senso spirituale, troppo “determinante” nelle situazioni ed un eccesso del mio “zelo associativo” ha portato qualcuno a consolidare giudizi già formati sulla mia persona. Forse mi sono troppo facilmente arreso di fronte al rifiuto di relazioni autentiche che mi è sembrato di cogliere in alcuni (….e forse non era così!) e alla impossibilità “logistica” di coltivarle, visto che in questi tre anni la mia vita è stata “sconvolta” (in bene naturalmente) da due preziosi doni, Giuseppe e Marta. Comunque, come ci ripete don Franco con Gregorio di Nissa, “è l’opera compiuta che mostra la qualità di chi la compie”.
            Non fraintendetemi. Vi dico questo perché oggi, al termine del mio mandato in consiglio di presidenza, sento il dovere morale di porre in luce alcuni nodi problematici della vita del consiglio che spero il prossimo presidente accolga con la dovuta attenzione e serietà…proprio per costruire quella unità sostanziale di cui parlavo prima. Vi prego naturalmente di sorvolare su qualche espressione che potrà apparirvi ultimativa: sono espressioni proprie del mio stile a cui non mi va di rinunciare ma vi assicuro che non presumono, nelle intenzioni, di essere assolutamente valide per tutti e vengono offerte come semplice aiuto e punto di vista.
            Un primo nodo problematico è LA NECESSITA’ DI UN PATTO EDUCATIVO in associazione. Ciò significa che tra i settori e le articolazioni dell’associazione deve esserci fiducia e stima reciproca piena, senza cedimenti di sorta. Per questo parlo di patto educativo: perché deve essere proprio un patto (i patti sono quelli che si concludono semplicemente senza formalismi…con una stretta di mano!) al fine di svolgere il servizio educativo (formativo!) che la Chiesa ci affida. Soprattutto, in questo senso, delicato è il rapporto tra il livello unitario (presidente e assistente unitario) ed i settori. I giudizi della presidenza e dell’assistente unitario sono molto importanti per i settori. Determinano tanto del clima in consiglio. Nessuno in associazione deve sentirsi sotto accusa per il lavoro fatto. Tutti devono sentirsi liberi di esprimere valutazioni e consigli, senza preclusioni. Il patto che propongo è proprio questo: porre alla base delle nostre relazioni nel consiglio una fiducia e stima incondizionata frutto della carità, superando le naturali antipatie/simpatie che tutti ci portiamo dietro. Quante sono vere per noi le esortazioni di san Paolo ai Romani: “la carità non abbia finzioni…gareggiate nello stimarvi a vicenda”!
            Il secondo nodo problematico è l’adeguata CONSAPEVOLEZZA DEL RUOLO DEL LIVELLO DIOCESANO. Spesso non siamo consapevoli abbastanza dei presupposti e delle conseguenze del ruolo di cui è investito il livello diocesano: l’accompagnamento delle parrocchie. Questo accompagnamento presuppone che non si taglino con l’accetta giudizi sulle associazioni parrocchiali o sulla loro generalità Non esistono parrocchie virtuose e parrocchie non virtuose; non esistono assistenti inesistenti o esistenti. Ci sono solo associazioni parrocchiali che devono essere accompagnate: piccole o grandi che siano. Il ruolo del consiglio diocesano, soprattutto dei membri di presidenza, esige una vera e propria sospensione del giudizio (epochè!) rispettosa del lavoro più o meno nascosto che, tra varie difficoltà, le attuali 23 parrocchie dell’associazione portano avanti. Questa sospensione del giudizio potrà essere il giusto presupposto “spirituale” per un accompagnamento serio delle parrocchie, soprattutto delle nuove (Airola, Airola, Luzzano e moiano in via di formazione) che in questi anni ultimi sei anni hanno sostenuto la vitalità, anche numerica, della nostra associazione diocesana a fronte un fortissimo e consistente calo delle associazioni e dei soci. Ecco, evitare i normalissimi sfoghi di chi cerca di coinvolgere con le frasi del tipo:
-“nella tal parrocchia non si fa azione cattolica” (…e tutti a pensare: ma nella tua come la fai?),
-“i responsabili sono solo sulla carta” (e tutti a pensare: dove? in quale associazione?),
-“ci sono parrocchie dove si lavora ed altre dove non si lavora” (…e tutti li a pensare: quali sono?!),
-“noi facciamo di tutto ma non ci rispondono e non vengono” (….e tutti a chiedersi: chi è che non risponde?),
-“il tale assistente non fa niente” (beh…. qui nessuno si chiede niente perché non abbiamo pudore ed esplicitiamo facilmente le nostre critiche all’assistente di turno) ecc…;
ecco, dicevo, evitare tutto questo (le frasi e i retro-pensieri)aiuterebbe tutti i consiglieri diocesani ad essere consapevoli del proprio ruolo ed eviterebbe di fare del consiglio diocesano lo sfogatoio di parrocchiani frustrati e di detentori del verbo associativo (scusate l’espressione un po’ forte e forse ultimativa! Vi prego di non cercare identificazioni in questa o quella persona perché è un discorso che ci coinvolge tutti, anche e soprattutto me per la cosa peggiore che sono i retro-pensieri!)
            Infine il terzo nodo problematico è la INCLUSIVITA, come modalità di organizzazione delle iniziative. In questo triennio ho fatto una bellissima esperienza con i ragazzi della segreteria: Valentino (incaricato AVE) Rino (incaricato WEB ADESIONI) Lorenzo (vice segretario tutto fare) e il nostro amministratore Federico. Anzi colgo l’occasione per ringraziarli del lavoro di segretaria svolto e per l’amicizia più volte mostratami. Senza di loro tante iniziative si sarebbero portate a termine con tante difficoltà in più. Ho un serio rimpianto per Massimo Calvano che ha lasciato la segreteria dopo un anno perché si sentiva, a mio parere e ai ragazzi l’ho fatto presente a suo tempo, escluso da tutti noi (io federico vale lorenzo rino). Certamente questi giovani della segreteria non sono i miei amici delle uscite, né tanto meno ho potuto giocare con loro le tante “serate lupus” (gioco “tribale” che ad oggi ancora non ho capito e che mi piacerebbe fare!   Questa è una precisa richiesta di invito ;-)). Tuttavia vi dico che, per la mia piccola esperienza, con loro ho cercato di essere “inclusivo”. Vuol dire che ho sempre cercato di non escluderli dalle cose e dalle iniziative per il solo fatto che non mi fossero all’inizio simpatici al 100%, che all’inizio non mi fidassi di loro al 100%. Essere inclusivi nell’organizzare vuol dire questo: dare credito, dare fiducia non ostante limiti che ti paiono evidenti. Non dar fiducia a chi ti sta vicino vuol dire il più delle volte precludersi una possibilità di relazione autentica e significativa. Questo ho cercato di fare con loro, in parte ho dovuto rivedere i miei giudizi e sono anche stato in parte ricambiato. Ne ho tratto una lezione: vivere la responsabilità associativa come i monarchi dei risultati, i responsabili carichi di un peso a volte insostenibile, non ci aiuta ad essere inclusivi nel senso che ho chiarito. A volte occorre rischiare un poco ed essere inclusivi perché ciò che più importa non è la perfezione del risultato ma la bontà del lavoro che lo determina. Magari non avremo tutti i riconoscimenti sperati, forse topperemo alla grande….però avremo fatto e vissuto associativamente gli impegni.
            Vengo in ultimo ad una questione che mi sta a cuore affrontare col nuovo consiglio circa il futuro presidente diocesano. So di arrischiarmi in una questione delicata. Forse sono la persona meno indicata ad affrontarla. Ma anche qui sento un forte dovere morale di parlarvi col cuore in mano. Voglio con voi essere autentico amico e compagno di strada: per questo mi arrischio in un terreno per me “minato”.
            Purtroppo circa la delicata questione della presidenza diocesana, ho dovuto constatare in questi ultimi mesi una situazione di fatto che ha coinvolto la mia persona ben oltre le intenzioni mie e di tanti appartenenti all’ex consiglio.
Pur non essendo candidato ad alcunché, desiderando solo svolgere fino in fondo con serietà il mandato affidatomi di segretario, la mia persona è stata coinvolta nella disputa sulla presidenza. D’altra parte era naturale pensare che fossi un “papabile”: sono l’unico sopravvissuto dell’ultima terna, sono ormai l’ex-segretario. In più a tanti, anche in qualche parrocchia, sembra naturale che il futuro presidente sia chi ha maggiormente interpretato e determinato la linea associativa diocesana. Una scelta di continuità si sarebbe detto! Se ci siamo trovati bene con Nisia, pare naturale scegliere Diego.
Invece così non è: a me non è stata chiesta alcuna disponibilità per la presidenza, né mi reputo ambizioso al punto tale da auto-promuovermi. D'altra parte una associazione democratica e viva come la nostra su questo punto è sovrana.
            Ed è giusto che sia così! Queste cose vanno chieste nei tempi opportuni e comunque dalle persone preposte (l’assistente unitario e il presidente uscente nella fase pre-assembleare, il nuovo consiglio diocesano nella sua interezza che vota la terna dopo l’assemblea). Poi il vescovo liberamente decide.
Dopo tre anni spesi per la nostra associazione, non merito affatto i giudizi che alcuni (pochi!), pur essendo mossi da una sincera ricerca della persona giusta per guidare la nostra associazione, mi hanno riservato, forse spinti da antipatie immarcescibili. Tali giudizi non trovano giustificazione neanche nei miei molti limiti ed in un carattere che a tratti può apparire ruvido.
Vedete, cari amici del consiglio e compagni di strada, personalmente penso di avere il limite di non riuscire subito e all’istante ad accettare punti di vista diversi dal mio personale che mi vengono posti innanzi. Devo lavorare molto su me stesso per non incorrere in questo errore. Nelle discussioni, soprattutto quando sorgono improvvise o in momenti di stanchezza, questo errore mi porta a volte ad apparire poco flessibile ed a mostrare, preso dai miei “giusti” (?) ragionamenti, tratti a volte antipatizzanti. Ben conscio di ciò cerco sempre di tornare sulle questioni per cambiare punto di vista e, se necessario, chiedere anche scusa. Tuttavia questo mio limite in contesti ampi come il livello diocesano può portare alcuni di coloro con cui non ho una particolare consuetudine di relazioni amicali, a consolidare giudizi già formati. Ma chi non ha di questi limiti? Chi nel nostro consiglio non gode di antipatie e simpatie?
Vi assicuro che personalmente insieme al presidente ho ispirato e salvaguardato tante delle mediazioni (a volte al ribasso, devo ammetterlo!) che in questo triennio hanno tenuto unita l’associazione, evitando insieme a voi quegli appiccichi e ammuine tanto deplorati dal vescovo. Non sono uno che crea divisioni da contrapporre a chi invece non ne creerebbe! Godo di grande stima personale da parte del vescovo e dell’assistente unitario (posso tranquillizzarvi su punto)! Anzi ho sempre cercato in tutta sincerità di evitare le divisioni e le liti, assicurando l’adeguata preparazione dei consigli, coinvolgendo tutti nelle iniziative, cercando di non rispondere di fronte ad attacchi che a volte ingiustificabilmente trascendevano sul piano personale ecc … In un consiglio rinnovato solo in parte (non me ne vogliano gli 8 nuovi) anche la prossima presidenza potrà subire ciò!
Per questo mi sono anche convinto che questa situazione non merita il mio silenzio orante, bensì qualche parola chiara e autentica.
MI CHIEDO: E’ GIUSTO CONTINUARE SU QUESTA STRADA!?
No, non è giusto! Per questo nel triennio prossimo gareggiamo nello stimarci a vicenda e la carità tra noi non abbia finzioni!! Superiamo le sterili ed inutili antipatie personali! Gli inutili pregiudizi! Le nostre finte certezze! Mettiamoci in discussione insieme! Cerchiamo di essere l’uno per l’altro segno di contraddizione per svelare in tutta franchezza i pensieri dei nostri cuori. Forse scopriremo che certe distanze che oggi paiono tanto siderali da non permetterci relazioni autentiche, in realtà sono piccole piccole e superabili con un semplice passo. Il prossimo presidente ha bisogno del nostro aiuto, soprattutto di questo aiuto spirituale.
Gareggiamo nella stima vicendevole, amiamoci senza finzioni!!!!
            Vi confesso che per me grande è stata la tentazione di lasciare, reputando molto grave l’offesa subita come laico impegnato, professionista e padre di due figli. Ma poi mi sono detto che sono appunto “conseguenze in-intenzionali di azioni umane intenzionali” (il filosofo mi sembra che sia Popper.): a volte ci troviamo coinvolti in situazioni più grandi di noi aldilà delle intenzioni di ciascuno.
            Infine ha prevalso il desiderio di seguire la mia inclinazione e di lottare per avere un cuore sereno e dimostrare che su di me sono state sprecate parole gratuite. Questa lettera aperta è anche frutto e momento di questa lotta interiore non ancora conclusa.
Per questo ho sentito il dovere di condividere con voi queste riflessioni, osando sperare di essere inteso senza fraintendimenti, in vista del nostro primo consiglio dove sarò lieto di affrontare insieme a voi la nuova avventura del prossimo triennio! A presto.
Airola 30 dicembre 2010
(anniversario del mio matrimonio)                                                    Diego

Un uomo di Dio

QUESTO E' UN ARTICOLO CHE HO SCRITTO SULLA PAGINA DIOCESANA PER RICORDARE PADRE STEFANO.

Padre Stefano era il nostro parroco. Ci ha lasciati il 7 gennaio scorso verso le 15:00 nel letto dell'ospedale civile di Benevento
Ve ne voglio parlare attraverso semplici cose che passano perla piccola quotidianità della nostra parrocchia.
Voleva veramente bene a noi, suoi parrocchiani! Quanto abbiamo imparato!? Quanto ancora avrebbe potuto darci!?
Una spiritualità forte, perseverante, adamantina. Le omelie sempre legate alla parola. Meditate. Sempre riservato, schivo, timido. Un sguardo semplice che affondava le radici nella profondità di una vita di preghiera. Si affidava a Dio in tutto.
Prima e dopo la messa domenicale era bello salutare padre Stefano in sagrestia. Aveva sempre un sorriso che dava sicurezza e pace. Mi dicevo prima di arrivare in chiesa per la celebrazione domenicale: facciamo presto padre Stefano è solo. Ha bisogno di aiuto per la celebrazione. Bisogna organizzare letture e canti. Invece ero io che avevo bisogno di quella sua semplicità radicata in Dio, domenica dopo domenica per 10 anni. E poi padre Stefano non era mai solo. Stava a pregare in compagnia del Signore. Non sprecava mai il tempo senza pregare. A volte lo si trovava a sgranare il rosario, altre a legger un libro di spiritualità, altre in silenzio vicino all’altare. Pregare era l'unica cosa per la quale per lui valeva preoccuparsi.
Quanti aneddoti da raccontare!? Come quella volta che gli chiedemmo la data del suo compleanno e ci disse di non ricordarla ma che era il giorno di Santa Cecilia.
E’ vero: a volte  lo avremmo voluto più, come dire, “trascinatore di folle”.
Invece abbiamo capito che non era nella sua indole trascinare perché era trascinato lui stesso dall’amore e dal timor di Dio al quale si affidava continuamente. Proprio questo desiderava trasmetterci, riuscendoci.
Per questo in lui tutti noi vedevamo proprio l’uomo di Dio, il piccolo, gracile e forte segno della presenza del Signore tra di noi. Non aveva bisogno di uscire per le strade per andare incontro alle persone. La forza del suo esempio attirava in tanti. A volte lo vedevi attardarsi in chiesa fino alle 21:00 per ricevere persone. Aveva sempre tempo per confessare e amministrare i sacramenti. Aveva sempre tempo per ascoltare. Nell’ultimo periodo,anche se stanco e malato, aveva sempre la sua parrocchia nel cuore.
L’ultima volta che lo abbiamo visto era su in convento. Sorrideva e aveva in animo di tornare a breve tra di noi. E’ tornato solo la settimana scorsa e c’era ad attenderlo tutta la sua comunità parrocchiale  insieme a più di cinquanta sacerdoti, una folla che la nostra piccola chiesa parrocchiale non poteva contenere, a testimoniare un affetto vero e sincero per questo piccolo uomo di Dio segno della sua presenza tra di noi.
Padre Stefano ci mancherai tanto. Noi tuoi parrocchiani ti vogliamo bene e ti ricorderemo.
Continua a pregare da lassù per noi, per la tua comunità parrocchiale e anche per tutti i sacerdoti che hanno tanto bisogno delle tue preghiere e del tuo esempio.