sabato 21 marzo 2009

Il Pd di Franceschini

Cari amici,

trovo oggi questo articolo di Samuele Ciambriello.
E' da tempo che pensavo queste cose ma non trovavo tempo per articolarle.
L'amico Samuele lo ha fatto e mi ci ritrovo in pieno e per questo pubblico queste parole quasi che fossero le mie.
Questo Franceschini concreto, semplice e diretto inizia ad entusiasmarmi...come dicevo qualche giorno fa ad alcuni amici: "il vero leader del PD sta nescendo sotto i nostri occhi".



IL PD : LINEA POLITICA E DISCONTINUITA’
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Oggi alle 17.53
Finalmente il PD è diventato un partito concentrato sui problemi delle persone e sulle proposte per affrontarli piuttosto che sulle questioni che riguardano il proprio gruppo dirigente. Da un trauma politico è così emersa una sorpresa positiva. La svolta, inutile negarlo, era inevitabile, Veltroni ha fatto bene a dimettersi anche se il modo scelto lascia qualche perplessità ma, oggi, si può affermare che la scelta di Walter è stata fondamentale. La svolta c’è stata, è stata rapida e, da questi primi fatti, può definirsi senza dubbio positiva. Il partito non poteva permettersi una reggenza autolesionista fino alla prossima tornata elettorale di giugno e, diciamolo con forza, la nomina di Franceschini, vista dai più come una fase di transizione, si sta dimostrando molto più concreta e fattiva delle più ottimistiche previsioni. I problemi, sia chiaro, restano, sono tanti e non tutti di semplice soluzione, ma fin dal discorso di candidatura Franceschini ha chiarito che non sarebbe stato un “impiegato di partito”. L’inizio è positivo: l’annullamento del governo ombra, risultato molto ombra e poco governo, l’inserimento nella “stanza dei bottoni” del partito di personalità con forte radicamento locale, sono segnali incoraggianti. Ora, però, occorre qualcosa in più; occorre riappropriarsi dei territori, abbandonare il centralismo romano che cerca di risolvere, quasi sempre erroneamente, i problemi locali del partito. Il PD dovrà essere più radicato e più partecipativo, una sorta di partito associazione radicato nelle comunità e in grado di motivare e di organizzare l’impegno di un numero adeguato di persone. Il partito deve essere a tutti i livelli una palestra credibile di democrazia degli iscritti, degli elettori, dei cittadini e non la conta dei tesserati per notabili di riferimento come accaduto in troppe cittadine campane. I problemi, infatti, del PD a livello nazionale trovano, come al solito, una amplificazione massima quando si analizza la nostra Regione. A questo proposito occorre dire basta ai commissariamenti. Non è possibile che un partito giunga ad importanti scadenze elettorali in una Regione importante come la Campania con un commissario piemontese eletto nel Veneto,nominato da Roma. Il processo continuo di interlocuzione del partito con la società reale, con le sue superficialità e ricchezze culturali, con le aspettative e gli interessi che esprime è complicato da realizzarsi già in condizioni normali, figuriamoci quanto possa essere complesso con un Commissario. Un partito politico vive, cresce, si afferma se il corpo associativo e i gruppi dirigenti condividono le ragioni di fondo per le quali stanno insieme ed agiscono. E’ comprensibile che questo sia problematico nell’avvio di una fase costituente, ora, però, è necessario uscire dall’incertezza. Solo un PD consapevole di ciò potrà fare scelte chiare, comunicarle al Paese, dare efficacia alla sua azione.
Sulla capacità di comunicare del PD occorre, infine, una riflessione importante. Da un lato vi è certamente un imbonitore in odore di populismo neoautoritario che forte del suo strapotere mediatico e dell’uso spregiudicato che ne fa, aumenta consensi. Ridurre, però, tutto a questo sarebbe rischioso. Il PD è un partito che parla ancora con troppe voci diverse e, spesso, in contrasto tra loro e la cosa si traduce in una debolezza del messaggio se non in un boomerang negativo. La questione sociale è una bomba ad orologeria, il PD deve fare fronte comune per la difesa delle famiglie, dei lavoratori e dei pensionati. Il governo di destra sta allargando la forbice tra i ricchi e i poveri e sta mentendo su tanti aspetti; i nodi verranno al pettine, ma un partito serio deve essere chiaro fin d’ora, presentando la propria ricetta e evidenziando gli aspetti negativi dell’azione del governo. Agli occhi dei cittadini la crisi del PD è legata, anzitutto, ad una perdita di credibilità: lo spettacolo quotidiano di una parte decisiva del gruppo dirigente che non va in tv e sui giornali per tenere alta e visibile la bandiera dell’opposizione e della prospettiva politica del partito ma ci va, solo, per distinguersi se non addirittura in aperto conflitto con altri dirigenti dello stesso partito è un gioco al massacro che non ci si può più permettere. Lo spettacolo poi dei parlamentari “nominati” che per visibilità fanno interventi stravaganti ma non ascoltano iscritti e simpatizzanti! E poi la questione delle alleanze, la politica delle alleanze, per superare l’autosufficienza da sconfitta. Anche se la dimensione piu’ deficitaria della nostra politica di questi anni però non riguarda solo le forze politiche. Riguarda la nostra capacità di tessere alleanze con i soggetti organizzati del civile, con l’associazionismo di varia matrice, con il sindacato. In questo Franceschini ha enormi meriti di inversione di rotta rispetto alla gestione Veltroni; almeno a Roma qualcosa è cambiato, adesso occorre che questo processo di rilancio sia reale anche sui territori e la Campania è forse quello maggiormente critico, ma proprio per questo la sfida è ancora più avvincente. A cominciare dalle elezioni provinciali e dalle europee, senza protervia e tatticismi che già conosciamo ma anche senza candidature calate dall’alto! Il problema di gran lunga piu’ importante è una discontinuità positiva nella coesione dei gruppi dirigenti. Ripensare e cambiare vuol dire soprattutto condividere. Condividere non una mediazione al ribasso, ma un percorso e un profilo politico in grado davvero di ridare slancio e prospettiva al PD. Un compito arduo che esige un patto di tregua e di coesione, una discussione vera per condividere, non per dividere. E’ tempo di una corale assunzione di responsabilità.
articolo di Samuele Ciambriello

sabato 14 marzo 2009

La lettera del Papa

"A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo."

E' uno dei passaggi che maggiormente mi ha lasciato pensare della lettere di Benedetto XVI di recente pubblicazione circa le scomuniche ai lefebvriani.
qui trovate il testo integrale http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2009/documents/hf_ben-xvi_let_20090310_remissione-scomunica_it.html

Come commentare questa lettera, ammesso che sia concesso ad un semplice fedele?!

Vedo innanzitutto un papa che sente la necesssità intellettuale di confrontarsi e di spiegarsi col popolo di Dio. Quindi ci vedo innanzitutto un papa che prega, ci/si interroga e si/ci da delle risposte su una questione molto discussa, soprattuto dentro la Chiesa. E' uno dei tratti più belli di questo papa!

Detto questo, vedo un papa che ribadisce: "ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.";
un papa che ricorda che dopo la revoca delle scomuniche "Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento."


Io penso che questa sia la grande questione di questo pontificato che lo segnerà storicamente: l'interpretazione ed il posto del concilio Vaticano II nella storia bi-millenaria della Chiesa.

Il papa ha già chiarito la giusta interpretazione da dare del concilio nel famoso discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005: una lezione magistrale di storia della Chiesa in cui il papa contrapponeva la emeneutica della discontinuità con la ermeneutuca della riforma che è stata incarnata dai papi conciliari (Giovanni XXII e Paolo VI) spiegando come "È chiaro che in tutti questi settori (rapporto Chiesa/scienze, Chiesa/laicità, Chiesa/tolleranza religiosa), che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione".

Tuttavia mi vorrei soffermare sulle applicazioni che di quel discorso continuamente si fanno negli ambienti ecclesiali che contano.
Diciamo la verità: oggi non fa paura papa Ratzinger ma i ratzingeriani!
Quelli che utilizzano e strumentalizzano il suo magistero e la sua indiscutibile autorevolezza dottrinale.
Quelli che negano che il concilio abbia rappresentato una discontinuità nella Chiesa,
quelli che si appellano solo alla tradizione,
quelli che ritengono di riesumare i vecchi messali che poi sarebbero meglio della sciatta liturgia di oggi,
quelli che vorrebbero che in quegli anni non fossse successo nulla di nuovo,
quelli che accusano chiunque abbia nella Chiesa un pensiero non allineato di applicare una ermeneutica scorretta della discontinuità che vorrebbe andare oltre i testi del concilio.

Oggi c'è una parte della Chiesa che usa queste sottili violenze verbali per accusare gli avversari intra-ecclesia di non essere in comunione con la Chiesa: è una forma molto forte di violenza sulle coscienze!

La damnatio memoriae che alcuni studiosi, giornalisti ed ecclesiastici fanno dell'opera storica sul Concilio di Alberigo è il tipico esempio di questa violenza!

Il papa mostra di darsene ad intendere dove chiarisce che "si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento."

Ecco! C'è una parte dei cattolici, figli della Chiesa, che è amareggiata perchè ostracizzata dalla Chiesa... e non per colpa di questo papa!

C'è una parte della Chiesa ferita che, come recentemente e dolorosamente rilevava Hans Kung, non si aspetta nulla da questo papa.

Forse è questa l'unica critica che mi sento di fare a questo papa che, ubbedendo alla legge dell'amore e della misericordia, ha revocato giustamente la scomunica ai lefebvriani: aver ricordato a coloro che hanno protestato per questa decisione che la libertà va utilizzata nel modo giusto senza approfondire (e lo poteva fare, come ha fatto con i lefebvriani) le ragioni di una "amarezza che rivela ferite risalenti aldilà del momento".

Sono parole, rivolte a parte della Chiesa, molto (troppo!) dure, anche se meditate!

giovedì 5 marzo 2009

Nei deserti

In questo tempo quaresimale mi sono inbattuto in alcune parole:

"La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto.
E vi sono tante forme di deserto.

Vi è il deserto della povertà,
il deserto della fame e della sete,
vi è il deserto dell’abbandono,
della solitudine,
dell’amore distrutto.
Vi è il deserto dell’oscurità di Dio,
dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo.

I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi.

Perciò i tesori della terra
non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma
sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione.

La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza."

Sapete di chi sono queste parole? Di papa Benedetto XVI! Si tratta del discorso di inizio del suo pontificato.

Cosa faccio? Cosa facciamo per metterci in questo cammino?
Mi/Vi lascio con questi interrogativi.