mercoledì 30 settembre 2009

Bersani, perchè!?




Domenica ad Airola si è tenuta l'assemblea di circolo per l'elezione di sei delegati alla convenzione provinciale. Aldilà di problematiche organizzative e questioni di politica locale che esistono, oggi da semplice iscritto vi propongo il succo dell'intervento a braccio che ho fatto in quella sede a sostegno della mozione Bersani e ci aggiungo anche qualche altra considerazione più articolata.



Occorre una piccola premessa. A cosa serve fondamentalmente oggi un partito? Penso, a costituire principalmente una sorta di filtro tra l'elettorato, i cittadini, e quelle che sono le funzioni amministrative e di governo della polis. Il partito come formazione intermedia del corpo sociale è una sorta di camera di compensazione in cui vengono mediate le varie istanze ed ha come suo scopo fondamentale la realizzazione associata del bene comune. Il rapporto partito-società diventa dunque fondamentale: anche perchè il partito non è contrapponibile alla società civile in quanto ne è parte facendosene interprete in sede politica. Qui sta anche il nodo del rapporto tra etica e partito. Infatti oggi il partito, trovando il suo fondamento nella costituzione, non è chiamato alla costruzione di un'etica condivisa e semmai, più semplicemente, vi concorre. Risulta pertanto improprio chiedere al partito di creare un'etica "condivisa". L'etica condivisa, e mi riferisco ora ai temi più sconttatanti, la si costruisce in un discorso che è pre-politico, nella società e nella cultura diffusa del paese. In questa visione il partito diventa momento di un dibattito culturale più ampio.
Su questi temi compito del partito sarà quello di promuovere momenti di confronto e dibattito con la salda consapevolezza che le leggi non servono a riaffermare valori ma principalmente a risolvere problemi; con un atteggiamento pragmatico che rifugge opposti estremismi pur nel profondo rispetto di opposte ed irriducibili visioni su specifici punti.
Per fare ed essere tutto questo, un partito deve essere strutturato e organizzato con momenti di dialettica e di dibattito interno diffusi.

Questa premessa risulta indispensabile per comprendere appieno le coordinate di una scelta che oggi ci chiama a sostenere l'una o l'altra mozione.
Oggi quindi siamo chiamati a scegliere il segretario del partito, cioè il garante di questo ampio ed articolato processo di partecipazione.
Scelgo la mozione presentata da Bersani proprio perchè oggi mi sembra dare maggiori garanzie sulla organizzazione interna del nostro nuovo partito.

Infatti deve prendersi atto che fino ad oggi la linea politica perseguita da Veltroni e continuata da Franceschini è stata pochissimo attenta all'organizzazione interna e soprattutto agli iscritti. Il mito delle primarie per la scelta degli organi di partito,  il partito liquido degli elettori, la vocazione maggioritaria come decisionismo leaderistico, l'eccessiva attenzione all'effetto mediatico, la ricerca di un unanimismo di facciata, il tentativo di costruire un partito personale in cui l'organo di direzione politica sia diretta promanazione del leader sono altrettanti difetti di una linea politica che fino ad oggi ha trascurato una seria organizzazione del partito.
Un dato locale è lampante: a due anni dalle primarie del 14 pottobre 2007 nella sola provincia di Benevento amministrata dal PD oggi risultano costituiti solo 14 circoli su una settantina.
Queste motivazioni oggi mi fanno schierare per la mozione Bersani.

Detto questo, tuttavia non possono non mettersi in luce due nodi politici della mozione Bersani che vanno sciolti con chiarezza.


1) Nel testo della mozione il termine sinistra è volutamente citato una sola volta, definendo il PD come "partito della uguaglianza ispirato al cattolicesimo democratico ed alla sinistra democratica e liberale"; inoltre si invita a guardare a sinistra in tema di alleanza per costruire un nuovo centrosinistra definendo il PD come partito dei riformisti. Attenzione alle parole! Infatti nei vari incontri dal vivo Bersani definisce il PD anche come "partito di sinistra". Ecco, questo è un punto importante! Se si definisce "essere di sinistra" in una acccezione debole come "essere dalla parte degli ultimi" e credere, come sosteneva Bobbio nel 1994, che "l'uomo è un poco più uguale che libero", allora l'affermazione non fa una grinza. Tuttavia se essere di sinistra costituisce un preciso richiamo identitario ad una tradizione politica (comunista? socialista? socialdemocratica?), non ci siamo. D'altra parte oggi ai cittadini la geografia politica interessa veramente poco e forse queste disquisizioni offrono solo appigli ad interessate e strumentali prese di distanza.


2) In merito ai temi eticamente sensibili, sempre negli incontri dal vivo, più volte Bersani parla della necessità di porre un freno ai voti di coscienza dicendo che "non si può fare di ogni voto un voto di coscienza" anche perchè esiste la disciplina di partito. Ancora una volta Bersani coglie nel giusto! Tuttavia su questi temi, oggi al centro della polemica politica in maniera parossistica e sopravvalutata, è richiesto certamento un di più di precisione: occorre scendere nel dettaglio. Non basta richiamarsi alla laicità, alla tradizione del cattolicesimo democratico e alla legittima autonomia della politica. Occorre anche chiarire dove è ammissibile il voto di coscienza e dove no, nella consapevolazza che per il politico di ispirazione cristiana l'obbedienza al magistero è un alto valore. Occorre superare gli steccati! Occorrerà quindi tener conto, ad esempio, che su temi come il testamento biologico ad un politico di ispirazione cattolica non si può chiedere di rinunciare al principio per cui la somministrazione di acqua e cibo per vie artificiali sono in linea di principio mezzo proporzionato di conservazione della vita.
Su questi ultimi punti mi aspetto che si apra un dibattito franco e sincero nel partito.

mercoledì 2 settembre 2009

I valori? Mettiamoli da parte.



Osservando le vicende di questi giorni (caso Boffo, critiche alla legge sulla sicurezza, dibattito su testamento biologico e RU486 ecc...), mi chiedo seriamente quale sia la ricaduta pastorale, il contributo alla crescita di coscienza dei cittadini e della comunità di certe battaglie legislative sui temi bioetici e della famiglia in nome dei valori per le quali, alternativamente e di volta in volta, "certa parte e altra parte della" Chiesa-istituzione sembra disposta a sacrificare veramente tutto, anche la propria indipendenza di giudizio, anche la virtù della prudenza e persino, in certi casi, lo stile evangelico.

Riprendendo il celebre libretto di Carll Schmitt (La tirannia dei valori), pare che "certa parte e altra parte della" Chiesa oggi si trovi ad essere "tiranneggiata dai valori".
Basta con questa visione mercantile dell'etica in cui tutto è misurabile e "valorizzabile"!

Mi spiego.

Il valore appunto non è, ma vale. In quanto tali, in realtà, i valori sono semplici attributi del bene, non il bene in se: attributi per di più sempre relativi, cioè relativi a chi esprime il giudizio stesso di valore. In quanto tali, MAI potranno essere terreno di condivisione e di dialogo.

Tuttalpiù i valori saranno terreno di scambio, se non di compromesso.
Per questo e per inciso, lascia sempre un poco interdetti il politico che dichiara di voler creare col suo partito un "sistema di valori condivisi": attribuisce al proprio partito un compito non suo per la costruzione di una sistema inutile ed irrealizzabile.

Con ciò naturalmente non si nega la possibilità del dialogo e della definizione di un orizzonte etico condiviso.
Ciò sarà sempre possibile se si accetta come orizzonte possibile quello della mediazione delle istanze, aldilà delle astrattezze e di sistemi irrealizzabili.

Si nega invece la possibilità di dialogare se "si ragiona per valori astratti".

D'altra parte chi ci sta di fronte ben potrebbe, in astratto e sempre argomentando con la ragione a partire da precise posizioni scelte a priori, porre come non negoziabile un valore diverso dal nostro. Si arriva così ad uno scontro di valori astratti dalla realtà che può sfociare da un lato nel clericalismo e dall'altro nel laicismo. Per questo, "ragionare per valori" diventa deleterio se si vuole creare le condizioni per un'etica condivisa.

Il valore superiore, scriveva Schmitt, ha il diritto e il dovere di sottomettere a sé il valore inferiore, e il valore in quanto tale annienta giustamente il non-valore in quanto tale. È tutto chiaro e semplice, fondato sulla specificità del valutare. Appunto in ciò consiste la ‘tirannia dei valori’, di cui a poco a poco acquisiamo consapevolezza”
Porre un valore come assoluto è in questa ottica la massima negazione della trascenza di Dio, nostro unico- vero- assoluto bene.

Heidegger scriveva nella Lettera sull' umanismo (1947): «Se si caratterizza qualcosa come valore, ciò che così viene valutato viene privato della sua dignità. Proclamare per soprappiù Dio come "il valore più alto" significa degradare l' essenza di Dio (...) Il pensare per valori, qui come altrove, è la più grande bestemmia che si possa pensare contro l' essere»
Cosa è più importante: l'uomo in carne ed ossa o il valore che esso esprime?
Carl Schmitt, scriveva con rara efficacia: «Ci sono uomini e oggetti, persone e cose: le cose hanno un valore, le persone hanno una dignità»

Forse è un paragone ardito, ma mi chiederei cosa è più importante: l'altro di fronte a me o le astrazione che crediamo di fare dandogli "valore".

La verità è che una Chiesa fedele a se stessa deve essere disposta a "sacrificatre tutto" solo per i poveri e gli ultimi, quelli in carne ed ossa, non per i valori che forse è meglio mettere da parte.