venerdì 18 aprile 2008

POLITICHE 2008: i commenti di Avvenire

Qui invece raccolgo, sempre a futura memoria, il meglio dei commenti di Avvenire sulle politiche 2008....


ALL’INDOMANI DELLE ELEZIONI, CON 5 ANNI DAVANTI
Questo è il momento giusto Riaprire sulla famiglia
FRANCESCO D’AGOSTINO
Per quanto intenzionalmente vago (ma i malevoli direbbero nebuloso, o – peggio ancora – ambiguo) il programma del Partito Democratico faceva esplicito riferimento a nuove riforme nell’ambito del diritto delle persone e avanzava indicazioni in merito all’esigenza di regolare giuridicamente le convivenze. Non poteva peraltro essere diversamente, dato che tra le figure eminenti del partito si poneva in posizione di spicco Rosy Bindi, che dei Dico è stata strenua fautrice, e dato che nelle liste elettorali era stato collocato, in posizione 'garantita', un giurista come Stefano Ceccanti, al quale è stato attribuito un ruolo non piccolo nell’elaborazione di quello stravagante disegno di legge. Ora, non c’è dubbio che a seguito dei recentissimi risultati elettorali il rischio che vengano riproposte ipotesi legislative del genere è davvero ridotto al minimo: come ha spiegato con estrema lucidità Marco Tarquinio, nell’editoriale di Avvenire del 16 aprile, lo 'Zapaterismo d’Italia' è stato sonoramente sconfitto dagli elettori e assieme ad esso la pretesa di destrutturare giuridicamente la famiglia. Possiamo tirare un sospiro di sollievo, ma non possiamo nemmeno riposare sugli allori. È proprio questo anzi il momento migliore per riaprire una riflessione molto seria sul tema della famiglia e delle convivenze, anche perché nel programma elettorale dell’alleanza di centro-destra (all’interno della quale esistono anche posizioni laiciste, sia pur moderate) il riferimento ai temi di rilevanza 'etica' è stato davvero fin troppo contenuto. Cominciamo col rilevare che la difesa della famiglia, a norma dell’art. 29 della Costituzione, va considerata il presupposto di ogni politica familiare, e non il suo obiettivo, come purtroppo in molti ci eravamo ahimè rassegnati a pensare, da quando il governo Prodi, all’inizio del 2007, aveva preso il solenne e infausto impegno (rivelatosi comunque a posteriori assolutamente sterile) di portare i Dico al centro dell’attenzione politica e parlamentare. Sul solido presupposto dell’art. 29, sul riconoscimento dei diritti della famiglia «come società naturale fondata sul matrimonio», si potrà finalmente cominciare a prendere sul serio il disposto di un successivo articolo della Costituzione, l’art. 31, molto meno, ma a torto, citato del precedente. Nell’art. 31 si riconosce come compito della Repubblica «agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia». Ora, se la Repubblica ha il dovere costituzionale di agevolare la formazione della famiglia (come definita dall’art. 29), è evidentemente perché ne riconosce, direi esplicitamente, la natura di autentico e insostituibile 'bene sociale'. Di qui un’ulteriore conseguenza, di non poco peso: l’aumento progressivo delle 'coppie di fatto' (fenomeno che colpisce l’Italia in misura minore che altri paesi, ma che pur tuttavia anche da noi sta diventando significativo) è un dato che non può, alla luce del dettato costituzionale, essere visto come 'neutrale' dal punto di vista dell’etica pubblica, ma come obiettivamente negativo. Il favore con cui la Costituzione vede il formarsi delle famiglie fondate sul matrimonio non può essere esteso alla formazione di qualsivoglia, pur lecita, convivenza di fatto. Sappiamo bene peraltro, anche a seguito di numerose ricerche sociologiche, che le coppie di fatto solo in minima parte sorgono per ragioni 'ideologiche', cioè per una consapevole ripulsa da parte dei conviventi del vincolo matrimoniale come vincolo giuridico; nella maggior parte dei casi esse nascono invece per la carenza di quei supporti economici e sociali, cui fa riferimento l’art. 31 della Costituzione e che dovrebbero doverosamente essere invece attivati da una lungimirante politica sociale. Se il nuovo governo riuscirà a dare buona prova di sé anche su questo piano potrà attribuirsi il merito (non piccolo) di aver preso sul serio il dettato della nostra Costituzione e, assieme, di avere bene interpretato i sentimenti profondi della maggior parte degli elettori del nostro Paese.
SEGNALI DA LEGGERE
SCONFITTO LO ZAPATERISMO D’ITALIA
MARCO TARQUINIO
La tornata elettorale si è trasformata in un autentico tornado sulle terre estreme del panorama politico italiano. In particolar modo sull’area della sini­stra rosso-verde, quella che spesso vie­ne definita radicale o antagonista e che si era autoproclamata arcobaleno. Ma concentrarsi esclusivamente sul dato e­clatante e, per così dire, geopolitico del­la batosta inferta dagli elettori a questo specifico soggetto rischierebbe di far passare in secondo piano un dato poli­tico- culturale che merita, invece, di es­sere portato in piena evidenza. Dalle urne del 13 e 14 aprile sta emer­gendo, infatti, una sconfitta altrettanto sonora e ben più ampia: quella degli i­deologi e dei portabandiera del cosid­detto zapaterismo etico-sociale. Cioè dell’ambizione, cara al confermato pri­mo ministro socialista di Spagna, di ri­proporre in salsa mediterranea la de­strutturazione giuridica dell’idea stessa di famiglia naturale già impostata in al­cuni Paesi nordeuropei, accompagnan­dola con la distruzione persino lessica­le dei concetti di padre e madre (di uo­mo e donna) nonché con una impres­sionante tendenza alla deregulation in campo bioetico e condendola con una persistente polemica anticattolica. L’inesistente spinta propulsiva dello za­paterismo di casa nostra – intossicante lascito della visione antropologica e del­le concrete iniziative purtroppo assun­te o tentate a più riprese nei ventidue mesi del governo precedente – è un fe­nomeno che senza dubbio comprende la riduzione ai minimi termini della si­nistra capitanata da Bertinotti, ma for­se non si esaurisce in essa (così come non la spiega in modo esclusivo). È un segnale, che probabilmente non finisce neanche nella drammatica sparizione dei vari spezzoni socialisti riuniti in u­na 'costituente' incredibilmente se­gnata dal vecchio e ossessivo anticleri­calismo di Boselli. Arriva, infatti, a lam­bire la performance del Partito demo­cratico 'impannellato' a causa dell’in­sufficiente capacità di attrazione dimo­strata nei confronti di settori importanti del vasto elettorato cattolico. E al loft di Veltroni c’è chi se n’è reso subito conto. Anche perché, ieri, le indicazioni forni­te dalle amministrative (che hanno vi­sto di nuovo in campo il centrosinistra allargato) hanno confermato che il pro­blema c’è, ed è assai serio. Sulle nostre pagine è stato segnalato più di una volta, ma – ora che s’impone con solare evidenza un’altra prova provata – vale la pena di ripeterlo. Troppi espo­nenti della sinistra vecchia e nuova, del radicalismo di sempre, hanno insegui­to polemiche e obiettivi ideologici alla Zapatero su Dico e manipolazioni del­la vista nascente o morente, si sono cro­giolati nella cigolante retorica sulle pre­sunte e continue «ingerenze della Chie­sa », hanno evocato e quasi invocato il fantasma di contrapposizioni ottocen­tesche tra cattolici e laici, hanno fatto persino circolare – come una leggenda nera – la storia delle parrocchie, dei con­venti, delle strutture educative, di ac­coglienza e di assistenza, delle associa­zioni di volontariato 'privilegiate' e 'nemiche' di quella gente di cui sono invece parte e che, da sempre, servono. E hanno finito – anche così – per disto­gliere lo sguardo dall’Italia reale delle famiglie e dei lavoratori, dalle sue pres­santi domande, dalle paure e incertez­ze più sentite, dalle autentiche diffi­coltà, ma anche dalle sue passioni, dal­la sua tenacia, dalle sue generosità. Il ri­sultato è che tanta parte dell’elettorato alla fine – con simmetrica e democrati­ca ritorsione – ha distolto lo sguardo proprio dai vagheggiatori dello zapate­rismo e dai loro partiti. E ha guardato, letteralmente, altrove quando s’è trat­tato di decidere e di deporre (o non de­porre) le proprie schede nell’urna. Certo, è solo uno degli aspetti di questo rivoluzionario voto d’aprile. Ma ne è an­che una delle chiavi di lettura inevita­bili. Naturalmente per chi non voglia far finta di nulla.
STRANA OTTUSITÀ DAVANTI AL VOTO
Quel vizio antico di ritenersi i migliori
MARINA CORRADI
Dopo il vertice del Pd, l’ex ministro Gentiloni sinte­tizza l’analisi del voto: «Non abbiamo intercettato il consenso del Nord perché è prevalso un sentimento diffuso di risentimento soprattutto nei confronti dei provvedimenti del governo, che non sono stati capiti». Dove ciò che colpisce, e che d’altronde ricorre con qual­che variante come un leit motiv nei commenti politici, è che quelli che «non hanno capito» so­no sempre gli elettori. Non hanno capito Prodi, e nemmeno Veltroni; o, lamenta la Sinistra Ar­cobaleno, «ci hanno interpretati come un resi­duato ». Errori di 'interpretazione', equivoci, misundertanding, per la sinistra sconfitta stan­no tutti dalla parte degli elettori. Che, pare di comprendere, in certe valli e città del Nord – e anche del Sud – devono essere un po’ ottusi. O peggio. Le lettere su 'Repubblica', trasudano amarezza. «Accorgersi che l’ignoranza è il più letale dei mali, e che in Italia abbonda, e che l’I­talia ha trovato qualcosa di più divertente da fa­re che onorare i valori della Resistenza», geme una lettrice. «Mi aspettavo più coscienza. Credo che tutti abbiano votato chi prometteva più fur­berie, più scappatoie», scrive un’altra. Come a dire che la maggioranza degli italiani si è rivela­ta, il 13 aprile, ignorante, incosciente, fascista e furbetta. La supponenza di essere – cultura e politica della sinistra – superiore, per definizio­ne e per sempre. A fronte di ciò, il pessimo ri­sveglio davanti alla vittoria di Berlusconi, e all’e­splosione addirittura della Lega. Incredibile. Nei giornali giusti, fra le grandi firme, non se ne era avuto sentore. Anzi: Eugenio Scalfari, grande maestro del giornalismo democratico e corretto, aveva annunciato un suo presentimento: «Con avversari di questo livello non si può perdere. Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommetterci». Intanto, gli elettori andavano convincendosi esattamente del contrario. Le maggiori testate italiane da molto tempo so­no ispirate da un pensiero pressoché unico. È un fatto anche generazionale: buona parte degli uomini e delle donne che oggi dirigono questi giornali o ne firmano i commenti più autorevoli, si sono formati negli anni Settanta. Magari poi da quella cultura hanno preso le distanze, ma ne mantengono un imprinting indelebile: sini­stra è bello, democratico, giusto. Destra, è fasci­sta e ignorante. Cattolico poi è, ovviamente, o­scurantista – a meno che non sia cattolico 'de­mocratico' e progressista, meglio ancora se in conflitto con le gerarchie della Chiesa. Questo spiega lo sbalordimento collettivo dopo il referendum sulla legge 40. E anche un po’ quello di oggi, quando si scopre che in certi paesi veneti o lombardi han preso il 20, 30, an­che 40% quegli 'zotici' della Lega. Che sono sempre stati considerati – ammette 'l’Unità' – «commercianti in odore di evasione, valligiani spaesati, capitalisti molecolari terrorizzati dalla globalizzazione». Ma che devono essersi allarga­ti, se han preso il 10% a Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia. E che, se pure a guardarli dai salotti corretti sono dei poveri selvaggi, tut­tavia devono avere delle ragioni che non sono state comprese. Un’informazione allineata sulle sue certezze i­deologiche non aiuta a capire la realtà. Serve piuttosto a confortare, in uno specchio autore­ferenziale, la classe politica cui fa riferimento. Che a sua volta vuol credere che gli editoriali di Scalfari siano il pensiero degli italiani. Lunedì sera ci è venuta in mente la Conferenza nazio­nale sulla famiglia promossa dal governo Prodi, a Firenze, un anno fa. « Question time con le do­mande delle famiglie», fu annunciato. Ma non era che uno si alzava, e domandava al premier ciò che voleva. Gli interventi e le domande era­no stati preventivamente preparati. Un garbato dibattito fra amici. Nessuno in aperto dissenso. Poi, le famiglie italiane sono andate a votare.

POLITICHE 2008: commento di Veltroni

Oggi trovo il commento del volto della sconfitta sulle elezioni politiche 2006:
In attesa delle parole ufficiali di Marii e D'Alema, lo offro a futura memoria.

VOTO DEGLI ITALIANI. Walter Veltroni, segretario del Partito Democratico"Non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta, ma la mia missione era difficilissima"
"Dal Pd opposizione senza scontinon daremo tregua a Berlusconi"
"Abbiamo perso per l'eredità negativa del governo Prodi"di MASSIMO GIANNINI
Il segretario del Pd Walter VeltroniROMA - Segretario, in questo amaro day-after elettorale c'è una parola chiave che lei non ha ancora pronunciato. "Qual è?" È la parola "sconfitta". "Io non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta. Ma attenzione. La sconfitta c'è stata nella sfida per il governo: ero il primo a sapere che questa era una missione difficilissima, che non era certo facile vincere in soli quattro mesi invertendo una tendenza negativa consolidata in due anni. Ma se guardiamo alla costruzione di una grande forza riformista, allora non si può proprio parlare di sconfitta: è stato un miracolo, perché oggi quella forza ha recuperato più di 10 punti, esiste ed è finalmente una realtà del Paese". Ma è una "realtà" che Berlusconi ha oscurato, nonostante l'ottima campagna elettorale che ha fatto lei. Si ricorda la lezione di Nenni sulle "piazze piene e le urne vuote"? "Piazze piene ne ho avute, eccome. Ma ho avuto piene anche le urne: ora il Pd ha una forza impensabile fino a sei mesi fa...". Ma il Pdl ha ottenuto alla Camera oltre 17 milioni di voti, circa 3,5 milioni in più del Pd e dell'Idv. "Dal voto è confermata la forza della destra, con un radicamento in molti strati dell'opinione pubblica. Ma mi faccia dire che è emerso anche il Pd, che ha ottenuto oltre 12 milioni di voti, il livello più alto dal '96, e una percentuale che per un partito del centrosinistra è la più alta nella storia repubblicana". D'accordo. Ma non si può accontentare di aver ottenuto 160 mila voti in più. Il Nord si conferma off limits, e anche al Sud voi guadagnate solo 1 punto, e il Pdl ne guadagna 15. Come mai?


"Il Pd è andato molto bene nelle zone urbane e nei capoluoghi di provincia. A Torino siamo cresciuti del 6,6%, a Milano del 9,1%, a Venezia del 6,9, a Genova del 6,3%, a Bologna del 6,8%, nelle aree del Nord-Est siamo il primo partito. Anche al Sud a Napoli il Pd è cresciuto del 5,4%, a Palermo del 7%. Al contrario, abbiamo sofferto nelle aree più diffuse e periferiche, e qui pesano fattori sociali e politici". Dica la verità: non hanno pesato anche le candidature imposte da Roma? Non è stata un'illusione pensare che con Calearo si risolveva la Questione Settentrionale? "No, sulle candidature non abbiamo proprio nulla da rimproverarci. Finalmente competenze ed esperienze sociali, e abbiamo raddoppiato il numero delle donne e dei giovani". Allora perché, da questo voto, il centrosinistra esce di nuovo minoranza in Italia? "Abbiamo perso per due ragioni di fondo. La prima ragione riguarda il Paese. La società italiana è fortemente attraversata da un sentimento di insicurezza, per esempio rispetto al fenomeno dell'immigrazione, e di paura per un possibile peggioramento delle condizioni di vita. Il voto riflette questo bisogno di protezione, che non a caso ha premiato soprattutto la Lega. Noi, in quattro mesi di campagna elettorale, abbiamo capovolto i ruoli, presentandoci come una grande forza di modernizzazione. Ma nel Paese, evidentemente, ha prevalso un istinto di difesa e di conservazione, di cui la destra si è fatta interprete. Dobbiamo aprire una grande riflessione sui mutamenti della società italiana, chiamando a raccolta le energie e le competenze migliori. È uno dei nostri primi impegni". Vuol dire che non avete sbagliato voi, ma hanno sbagliato gli elettori? "Non ho detto questo. Ma certo non posso nascondere una certa inquietudine per il fatto che un candidato premier che attacca il Capo dello Stato, sostiene che i magistrati devono fare un test di sanità mentale, dice che Mangano è un eroe, definisce grulli tutti quelli che non votano per lui, ottiene un consenso così vasto. Ci sono alcuni punti fermi, senza i quali una democrazia non è più tale. E allora mi chiedo: dov'erano i liberali, quando Berlusconi diceva che Mangano è un eroe? Dov'erano tutti i pensatori illuminati, che continuano giustamente ad occuparsi del '56, quando Berlusconi strappava il programma del Pd?". Toccava a voi convincerli. Come toccava a voi convincere i moderati, senza rinnegare i valori della laicità. "Su questo, con tutto il rispetto, vorrei dire una parola anche sulla Chiesa: mi sta benissimo che si intervenga con passione su temi come il testamento biologico, ma forse la battaglia su certi valori fondanti della democrazia andrebbe fatta con la stessa intensità con la quale si combatte quella per i temi etici. Noi, ora, quella battaglia vogliamo farla fino in fondo, anche a costo di ritrovarci al nostro fianco solo un terzo del Paese". Mi permetta di dirglielo: lei così non ripete l'errore del vecchio Pci berlingueriano, rinchiuso nel mito della diversità come valore in sé? Invece che la critica sul voto, non è più utile l'autocritica? "No, guardi, semmai noi ormai abbiamo il vizio opposto, che è quello di dare sempre e prima di tutto la colpa a noi stessi. Dovremmo, solo su questo, prendere esempio da Berlusconi, che ha già perso due volte, senza mai fare lo straccio di un'autocritica, ed è sempre andato avanti per la sua strada". Mi spieghi la seconda ragione per la quale avete perso. "La seconda ragione riguarda noi stessi. Il nuovo centrosinistra, che noi abbiamo rilanciato con un atto fondativo senza ritorno, la creazione di un grande partito riformista che ha rotto con le vecchie alleanze e si è presentato da solo agli elettori, ha dovuto combattere con l'immagine negativa del vecchio centrosinistra. Negli strati profondi della popolazione i lasciti della vecchia maggioranza hanno finito per essere solo due: troppe tasse, troppi veti incrociati. Questo pregiudizio, alimentato ad arte dalla tv e appesantito dal disastro dei rifiuti e dalla crisi dell'Alitalia, ci ha impedito di coronare con successo la rimonta. In campagna elettorale abbiamo fatto scelte dirompenti, e pronunciato parole di innovazione mai ascoltate prima a sinistra: sul fisco, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, sulla fine della cultura dei veti. Ma in soli quattro mesi, evidentemente, i nostri messaggi non hanno prodotto un accumulo sufficiente presso l'elettorato. Avremmo avuto bisogno di più tempo...". Lei sta dicendo quindi che avete perso per colpa dell'eredità del governo Prodi? "Io su Prodi continuo a distinguere. C'è un Prodi uomo di Stato, uno dei più grandi che la storia repubblicana abbia conosciuto. E c'è la vecchia maggioranza, che in questi due anni ha scontato, suo malgrado, una caduta oggettiva di consensi, dall'indulto alla prima Legge Finanziaria. Prodi, e noi con lui, abbiamo pagato una conflittualità permanente dentro una coalizione paralizzata dalla cultura dei no. Ecco perché i partiti della ex Unione hanno ottenuto risultati pessimi. Ma guarda caso, tutti tranne uno: il Pd. È questo, oggi, che mi fa dire che la nostra scelta di discontinuità è stata giusta, e che il nostro coraggio è stato premiato. Se domenica scorsa ci fossimo ripresentati agli elettori con l'assetto del 2006, oggi saremmo stati travolti da uno tsunami dal quale il centrosinistra non si sarebbe mai più ripreso". Giusto. Ma uno tsunami c'è stato lo stesso. La Sinistra Arcobaleno non esiste più. Colpa vostra, dicono da quelle parti. "La tragedia elettorale che ha portato la Sinistra Arcobaleno fuori dal Parlamento non è una buona cosa per la nostra democrazia. Ma loro scontano due errori, e fingere di non vederli mi sembra quasi altrettanto grave che addossare al Pd le colpe per la loro scomparsa. Il primo errore è stato quello di aver bombardato fin dal primo giorno il governo Prodi: la prova sta già in quegli oltre 100 tra ministri e sottosegretari con i quali è nato quell'esecutivo. Il secondo errore è riassunto nelle parole di Bertinotti al suo giornale, quando il 4 dicembre 2007 dichiarò testualmente "è fallito il progetto del governo" e definì Prodi, con le parole di Flaiano su Cardarelli, "il più grande poeta morente"...". Solo questo? La Sinistra Arcobaleno non ha pagato anche la campagna sul voto utile, la cannibalizzazione del Pd? "Ma quale cannibalizzazione? La Sinistra Arcobaleno non ha capito la società moderna. Vuole una prova? Quando lanciai la mia campagna sulla sicurezza, e dissi che non è né di destra né di sinistra, l'estremismo di "Liberazione" li portò ad accusarmi di fascismo. Ecco cosa hanno pagato. Il non aver capito che soprattutto negli strati più popolari c'era un bisogno crescente di protezione. Il non aver capito che occorrevano decisioni forti sul Welfare, sui rifiuti, sulla Tav, e che la cultura del no ci avrebbe portati alla rovina". E adesso che succede? Riaprirete il dialogo con la sinistra ormai extraparlamentare? "Al dialogo siamo sempre pronti. Le dirò di più: in Parlamento, come forza riformista, cercheremo di rappresentare anche le culture presenti alla nostra sinistra. Ma indietro non si torna. Discuteremo con loro, ma non saremo mai loro". Che mi dice di Casini? Ieri vi siete visti: farete l'opposizione a Berlusconi insieme? "La rottura dell'Udc con Berlusconi è stata tardiva, purtroppo. Se dopo la caduta di Prodi avessero detto sì a un governo Marini per le riforme, oggi la storia sarebbe diversa. Anche loro portano una grande responsabilità, per quello che è accaduto. Nonostante questo, il dialogo con Casini sarà molto serrato. Dovrà essere un nostro sforzo nei prossimi mesi, a partire dalla condivisione dell'opposizione". Ancora una volta vi aspetta la lunga traversata nel deserto. Siete preparati? "Faremo un'opposizione molto forte. Berlusconi non si illuda: non gli faremo sconti, e il nostro fair play in campagna elettorale non ci impedirà di alzare la voce, ogni volta che vedremo violati o messi a rischio i valori costituzionali che ho indicato nella lettera-appello lanciata prima del voto. Faremo un'opposizione riformista, dura ma non ideologica. Vigileremo sul rispetto delle regole. Incalzeremo il futuro premier sulla montagna di promesse che ha seminato in campagna elettorale, dall'abolizione dell'Ici a quella dell'Irap. E stavolta non finirà come ai tempi del contratto con gli italiani, che il Cavaliere ha disatteso all'85%. Il governo-ombra servirà anche a questo. Non so quanto durerà Berlusconi, ma so che la crisi economica morderà in modo drammatico, e vedo già che le prime crepe stanno uscendo fuori. Faremo in modo di far esplodere le contraddizioni, che ci saranno, su questo non ho dubbi. La Lega avanza già pretese esorbitanti. Questo creerà grandi tensioni, anche a Nord". Insomma, il Veltrusconi è morto e sepolto? "Non è mai esistito. Faremo una battaglia senza quartiere, sui valori e sulle politiche, La nostra idea di società resta radicalmente diversa dalla loro". In questo clima che fine fanno le riforme? Per ora il Cavaliere sembra disponibile al dialogo... "Finora non l'ho visto né sentito. Se il futuro premier ritiene utile e opportuno parlare con il leader dell'opposizione, la linea del mio telefono è sempre libera. Ma se invece fa eleggere Schifani presidente del Senato, Fini presidente della Camera e Tajani commissario Ue, allora comincerà un altro film. L'Italia ha bisogno di ritrovare equilibrio istituzionale e serenità". La sfida di Rutelli a Roma può essere la prima occasione di rivincita, secondo lei? "Roma è cambiata enormemente in questi 15 anni. E' una città che cresce in economia e occupazione molto più del resto del Paese. È una città che ha in corso una trasformazione paragonabile a quella delle altre metropoli europee. È un bene che questa ispirazione continui. Ed è un bene che ci sia un sindaco, come era capitato a me, di un colore politico diverso da quello del premier, perché questo è utile alla dialettica democratica del Paese". (18 aprile 2008)

mercoledì 16 aprile 2008

Politiche 2008: commento Bindi

Segnalo questa intervista della Bindi. Sempre molto lucida...anche nella richiesta di collegialità.

Adesso ci vogliono parole chiare e analisi condivise. Solo da analisi condivise possono partire concrete e sagge azioni politiche.
Aspettiamo il commento di D'Alema e Marini e capiremo la strada che vuol prendere il PD.
Intanto si è liberato il posto di presidente del partito. Dal nome del successore di Prodi capiremo già qualcosa.

INTERVISTA - "Troppo severo il giudizio su Romano Serve più collegialità" Carlo Bertini – LA STAMPA
Roma.
Il risultato «Governo responsabile della sconfitta? Analisi superficiale»
Il dispiacere del Premier «Ma io gli ho ricordato che lui ha battuto per ben due volte il Cavaliere»
Errori? «Nessuno. L’unico problema: ci è mancato il tempo. L'anno prossimo ce l'avremmo fatta»
Senza sconti «Marcare stretto il centrodestra. Governo ombra? E' un termine che non mi piace»
Nel day after dei Democratici, appena uscita dal «caminetto» dei big riuniti al loft per l'analisi della sconfitta, Rosy Bindi confessa che «nessuno credeva che avremmo vinto in così poco tempo» ed è convinta che «l'anno prossimo ce l'avremmo fatta». La Bindi non intende quindi gettare la croce addosso al segretario, non chiede un congresso, ma rivendica «assolutamente si, una gestione collegiale» del partito. E chiarisce che «se qualcuno pensa che ora il Pd debba sostituirsi alla sinistra in Parlamento si sbaglia, perché non possiamo snaturare il nostro profilo riformista».
Sono stati commessi errori, visto come è andata?
«Non credo ce ne siano stati, è chiaro che avremmo avuto bisogno di un anno in più per far crescere la stima del governo Prodi con la redistribuzione dei sacrifici fatti e per spiegare meglio il nostro progetto politico. Ma quando un Paese vota al 60% per la destra vuoi dire che ci aspetta una sfida lunga: dobbiamo costruire il partito, radicarci e creare una sorta di resistenza culturale nei confronti di un voto così fortemente orientato a destra. Cioè ritrovare un dialogo a partire dalle paure e dai bisogni, ma con una sorta di pedagogia intorno ai valori dell'unità dell'accoglienza, dell'integrazione e della crescita equilibrata e solidale. E' una situazione che va capita, sapendo intercettare le domande profonde che vengono dal Paese e soprattutto dal Nord. Abbiamo cominciato a suscitare l'interesse dell'elettorato moderato ma non abbiamo sfondato, i dati parlano».
C'è stata un eccessiva personalizzazione della campagna elettorale?
«Mi chiedo come poteva essere altrimenti. E' chiaro che il messaggio mediatico è stato prevalentemente quello impresso da Veltroni che impersonava la sua proposta politica, ma siamo stati coinvolti tutti».
E' pentita di aver polemizzato con lui sulla scelta di andare da soli?
«No, anche perché poi ho riconosciuto che era quella giusta e i dati ce lo confermano. Se ci fossimo presentati come Unione non avremmo vinto e non avremmo un partito con questa impronta riformista. Resto ancora convinta però che quella scelta, comunicata troppo presto, non ha aiutato la sopravvivenza nel governo».
E' d'accordo con Follini che scommette su un'alleanza in parlamento con l'Udc o ritiene che vada cercato un rapporto con la sinistra radicale?
«Dobbiamo avere un rapporto corretto con l'altra opposizione, ma mi fermerei qui in questa fase. Per quanto riguarda la sinistra radicale, dobbiamo in qualche modo cercare di interpretare le domande di quell'elettorato dentro il nostro progetto riformista. Se qualcuno pensa che ora il Pd debba fare la parte della sinistra radicale si sbaglia».
In che tempi si dovrà svolgere un congresso del partito?
«Entro il 2009, e comunque prima di pensare ad un congresso si deve pensare a costruire il partito, con una gestione sempre più collegiale, senza nulla togliere alla leadership del segretario, che è stata confermata in queste elezioni. Dobbiamo radicarci fortemente rispettando quella pluralità che è la forza del Pd».
Che peso avranno i prodiani negli organismi dirigenti?
«Io ho fatto le primarie e faccio parte di questo... ufficio politico, come lo vogliamo chiamare? Era nata come unità di crisi e penso che quello sia un organismo di gestione collegiale, così come il governo ombra di cui ha parlato Veltroni. Non mi piace il termine "governo ombra" perché mi ricorda esperienze passate, ma al di là di questo, che ci sia una squadra che marca visibilmente l'azione del governo credo sia una buona cosa».
Un'ultima domanda. Veltroni ha detto che il Pd ha perso anche perché ha scontato un giudizio negativo sul governo Prodi: che ne pensa?
«E' una spiegazione un po' superficiale, credo che le ragioni siano ben più profonde. Ho sentito Romano dopo voto ed era molto dispiaciuto. Ma io gli ho ricordato che comunque lui Berlusconi lo ha battuto due volte e deve essere contento di quello che ha fatto per il Paese».

La Stampa - mercoledì 16 aprile 2008 - pag. 16

martedì 15 aprile 2008

POLITICHE 2008: che si apra un serio dibattito nel PD.

"Benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita ad una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell'azione politica, ma come indispensabile premessa per agire saggiamente". (dall'orazione funebre di Pericle nella "Guerra del Peloponneso" di Tucidide)
Per il Nazionale alla Camera:
Risultati politiche ULIVO 2006: 31,27% (11.930.000 VOTI IN ASSOLUTO)
Risultati politiche PD 2008: 33,3% (12.093.000 VOTI IN ASSOLUTO)

L'apporto di Veltroni è di +163.000 voti.

Ha fagocitato e disintegrato la sinistra, perso i voti moderati, fatto ingrossare il giustizialista Di Pietro col voto cattolico, spostato a destra l'asse del PDL.

Nessun equilibrio politico interno al partito può giustificare la permananza alla guida del partito di Veltroni senza una seria analisi delle ragioni della sconfitta; neanche i 3.000.000 di voti delle primarie per segretario che gli furono dati per coordinare il processo costituente, non per decidere arbitrariamente e solitariemante di andare da solo.

Adesso abbiamo 5 anni per ri-costruire una seria alternativa a Berlusconi e per costruire un partito di tutti.

Questo percorso può partire solo da un vero ricambio della dirigenza del partito a tutti i livelli.
CONGRESSO SUBITO!

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lunedì 14 aprile 2008

Risultati politiche 2008: il partito democratico

Cari amici,
questo è il risultato dell'Ulivo alla Camera nel 2006: 31,27% (11.928.000 voti in assoluto);
la rosa nel Pugno si attestò al 2,6%;
l'insieme dell'attuale sinistra arcobaleno intorno al 10%
Italia dei valori al 2,3%
Udeur al 1,4%
Calcolando che Veltroni ha imbarcato i radicali il cui apporto è valutabile intorno all'1% e che parte dei voti Udeur possono andare al PD (0,7%), Se consideriamo il quadro stabile (come lo è da 15 anni a questa parte) il PD dovrebbe attestarsi intorno al 33%.
Velltroni ha dichiarato venerdì che anche sotto il 35% non si dimetterà.

Qualora non superasse significativamente la soglia del 33% (ovvero gli 11.928.000 voti) dovrebbe comunque guidare al più presto il partito verso il primo "vero" congresso (la funzione per cui è stato votato alle primarie), perchè la sua strategia decisa solitariemente a Orvieto ad inizio gennaio, sarebbe stata fallimentare (non ha raggiunto un risultato significativamente diverso rispetto all'Ulivo), dimostrandosi priva di serie prospettive (da soli, con questa legge elettorale, è difficile vincere le elezioni).

La sintesi politica tra le grandi tradizioni culturali dell'Italia (cattolica e riformista di sinistra) può essere rappresentata solo da un percorso condiviso e non semplicemente da una persona (Veltroni) per quanto carismatica essa sia.

Naturalmente se il Pd avrà una performance strabiliante alla Camera (es: 37-38%) saluteremo Veltroni come un grandissimo condottiero e politico, ma ciò non toglierà sostanza al ragionamento. La politica si costruisce prima sulle idee e poi sulle persone.

alla prossima

martedì 1 aprile 2008

Sulle elezioni politiche e provinciali 2008

Nel pieno della campagna elettorale devo constatare che non sempre la realtà dei fatti corrisponde alla intenzione e ai desideri che abbiamo. Questo genere di constatazione spesso richiede cambiamenti e aggiustamenti in corsa...anche rispetto all'esercizio del diritto di voto.
Ho scelto da tempo di votare alle politiche per il PD perchè credo nell'idea di un partito aperto in cui si discute e si ragiona; in cui si costruisca un fecondo e ricco scambio culturale tra cattolicesimo e cultura di sinistra; in cui la problematicità del presente e della post-modernità sia incarnata in scelte pensate, meditate e discusse secondo ragione e non secondo convenienze del momento. Questo il desiderio, l'intenzione!
La realtà oggi è tutt'altra!
Ci hanno costretti a votare una seconda volta con una legge elettorale sbagliata e iniqua per noi elettori (cosa non addebitabile a Veltroni...). Tuttavia il sospetto che le liste, anche nel PD, siano state fatte anche per fare piazza pulita degli avversari interni è molto forte. La logica degli degli yes-man spesso ha prevalso; la fedeltà a capo e alla sua corrente su tutto!
Dopo le elezioni (specie se alla camera non ci sarà il risultato sperato: superare almeno il 31,8% segnato alle politiche 2006 dall'ulivo) certamente si aprirà un serio dibattito interno al partito. D'Alema e Bersani già iniziano ad esprimersi....è un segno.
D'altra parte la componente cattolica del PD è afona. Dove sono andati a finire i Marini, i Franceschini, i Letta, i Fioroni? Solo la Bindi grida inascoltata in questo deserto.
Rispetto ai contenuti poi sembra che Veltroni proceda molto ex se, in maniera personalistica senza tener conto delle diverse anime del partito che paiono sempre più marginalizzate rispetto al capo: l'unico che pensa, l'unico che ragiona, l'unico che decide. Mi chiedo cosa farà in parlamento l'operaio della Thyssen, se non schiacciare un bottone.
Infine la posizione personale di Veltroni sulla legge 40 non è condivisibile, fumosa quella sulle coppie di fatto, pavida quella sull'aborto (per citare alcuni temi eticamente sensibili). Su altri temi sembra che si esprima più rispetto ai sondaggi che rispetto alle reali esigenze del paese. Da questo punto di vista, con le dovute sostanziali differenze, Veltroni sembra porsi come l'ultimo epigono di una "politica di plastica", fatta di slogan e marketing, ben incarnata nel berlusconismo.
In questa situazione non resta che votare rispetto alle liste presentate alla camera e al senato, procedendo ad una valutazione complessiva delle candidature proposte dalla nomenclatura di partito.
Al senato la lista della Campania non dispiace, anzi! Nomi come Follini, Andria, Carloni Armato sono più che degni. Invece suscita perplessità la lista per la Camera Campania2. Vi sono nomi di persone degne come il nostro conterraneo Boffa, ma nel complesso il parterre di candidati lascia molto a desiderare, a cominciare dalla inconsistente ed assente Picierno (è giovane ma non ha la forza di De Mita che a 80 anni ancora macina chilometri e chilometri per arrivare a tutti).
Se spostiamo invece l'attenzione sulle elezioni provinciali di Benevento il quadro PD diventa inconsistente. Con l'obbiettivo contingente di raccogliere il più possibile, si è scelto di presentare 3 liste di area PD, nelle quali le nomenclature di partito avranno ancora una volta a possibilità di contarsi. Capito?! Nel partito ri-nnovato non ci si confronta sulle idee ma sui voti per massimizzare il proprio apporto percentuale e ottenere il massimo risultato (clientelare?).
Non ho nulla contro le liste civiche alle amministrative, ma mi chiedo se era il caso di presentarle anche questa volta per spaccare e parcellizzare ancora di più un partito che nasce diviso.
La dirigenza provinciale del PD ha grossissime responsabilità in questo modo di procedere, passando sulla testa degli elettori e degli ideali, riducendo la politica a sterile conta dei voti vuoti (di idee).
Questo succede quando sul territorio si cerca di costruire un'aggregazione politica partendo dall'addizione uomini e voti, non dall'addizione delle idee.
Tucidide fa dire a Pericle nella celebre orazione funebre che "
benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita ad una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell'azione politica, ma come indispensabile premessa per agire saggiamente".
Giudicare la politica per dar vita ad una politica e a
gire saggiamente: ecco l'essenza di quello che dovrebbe essere il PD ANCHE nel nostro Sannio.
Mi auguro che dopo queste provinciali qualcuno nel PD sannita trovi la forza, il coraggio e onesta di aprire un serio dibattito su queste scelte. Che anima vogliamo dare a questo PD nel Sannio? Fabbrica di voti vuoti di idee oppure di voti pieni di idealità?