mercoledì 24 aprile 2013

Formazione dei dirigenti


La lettura di questo articolo di Giancristiano Desiderio mi ha indotto alcune riflessioni. In effetti la rottura del mito "nessun nemico a sinistra" auspicata dal giornalista è uno dei problemi democratici, anche se non il principale. Ma mi chiedo: ha senso dividersi sui posizionamenti politici che mi paiono la questione meno rilevante oggi? Se qualcuno si sente coerente con la propria coscienza ritenendo di militare in un partito di sinistra oppure in uno di centro sinistra, ben venga. Ma non penso che il problema serio del PD sia questo. In effetti il voto per il PdR ha dimostrato che, come ha efficaciemente rappresentato ieri Bersani in direzione nazionale, il PD è vissuto da alcuni più come uno spazio che come un partito.
Oggi occorre però comprendere i limiti di una gestione politica che ha permesso l'ulteriore radicamento di queste convinzioni.
In effetti bisogna seriamente chiedersi come il PD selezione i suoi quadri dirigenti che vivono la nostra comunità politica come uno spazio e non un partito.
A me sembra ad esempio che soprattutto con la gestione Bersani il meccanismo della cooptazione di giovani, a volte ideologizzati  a sinistra (a pane di gramsci e marx, capitale e lavoro, antiliberismo d'antan) provenienti dall'unica organizzazione giovanile (la Sg prima e i GD oggi), abbia rappresentato da un lato una legittima arma di difesa del gruppo dirigente, dall'altro un errore di strategia politica di lungo periodo. Ci voleva un poco più di pluralismo e la previsione di meccanismi di cooptazione più meritorcratici e meno legati al crisma della fedeltà a culture passate. Ad esempio non mi pare che si sia pensato a creare una seria scuola di formazione politica di partito in cui si pensasse di trovere sintesi culturali condivise. E qui c'è l'altro grande problema: dall'altro lato la cultura cattolico democratica non ha saputo rinnovarsi. E' un dato di fatto che quel processo osmotico che permetteva alla fine degli anni '80 l'emergere di figure come la Bindi si è dissolto, vuoi per il ritirarsi dell'associaziosmo cattolico vuoi per l'incapacità di saperlo ri-generare. Di fronte a tale dissoluzione, proprio quella generazione della Bindi, non è riuscita a creare nuovi strumenti se non la cooptazione difensiva dei fedeli. Così da un lato una forte organizzazione radicata in una cultura forse d'antan , dall'altro l'assenza di una proposta di partito, stanno finendo per tramortire il futuro dell'ultimo vero grande progetto politico del XX secolo. Io però continuo a crederci - e non per una ottimismo gramsciano - perchè penso che il progetto Democratico sia la risposta a questa crisi perchè, superando la frattura illuminista, riesce a guardare il mondo con gli occhi dei più deboli da sinistra e/o centrosinistra col trattino o senza. Dobbiamo solo abbandonare i vecchi clichè.


 Le possibili trasformazioni del Pd

DESIDERIOdi Giancristiano Desiderio
Il partito inutile  – è inutile dire chi sia perché lo sapete benissimo -  si è dimostrato talmente inutile che per ricavarne qualche briciola di utilità si è dovuto attendere che diventasse acefalo.  Siccome è un partito in cui tutti  – non solo Bersani -  prima si sono montati la testa e poi, per la troppa vanagloria, tutti l’hanno perduta, oggi è un partito senza capo né coda. La battuta di Flaiano, che non va mai sprecata, è qui perfetta: l’insuccesso gli ha dato alla testa.  Però, il partito inutile proprio perché non ha più la sua testa, che dalle nostre parti si chiama “capa gloriosa”, può oggi essere utile all’Italia ascoltando ciò che saggiamente dice Giorgio Napolitano.
Che cosa ne sarà del partito inutile? La domanda non mi eccita, né ho la sfera di cristallo per poter rispondere. Si può osservare, però, che se con il congresso prossimo venturo il partito inutile inseguirà ancora una volta il mito della “vera sinistra” e non toccherà il tabù che non vuole che ci siano nemici a sinistra, allora, il partito inutile sarà del tutto perso e destinato per sempre all’inutilità con, purtroppo, danni permanenti alla democrazia italiana. Se, invece, si prenderà atto che per avere un partito di sinistra ragionevole e adulto, cioè riformista, è necessario avere almeno due sinistre e lasciare alla propria sinistra un partito ancora ideologico, berlingueriano, ex comunista ci sarà qualche speranza di trasformare l’acqua in vino e, con un po’ di fortuna che non guasta mai, provare a costruire quella democrazia dell’alternanza che finora abbiamo solo parodiato. Per raggiungere questo scopo c’è bisogno di due cose: idee chiare e sincere fino alle lacrime e una scissione in cui gli adepti della “vera sinistra” prendano armi e bagagli e vadano a trovar casa altrove. O in una cosa-casa loro o a casa Sel. Il congresso del partito inutile sarà serio solo se sarà impostato così, altrimenti sarà una pagliacciata.
Per capire l’utilità di un congresso serio possiamo far riferimento alla situazione di Benevento. Oggi il capo del partito inutile è Umberto Del Basso De Caro. Il sindaco fa parte delle medesima inutilità. E così a scendere per li rami. Il deputato sannita al momento della scelta congressuale non sarà riformato perché farà la scelta riformista. Chi, dunque, a Benevento vuole restare nella casa dei democratici dovrà coabitare con Umberto che non ha nessuna voglia di sloggiare (e ha anche ragione) e punterà sulla trasformazione di sé da bersaniano a ciò che sarà utile trasformarsi. I sostenitori di Matteo Renzi devono, dunque, mettere in conto il riformismo-trasformista di Umberto al quale vorranno senz’altro contendere la guida del partito beneventano. Sul piano locale, infatti, la trasformazione del gruppo dirigente del partito inutile continuerà stabilmente la inutilità del partito inutile. Come reagirà il gruppetto dei renziani, il cosiddetto Big Bang? Non ha molti numeri ma ha idee e dovrà farle valere perché le idee non basta averle.
Altra storia per i giovani che purtroppo sono già vecchi. La loro posizione è quella del più ferreo antiberlusconismo ed è riassunta dallo striscione appeso al balcone della sede del partito: “No al governissimo”. Perché? Perché c’è il Caimano. Con queste idee sono destinati a finire nella bocca del Caimano locale del loro partito. La loro virtù è la gioventù ma la giovinezza in politica, come ripeteva Aristotele e testimonia per noi Napolitano e tante altre cose  – almeno per chi sappia un po’ di storia -, non è miracolosa perché l’intelligenza politica è figlia dell’esperienza. Se a Benevento i giovani vogliono rinnovare il partito inutile e renderlo almeno un po’ utile a loro e alla città non hanno altra scelta che assumere la stessa posizione di Umberto ossia quella riformista e così dargli battaglia sul suo terreno con  – questa volta -  un vantaggio: mentre il deputato si sarà trasformato, loro potranno far valere le ragioni del ricambio, soprattutto se si uniranno al renziani. Invece, se resteranno su posizioni sterili e inconcludenti saranno mangiati in un sol boccone dal Caimano democratico e continuando la tiritera della “vera sinistra” faranno la fine di Pinocchio nella pancia della balena, senza neanche l’aiuto del buono e paziente Geppetto.


martedì 9 aprile 2013

Civitanova

Dopo la tragedia di Civitanova il mio carissimo amico Peppe - trascorsi politici ed impegno costante per gli ultimi della terra in una ONG, Africa Mission- mi scrive:"Mi vergogno come cristiano e prima di me si dovrebbe vergognare il governo italiano di fronte alle tre morti assurde di Civitanova Marche. Chiedo una preghiera per loro"
Ci penso da giorni a questo sms, cercando la risposta.
E poi penso alla morte di Peppe Burgarella, lavoratore che si è ucciso in nome dell'art. 1 della Costituzione.
E poi a quella di quell'imprenditore di Frosinone operante nel campo dei trasporti che si è tolto la vita per la perdita delle commesse e la paura di licenziare 35 persone; o a quella dell'altro imprenditore di Vigonza che faceva biciclette e, non riuscendo a venderle, aveva tentato invano la strada della riconversione produttiva nell'arredamento. Tutte morti auto-inflitte negli ultimi mesi; tragedie umane che trovano le proprie cause in difficoltà economiche da cui non si vede l'uscita, in un senso di colpa per le persone affidate o per una dignità che si sente perduta.
Comunque poi l'ho anche incontrato il mio amico Peppe.
Mi ha fatto vedere anche alcune risposte a quell'sms.
Un giudice gli scriveva: "ho tardato a rispondere perchè non ho parole. E il brutto è che ci si abitua."
Un prete impegnato nel sociale: "Mi unisco alla tua reazione e rabbia per quanto accaduto. Io non sono andato a votare perchè non ho voluto essere complice di queste strutture di peccato che sono governo e partiti."
Un'altro prete da parrocchia, eloquentemente senza parole: "....."
Che dire? Mi chiedo, un po a voce alta, cosa potremmo mai fare come cristiani per evitare queste tragedie, oltre a vergognarci?!
Parlandone con il mio parroco, mi ha fatto una giusta osservazione: "noi siamo sempre disponibili ad aiutare chi è in difficoltà, ma se queste persone non ci fanno conoscere i loro problemi, cosa possiamo mai fare in concreto per evitare i suicidi?! Io quando ho saputo, ho cercato di incidere! Poi è anche vero che nella Chiesa ci sono tante esperienze di aiuto a queste situazioni, portate avanti dalla Caritas e altre associazioni. Non possiamo addossarci anche la colpa di queste tragedie, quando lo stato latita."
Possiamo pregare, certo! Ma poi è evidente per tutti che, come osservava il card Martini nel suo ultimo libricino "Il vescovo" a proposito della carità del vescovo, quando Dio ci chiederà della nostra carità, "non potremo delegare la risposta alla Caritas!"
Vorrei tanto sfuggire alla facile accusa ai politici - magari fosse così, allora votando i politici giusti dovremmo iniziare a stare tutti meglio! Neanche però mi va di cedere alla facile auto-assoluzione della colpa collettiva.
Allora mi chiedo se, come credenti , facciamo tutti abbastanza in termini di vicinanza, progettualità e, perchè no, di concreto aiuto a chi fa impresa ed è in difficoltà economica?
Ritorno con la mente ad un cattolicesimo sociale, incontrato sui libri, che in Italia ha inventato le "Settimane sociali", le cooperative di credito e quelle di lavoro.Penso ad esempi di parroci e laici che, di fronte alla miseria di una Italia pre-industriale, fondavano cooperative, prestavano garanzie arrischiando anche patrimoni frutto di una "manomorta" millenaria, mettevano insieme persone!
Penso a politici come La Pira che nell'Italia post-bellica requisiva le case sfitte per far fronte all'emergenza della casa.
Queste persone davano concreti segni di speranza.

E vedo oggi la mia Chiesa italiana, la nostra Chiesa, interrogandomi!

Ad esempio le nostre parrocchie e le nostre associazioni oggi hanno sempre le orecchie drizzate verso le situazioni di difficoltà economica e lavorativa delle imprese? Cercano strade nuove di prossimità a questo mondo? Certo, di fronte a queste morti, abbiamo sempre l'ultima impegnativa parola, in omelie spesso belle e "potenti", dove denuncia e speranza cercano faticosamente di stare insieme.
Però, almeno io, vedo in giro una sorta di incomunicabilità tra il mondo ecclesiale "stretto" (diocesi e parrocchie) e il mondo dell'impresa.
In effetti tutto questo mondo spesso viene affidato (forse è meglio dire "delegato"?) ad un associazionismo cattolico di settore (es: Acli, CdO etc...) che putroppo fatica ad incarnarsi in tutte le comunità ed i territori del paese. In effetti, che ne sanno le nostre comunità ecclesiali delle serie difficoltà operative di un'impresa edile senza il DURC (il caso di Civitanova!), ammesso che tutti sappiano cosa è il Documento Unico di Regolarità Contributiva e perchè e come viene rilasciato dall'INPS! Che ne sanno le nostre parrocchie dei problemi di cui si trova investito una succursale della Compagnia delle Opere davanti ad un imprenditore in cerca di risorse finanziarie oppure un CAF delle ACLI alle prese con le dichiarazioni dei redditi o l’IMU.
Direte, a ragione, che non è affatto questo il compito delle parrocchie! Qualcuno dirà che spetta alla politica o a chi ne ha la competenza.
Tuttavia mi pare evidente dal punto di vista pastorale ed ecclesiale che, se la parrocchia non si interessa dell'impresa perchè ciò è demandato ai competenti e se i compenti a loro volta con la parrocchia non ci parlano, il corto-circuito ecclesiale è nelle cose. Abbiamo una formidabile struttura di radicamento e vicinanza, ma non la valorizziamo in pieno.
Non mancano certo iniziative ed esperimenti diocesani e parrocchiali per così dire "autonomi", ma viene da chiedersi se ne vengano efficientemente misurati i frutti concreti per migliorarli, se si cerca realmente di metterli in rete con ciò che già c’è nell'associazionismo "di competenza" o se, più semplicemente, ci si accontenta del proprio orticello, autoelogiandosi per il poco che si fa?
Ad esempio, per allargare le considereazioni concretamente: l'iniziativa ecclesiale nazionale della CEI, "Prestito della Speranza" (http://www.prestitodellasperanza.it/comefunziona.html) che cerca di porre un mattone per arginare la situazione facilitando prestiti a tassi equi da 6000 e 25000 euro, che frutti sta portando? Deve essere potenziata? Va messa in una rete più ampia? Se ne discute? Ci sta a cuore!? Ha dei limiti? Quanti prestiti riesce a portare a buon fine rispetto alle richieste?
Io ho il dubbio che spesso, sfuggendo a queste considerazioni "concrete", nelle nostre realtà ecclesiali ci lasciamo prendere dalla malattia del burocrate ecclesiale, cioè di colui che si sente a posto quando ha tutto perfettamente organizzato ed in ordine di competenza secondo le superiori prescrizioni, oppure dalla malattia dell'incompetente insoddisfatto, cioè di colui che si lamenta di tutto, lasciandosi scorrere i problemi degli altri sulla pelle, sapendo che è "competenza" di altri affrontarli, salvo poi strepitare contro tutti quando certe tragedie accadono.
Beh, tutto questo ci può anche stare perchè le risposte ad una situazione difficile sono sempre terribilmente complicate e superano lo sforzo del singolo, però non dobbiamo mai dimenticare che alla fine la nostra risposta di fronte a Dio "non potremo delegarla alla Caritas!"