lunedì 21 febbraio 2011

Gli amici di Dio

Riprendo con piacere questa perla dal sito vinonuovo.


Vivono tra noi gli amici di Dio. Vivono come tutti: di fatiche e di gioie, di giorni di frenesia e di giorni di festa, di giorni di salute e di giorni di malattia, ma gli amici di Dio vivendo come tutti, vivono in modo straordinario. Come tutti, incontrano la gente: incontrano persone simpatiche e persone insopportabili, hanno amici e talora anche nemici, incontrano tanta gente, come tutti, ma chi incontra gli amici di Dio ne conserva un ricordo particolare. Hanno il loro carattere, come tutti: alcuni sono timidi e altri estroversi e chiacchieroni, alcuni sono irruenti e reattivi, altri sono pazienti e discreti, eppure tutti gli amici di Dio sono come segnati da una disciplina che li rende disponibili anche a quello che non viene spontaneo. Vivono tra noi, gli amici di Dio, non si notano a prima vista, non fanno rumore, eppure sono quelli che tengono in piedi il mondo, quelli che mettono mano alle cose storte e cercano di raddrizzarle: che si tratti di un bambino che piange, di un malato che è solo o dei problemi di dimensione planetaria.


Gli amici di Dio vivono tra noi, vivono come tutti, sono uomini e donne che assomigliano in tutto agli altri. Eppure hanno qualche cosa di straordinario.

Gli amici di Dio vivono una particolare libertà. Hanno consegnato a Dio il loro desiderio di essere felici e perciò non si preoccupano più troppo di se stessi. Sanno che Dio non li deluderà, mai.

Perciò sono liberi. Sono liberi dalla paura: si espongono a tutti i rischi che la missione comporta, non per ingenuità o presunzione, ma per obbedienza. Sono liberi dalla ricerca del consenso, sono liberi dai giudizi altrui: ascoltano tutti e sanno che da tutti devono imparare, ma il criterio del loro agire non è la popolarità o l'approvazione del mondo. La libertà viene da una fortezza interiore dove abita il timor di Dio. Sono liberi dagli interessi meschini. Non si domandano mai "che cosa ci guadagno?", perché vivono di gratitudine. Il dono che hanno ricevuto è talmente grande, talmente gratuito che non possono che condividerlo gratuitamente. Sono disposti a rimetterci persino, non hanno preoccupazioni per il loro futuro.

Sono liberi anche dall'ossessione di verificare i risultati. Si impegnano con tutte le forze, si appassionano alle imprese che li coinvolgono, ma sanno di essere solo operai mandati a seminare. Del raccolto sono incaricati gli angeli di Dio.

Gli amici di Dio abitano in un mistero e ne sono commossi. Sono stati visitati da un invito, sono stati chiamati all'intimità indicibile. Nella solitudine non si annoiano, perché la presenza di Dio non è una parola, ma una comunione tremenda e affettuosa. Amano il silenzio e talora li sorprendi in una preghiera che non riesci a indovinare, nel cuore della notte o all'alba. Non parlano spesso di sé, hanno un riserbo sulla loro vita spirituale. Ma se poni loro delle domande, puoi restare sorpreso per parole di fuoco o per uno zampillare di acqua fresca per la tua sete.

Gli amici di Dio sono gente che vive con uno scopo. I loro obiettivi non vengono dall'ambizione, non sono nutriti dal desiderio di una carriera, dalla presunzione di un protagonismo. Hanno uno scopo, ma è piuttosto l'obbedienza alla missione. In quello che fanno mettono tutto se stessi, non risparmiano né forze, né intelligenza, né risorse, fino al sacrificio. Non hanno un altrove in cui evadere, non difendono le parentesi del loro privato, come possibilità di un'altra vita. Non hanno un'altra vita perché la missione che hanno ricevuto è diventata tutta la loro vita. Si considerano solo dei servi e vivono con fierezza il loro servire, perché conoscono il loro Signore.

Gli amici di Dio ospitano insieme una gioia invincibile e una struggente tristezza. Non si sa come spiegare quello che provano, eppure portano in giro per la città il loro sorriso in cui indovini una gioia che non viene da fortunate coincidenze o dall'assenza di problemi, ma da un'inesplorabile profondità, come una sorgente che non cessa mai di alimentare l'esultanza. Ma la gioia degli amici di Dio non è un ingenuo essere giulivi. Hanno dentro una tristezza struggente: è l'intensità della compassione perché non c'è soffrire che li lasci indifferenti; è il sospiro del compimento perché non c'è giorno della vita in cui non invochino "venga il tuo regno".

Vivono tra noi, gli amici di Dio e passano per lo più inosservati. I titoli dei giornali e le chiacchiere intessute di luoghi comuni li ignorano perché si dedicano alla lamentela e al pettegolezzo, alla critica e alla denuncia, alla retorica e alla mormorazione. Così gli amici di Dio non fanno notizia.

E sono qui anche in mezzo a noi, anche se passano inosservati.

Capita però, talvolta, che un evento straordinario attiri su di loro l'attenzione e allora tutti se ne accorgono e restano ammirati.

Così è stata la vicenda di don Isidoro e la tragedia della sua morte. Un amico di Dio è morto come un agnello immolato e agli occhi di tutti si è rivelata la gloria di Dio che ha avvolto di luce la vita di don Isidoro fin dai suoi primi anni. Così lui, così discreto, così schivo è diventato notizia e personaggio.

Perché mai sarà successo questo?

Io credo che gli amici di Dio compiano la loro missione in vita e in morte. Perciò credo che talora capiti che gli amici di Dio richiamino l'attenzione di molti perché tutti si possano sentire rivolta una parola, un invito, una domanda.

Vuoi diventare anche tu amico di Dio? Io ti dico che ne vale la pena!

mons. Mario Delpini, vescovo ausiliare di Milano
omelia pronunciata il 14 febbraio 2011 nel 20° anniversario della morte di don Isidoro Meschi

giovedì 17 febbraio 2011

una umiltà collettiva

De Rita in questo editoriale colpisce nel segno. Molto istruttivo.
Una unilta collettiva!!! bello.


Italia Ostaggio del Degrado

GOVERNARE LA CONTINGENZAIl commento
Italia Ostaggio del Degrado
Alcuni amici stranieri, attribuendomi una autorità morale che forse non ho, mi rimproverano da tempo di non esprimere adeguata indignazione, adeguato richiamo etico, almeno adeguata segnalazione del senso del ridicolo rispetto allo spettacolo che va da mesi in onda nella nostra arena pubblica.
Qualche scusante più o meno giustificativa penso di averla. Anzitutto non mi indigno, perché avverto che l'indignazione serve molto per infiammare gli animi ma poco per stabilire una seria dialettica politica, al di là delle strumentalizzazioni spesso taroccate che essa subisce. In secondo luogo non faccio richiami etici, perché sono convinto che il moralismo non si traduce mai in cultura di governo e che ancor meno ci si può aspettare dall'immoralismo di potere, specialmente in una società dove tutto galleggia su una diffusa amoralità quotidiana. Ed in terzo luogo non segnalo i pericoli di cadere nel ridicolo, perché temo che sia una battaglia persa in un sistema dove una suora conciona le folle e dove centinaia di parlamentari sottoscrivono versioni inverosimili (tipo «la nipote di Mubarak») su vicende su cui ridacchia anche il mio portiere romeno.
Non me la sento quindi di esercitare la triplice nobiltà che mi è richiesta, anche perché, anzi specialmente perché, sono convinto di un'altra e seria verità: questo è un Paese che ha un drammatico bisogno di essere governato, ma dove è proprio nel vuoto di ogni cultura di governo (cioè di comprensione e gestione del sistema) che la dialettica sociopolitica ha subito una torsione verso il basso, verso pulsioni emotive spesso avventate, verso comportamenti di pura inerzia di potere. O ci diamo una mossa a elaborare una nuova cultura di governo o continueremo ad esser prigionieri del degrado, anche istituzionale.
Da dove si parte per tale elaborazione? La risposta è difficile e comporta l'umiltà di tempi lunghi, perché il primo passo, assolutamente indispensabile, è quello di mettere in ombra per qualche anno le due parole-mito degli ultimi decenni: programmi e riforme. Non illudiamoci: chi propone programmi (magari straordinari, magari enfatizzati a «frustate») rischia di scrivere inutili scenari o pacchetti di improbabili misure; mentre chi propone riforme rischia di ripetere ipotesi ormai strutturalmente incapaci di tradursi in incisive decisioni strategiche. Posso dichiarare il mio personale dispiacere, ma non posso fare a meno di dire che i due strumenti sono troppo usurati per far da base ad una cultura di governo buona per gli anni futuri.
Avanzo quindi l'ipotesi che oggi occorre attrezzarsi a «governare la contingenza», cioè i fenomeni ed i processi che via via si presentano nell'evoluzione socioeconomica, senza farsi prendere dalla nostalgia per la magica parola «vision» su cui si basa il cosiddetto primato della politica.
È infatti evidente che nella società moderna «non ci sono che processi» (dalla globalizzazione all'esplosione dei flussi migratori), che spiovono dal di fuori e creano incertezze e sfide per tutti i soggetti sociali, piccoli e grandi che siano; essi di conseguenza possono essere gestiti solo fenomeno per fenomeno, soggetto per soggetto, caso per caso, decisione per decisione, in un crescente primato della contingenza.
È la indiscutibile realtà di fatto, con tutta la sua carica di relativismo nei giudizi e diempiria continuata nei comportamenti. Ne troviamo più che facile conferma nella attuale situazione italiana dove dobbiamo fronteggiare solo delle contingenze: la ripresa degli sbarchi di immigrati, la esplosione politica del Nord Africa, il rientro dal debito impostoci dalle nuove direttive europee, l'egoismo aziendale di molte imprese che vivono di globalizzazione, la risistemazione della finanza locale in vista del federalismo, l'incidenza del permanere della crisi occupazionale sulle decisioni economiche delle famiglie, la bolla dei due milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Bastano, credo, questi fenomeni per mostrare quanto sia fuori luogo una politica centrata su programmi e riforme; e quanto siamo obbligati a introiettare la contingenza come riferimento strutturale di una cultura di governo meno nobilmente ambiziosa e più faticosamente quotidiana di quella che ha ispirato la politica negli
ultimi decenni. Ed è questa la prospettiva su cui un po' tutti dobbiamo fare maturazione culturale: dalle imprese alle istituzioni, dalle famiglie alle rappresentanze d'interesse. Uniti tutti nel misurarci sul contingente, nell'incertezza e addirittura nella finitezza dei nostri poteri; e con una conseguente umiltà collettiva che ha meno riscontri mediatici ma maggiore qualità etica rispetto alle troppe indignazioni che oggi tengono banco.
Giuseppe De Rita

lunedì 14 febbraio 2011

Cattolici adesso.

Sotto trovate un'interessante ed arguto commento di Beppe Severgnini sulla manifestazione "se non ora, quando?". Ieri infatti si sono ritrovati in 200 piazze d'Italia le donne che al grido di "se non ora quando?" Adesso! hanno manifestato il proprio disagio per una  visione della donna ben incarnata nel berlusconismo. 
L'articolo mi ha spinto a qualche considerazione più ampia sui cattolici in politica adesso.

COMMENTO:
Effettivamente ora non se ne può più! 
SE NON ORA, QUANDO?
ADESSO! 
Lo grido anche io, insieme a tante donne italiane!
Tuttavia, forse, non è solo un problema di categorie sociologiche "contro": le donne, i disoccupati, i lavoratori, gli abitanti del sud, quelli del nord..eccetera eccetera.
Queste categorie sono sempre lontane: a volte ci si riconosce, altre no.
Non ci toccano mai del tutto, non ci riconosciamo in esse mai completamente.
Non è neanche questione di metodi più o meno fantasiosi per manifestare un disagio.

La verità è che Berlusconi cadrà, se dovrà cadere, solo in parlamento.
Pare che i numeri ce li abbia, qualcuno dice che se li è comprati!!! 
Forse non è il momento giusto, forse cadrà domani mattina! 
Chissà!?
A questo punto ben possiamo cedere al celebre e irato sconforto montanelliano che nel 2001 portava il giornalista di Fucecchio a dire:

"Guardi: io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino".


Manca solo il Quirinale! La madonna sta ascoltando quell'ateo mai devoto di Montanelli!!!


Mi è sempre piaciuta questa metafora, però ora mi chiedo chi è il dottore?
Chi riuscirà a fare la diagnosi e la cura dalla malattia del berlusconismo, se è veramente una patologia?

Anche perchè  il berlusconismo, più che una patologia, pare una delle possibili interpretazioni della società italiana. 
In effetti il berlusconismo, con i suoi pregi e difetti, esiste e si alimenta, perchè c'è una parte di Italia che se ne sente interpretata.

Naturalmente c'è anche un'altra Italia che ad oggi non è interpretata in maniera efficace dalla politica. 
E' l'Italia di chi non vota da tempo, di chi crede in modelli altri di  società più solidali, di coloro che non sono toccati dalle scelte della politica. 
Forse è una Italia maggioritaria, che sfugge alle rappresentazioni: una Italia reale che non si lascia imbrigliare nelle categorie sociologiche.

Chi può interpretarla? Forse solo chi abbia una reale tensione morale positiva e coerente potrà interpretare e dare a questa Italia il coraggio di uscire alla scoperto e giocarsi per il bene di tutti.

Questa Italia potrebbe ben essere interpretata dai cattolici, nell'accezione più ristretta cioè coloro che vivono e si sono formati alla scuola delle circa 25.000 parrocchie italiane (vedi sotto l'articolo di De Rita), dei movimenti e delle associazioni ecclesiali. 

Però oggi i cattolici pur presenti sono poco incisivi, la loro voce è indistinta, risucchiata dal delirio delle mille dichiarazioni quotidiane.
E' subbissata dalla voce di tanti e troppi interpreti interessati!!

Una voce strumentalizzata e  confusa tra le tante.
Pensate ai cattolici sparsi in questo o quello partito, schiavi delle dichiarazione quotidiana?
Pensate ai tanti cattolici delle associazioni e movimenti, ben lieti di stare a guardare dalla finestra?
Che dire del mondo culturale? di quegli intellettuali che passano di convegno in convegno, saggi ma privi di una vera passione contagiosa perchè mai si battono fino in fondo per ciò di cui parlano? 
che dire dei media cattolici, spesso ridotti a lottare per battaglie identitarie?


Le analisi su questo si sprecano. 
De Rita (trovate sotto l'articolo) trova le ragioni nella mancanza di meccanismi intermedi di raccordo tra la base e il vertice, Antiseri (sotto l'articolo) risponde che forse manca una guida e uno stato maggiore, Miano (più sotto l'intervista) parlava di centralità dell'impegno educativo e della necessità di non lasciare soli i cattolici impegnati in politica.


A mio avviso hanno colto bene i tre aspetti principali della questione dei cattolici. Io infine ci aggiungo un eccessivo e spesso inane protagonismo delle gerarchie ecclesiastiche in politica che nel lungo termine ha come effetto collaterale, quello di togliere autorevolezza alla voce dei laici cattolici in politica.


Come uscirne? boh....!?
Ognuno, per quanto gli è possibile, faccia quel che può!!


Io segnalo qualche idea per me significativa e ne parlo....


a presto











Ancora Slogan? Provate a Sorprenderci

La strategia Davanti a vicende nuove, gravi e imprevedibili, le risposte non possono essere vecchie, rituali e prevedibili

«Se non ora, quando?». Capisco lo spirito, condivido il fastidio, discuto il metodo. Ancora piazze e slogan? È il XXI secolo, ragazze!
Ho pubblicato questo commento su Twitter, ieri, e sono stato inondato di reazioni. Prevedibili, sorprendenti, irritate, irritanti, comprensive, preoccupate, ragionevoli. Molte chiedono: «Bene, lei cosa propone?». Ci arrivo, ma prima lasciatemi spiegare, allungandomi oltre i 140 caratteri di Twitter.

Davanti a vicende nuove, gravi e imprevedibili, le risposte non possono essere vecchie, rituali e prevedibili. Microfono e buone intenzioni, lettura delle dichiarazioni, studentesse e sindacaliste, francarame e facce già viste. Si finisce per far sembrare originali perfino i soliti, professionali slalom di Giuliano Ferrara, degni dei mondiali di sci in corso (dove peraltro non scendono in mutande). «Se non ora, quando?» sotto le mie finestre, in una delle 230 piazze d'Italia, quella di Crema, dove ci conosciamo tutti: duecento persone, più o meno le stesse di quand'ero studente.
Sgombriamo il campo da un equivoco. Ho scritto sul «Corriere», chiaramente e ripetutamente, che la questione legata a Ruby è seria: un capo di governo deve risponderne in tribunale e magari in qualche intervista, invece di rifugiarsi nei videomessaggi e tra le braccia di dipendenti, portavoce e consiglieri. La vicenda non riguarda infatti solo la vita privata di un uomo pubblico - che peraltro, come insegnano le grandi democrazie, è meno tutelata di quella di un normale cittadino. Di chi ci guida, infatti, dobbiamo valutare la coerenza, l'affidabilità, l'onestà, il buon senso, la responsabilità. 
Le notti di Arcore (palazzo Grazioli, villa Certosa etc) non rappresentano solo un'umiliazione per le donne italiane. Hanno coinvolto organi elettivi (un premio per le favorite?); apparati di protezione (poveri carabinieri di guardia!); questioni di sicurezza (rischio di ricatti); reputazione internazionale (l'Italia derisa nel mondo); importanza dell'esempio (talmente catastrofico che i nostri ragazzi dicono «Blah!» e guardano oltre).

Rispondere a questo sfacelo con l'ennesima manifestazione? Sa di déjà vu. Un milione di donne in piazza nel mondo? A casa, in Italia, ce n'erano trenta milioni. L'Egitto, costantemente richiamato nelle menti e nei commenti? Be', andrei piano prima di celebrare un colpo di stato militare; e poi, in Medio Oriente, è bene aspettare come va a finire (Iran docet). Ma c'è di più. Come questo giornale non si stanca di ripetere, i governi cadono in Parlamento (dove s'accettano le dimissioni). L'opinione pubblica ha il diritto di farsi sentire, i magistrati devono poter lavorare. Ma diciamolo, per banale che sia: sono le urne che decidono chi governa.
La giovane precaria e la sindacalista, l'immigrata e l'attrice: sincero e addirittura commovente, in qualche caso. Ma già visto. Quelle donne avevano cose nobili da dire, ma le hanno dette nel modo consueto e nei soliti luoghi. La forza di Silvio Berlusconi è la capacità diabolica di reinventarsi e sorprenderci. Va affrontato con lo stesso metodo. Sono amico di Lella Costa, ammiro Paola Cortellesi e Anna Finocchiaro. La fantasia non gli manca di sicuro. Provino a inventarsi altro. Qualcosa che possa convincere decine di milioni di donne che non sono scese in piazza, e non lo faranno mai: eppure molte di loro, in questi giorni, sono imbarazzate e arrabbiate. Il momento più efficace, a Roma, è stato il ballo finale sul palco: perché era spontaneo, e non l'avevamo già visto.
È vero: le ragazze e le donne, in Italia, non la pensano come Nicole Minetti, che su Affaritaliani.it ha chiamato in sua difesa Cenerentola e Biancaneve (le quali probabilmente s'avvarranno della facoltà di non rispondere). Certo: concedersi a pagamento non è la nuova forma di imprenditorialità femminile, come argomentano maschi cinici in libera uscita. Ma le donne italiane devono - anzi tutti noi dobbiamo - inventare forme di protesta più originali. Dico la prima cosa che mi viene in mente: coprire l'Italia di post-it rosa, per un mese, scrivendo cosa fanno le donne vere, quelle che non hanno nessuna intenzione di sacrificarsi per i minotauri.
Perché diciamolo: il nostro labirinto è grande, e non ne contiene uno solo.




IL CATTOLICO POST MODERNO
E LO SCARSO PESO IN POLITICA
di GIUSEPPE DE RITA
A chi frequenta la realtà cattolica italiana desta un po' di sconcerto la superficialità con cui di essa si parla e con essa si vuole ,dialogare. La persistente diaspora elettorale, seguita alla fine della Dc, istiga qualcuno a tentativi di nuova unità o convergenza, magari di stampo minoritario; ma ne istiga molti di più a tentativi di appropriazione, di alleanze, di consonanze programmatiche o etiche nei confronti delle sue diverse componenti. Tutti tentativi, però, che, al di là della loro reiterazione e del loro rifiuto, declinano verso una evidente confusione. 
Per tentare di fare un passo in avanti occorre partire dalla considerazione che in ogni realtà complessa (e quella cattolica lo è più di quanto sembri) bisogna privilegiare una linea interpretativa che parta non dall'alto dei principi ideologici o di alleanze politiche, ma dal basso, cioè dalla fenomenologia quotidiana dei popolo cattolico.
È qui, in questa fenomenologia quotidiana, che sta maturando un'evoluzione profonda e importante anche se ancora senza esiti di incisività sociopolitica.
È una maturazione che parte dalla tradizionale ma non scontata consistenza quantitativa del popolo cattolico, dalla sua diffusione capillare sul territorio, dal suo costante vivere in orizzontale senza coazioni di verticismo mediatico. 
Chi lo frequenta e lo «conta» vèrifica ogni domenica che i partecipanti alle funzioni di quattro cinque parrocchie dell'Umbria (regione non solo piccolissima, ma da sempre segnata da forte tradizione comunista e massonica) equivalgono ai numeri dei rumorosi cortei che in varie occasioni attraversano Roma; e coloro che in quelle funzioni «fanno la comunione» sono più numerosi dei partecipanti ai vari reclamizzati raduni che ogni tanto occupano le piazze romane. Facendo la somma delle 25.000 parrocchie italiane, si riscontra una totale copertura dei territorio e delle sue dinamiche; non c'è gara rispetto alle ambi-. zioní di metter su circoli e squadre da parte di chi sente di non avere un suo quotidiano radicamento nel reale quotidiano.

Ma l'importanza sempre più centrale del popolo cattolico la si riscontra specialmente sul piano qualitativo, quasi socio-antropologico: per la sua eredità e testimonianza di fede, visto che «credere» in qualcosa è oggi cosa rara e forse essenziale; per la sua quotidiana capacità di vivere non facendosi prendere dalla bulimia di quell'edonismo banale e facile (per cui delle cose si gode anche senza averne avuto il desiderio); per la sua quotidiana capacità di vivere il territorio (la terra, l'ambiente, il paesaggio) come un valore aggiunto, rispetto alla pura localizzazione del vivere; per la sua quotidiana capacità di produrre significative relazioni interpersonali e una tendenziale vita comunitaria; per la sua quotidiana capacità di fare integrazione e coesione sociale (con gli anziani non meno che con i lavoratori stranieri, con gli emarginati non meno che con ì depressi più o meno soli); per la sua capacità di fare cittadinanza attiva (nel volontariato, come nelle iniziative culturali, come. nell'associazionismo divario tipo). Si tratta, in ultima analisi e interpretazione, della emergente capacità del popolo cattolico di essere post moderno, cioè post industriale, post urbano, post mediatico, anche post secolarizzato; peraltro senza cadere in tentazione di una regressione verso nostalgie del passato, modelli identitari consolidati, antiche prigionie archetipiche.
È quindi verosimile che si sia di fronte a una importanza del popolo cattolico più interessantedi quanto pensano coloro che con esso vogliono far politica. Ma perché tale sommersa importanza non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? La risposta più immediata potrebbe essere quella che si tratta di un obiettivo che la maggior parte dei cattolici italiani non ritiene più meritevole d'impegno; ma sarebbe una risposta parziale. 
La verità è che mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese. Non è che manchino in proposito movimenti, associazioni, gruppi di aggregazione intermedia; ma si tratta di strutture dove il fondo identitarío è più religioso e spirituale che d'impegno civile; e dove quindi si formano carismi «caldi» ma non spendibili sul piano sociopolitico. E anche sul piano più tradizionalmente ecclesiastico non è che manchino diocesi capaci di guidare il cammino dei propri fedeli, ma in genere i loro vescovi restano incapaci (per propria carenza personale e/o perché abituati a «far fare» ai superiori gerarchici) dì elaborare il collegamento delle dìnamiche del loro popolo con le grandi tematiche del momento sociopolitico.
Non essendoci dunque un tessuto e una dinamica di tipo intermedio, si capisce come su tali tematiche gli orientamenti della base cattolica -non arrivino affatto; o arrivino distorti dalle convinzioni di chi presume di parlare in suo nome; o arrivino sì corrette, ma quasi casuali e quindi' senza adeguato seguito (si pensi all'ultima presa di posizione dei Papa sul problema dell'immigrazione).
Chi voglia allora far partecipe il popolo cattolico della sviluppo complessivo della nostra società deve lavorare sulla crescita del suo tessuto intermedio e delle sue dinamiche intermedie; vale per le gerarchie ecclesiastiche e per l'associazionismo ecclesiale, ma vale anche per chi vuole chiamarlo a responsabilità collettive, magari anche politiche_ Altrimenti rischiamo le chiacchiere inutili e confuse che oggi occupano titoli, articoli, dichiarazioni, annunci, siti e circuiti mediatici, verso cui il popolo cattolico si dimostra progressivamente indifferente.


La «diserzione» dei generali cattolici e il manipolo di atei devoti

Come mai il popolo cattolico, diffuso capillarmente nelle 25.000 parrocchie sparse sull' intero territorio nazionale ed estremamente significativo sul piano qualitativo, «socio-antropologico», non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? È questo l' interrogativo che si poneva Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera del 31 agosto. Ebbene, di primo acchito non pare esservi altra ovvia e ragionevole risposta - non contemplata però da De Rita - a questa domanda che quella per cui i cattolici oggi in Italia contano quasi zero perché, accampati da ospiti e in piccoli gruppi, in tende di «altre» formazioni politiche, hanno perso qualsiasi capacità di incidere. In breve: la diaspora ha significato la sostanziale eliminazione dei cattolici dalla scena della politica. 
E ormai sotto gli occhi di tutti è l' inconsistenza di quel martellante refrain stando al quale il «compito politico» dei cattolici si risolverebbe nel dare la loro testimonianza in qualsiasi partito si trovino. Certo, non vi è nulla di più alto e di più nobile per un uomo che testimoniare a viso aperto i propri convincimenti morali. Tuttavia essere lì, pronti a testimoniare i propri ideali, ma sapendo di venire comunque sconfitti, non trasforma i consapevoli perdenti in ascari delle altrui soluzioni? 
Nulla di preoccupante, verrebbe da dire, dato che dalle parti più diverse e anche opposte si affacciano di continuo politici che solennemente dichiarano di essere proprio loro e magari solo loro, a rappresentare le istanze del popolo cattolico. 
Così, in una lettera al Corriere del 23 agosto il ministro Gelmini, con un divieto alla storia futura e un insulto alla verità di quella passata («È il Pdl il partito più sensibile ai valori cattolici»), ha affermato che è proprio l' attuale governo a mettere al centro «l' elemento che sta più a cuore al mondo cattolico, vale a dire la difesa e la promozione della persona e della famiglia». Non dubito minimamente delle buone intenzioni del ministro Gelmini, ma: la mancanza di asili infantili, l' assenza di una legge sul quoziente familiare, la carenza di migliaia e migliaia di posti letto per studenti universitari (ne servono 200.000) sono aiuti alle famiglie? In questi ultimi anni è morta una scuola libera quasi ogni giorno - e, dunque, che fine ha fatto, a parte le buone misure adottate da Roberto Formigoni in Lombardia, l' idea di buono scuola? È così che «un governo sensibile ai valori cattolici» difende la libertà delle famiglie di «scegliere», come diceva Rosmini, per educatori della loro prole quelle persone nelle quali ripongono maggior fiducia? E se la persona umana viene tante volte umiliata e proprio nel momento di maggior bisogno, in non pochi pronto soccorsi dei nostri ospedali, sempre la persona umana non esiste, scompare, in numerosi istituti carcerari Ed è proprio quel popolo cattolico, silenziosamente operante nel volontariato e nelle sedi della Caritas, ad avvertire, più di altri, il fetore razzista che emana da quei soffioni boraciferi costituiti da molte prese di posizione contro gli immigrati e contro i rom. No, ministro Gelmini, non è «l' imam della Lombardia» quella grande figura del mondo cattolico che è il cardinale Dionigi Tettamanzi; non sono «comunisti» e «sovversivi» né l' Avvenire né Famiglia cristiana. È semplicemente un comportamento da zerbini e non da uomini liberi sostenere, sempre e comunque, che è vero e giusto soltanto ciò che serve al partito. 
D' accordo con quel «laico in tutti i sensi» che fu Alessandro Manzoni, il cattolico liberale è contrario a quanti concepiscono lo Stato come un instrumentum religionis ed è ugualmente avverso a coloro che vorrebbero fare della religione un instrumentum regni. Non è, inoltre, un servizio alla famiglia e alla persona una tv pubblica asservita ai partiti e davvero «cattiva maestra». Non è liberale una legge elettorale dove quattro Caligola nominano un Parlamento e illiberali sono quelle proposte contrarie al grande principio dell' uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e pensate al fine di salvare i «potenti» dai tribunali; così come risultano estranei all' autentica tradizione del liberalismo tutte le contorsioni tese a limitare la libertà di informazione. «La libertà di cui parlo è la libertà di dir corna del prossimo e del governo e massimamente di questo, nei giornali e sulle piazze; salvo poi a pagare il fio, con adeguate pene in denaro o in anni di carcere, delle proprie calunnie ed ingiurie». Questo scriveva sul Corriere della Sera del 13 aprile 1948, quel liberale cattolico che fu Luigi Einaudi. 
Ha ragione De Rita a sostenere che il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica. Lui aggiunge che ciò è dovuto al fatto che «mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese». 
Su questa sua idea sono in pieno disaccordo, le cose non stanno affatto così. Il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica perché i cattolici del livello e del prestigio di De Rita - e ce ne sono - stanno da tempo lì, alla finestra, a guardare. 
Dove si sono rintanati - dalla prospettiva della politica nazionale - gli iscritti all' Ucid, i dirigenti dei Medici cattolici, i leader dei Giuristi cattolici, quei banchieri ed economisti cattolici che saltano da un convegno all' altro per parlare di merito, sussidiarietà, solidarietà e di economia sociale di mercato? In quale caverna si sono rifugiati intellettuali come Francesco D' Agostino, Andrea Riccardi, Renato Moro, Lorenzo Ornaghi, Giovani Reale, Flavio Felice, Francesco Paolo Casavola, Enrico Berti, Francesco Viola, Cesare Mirabelli, Stefano Zamagni e altri ancora? La truppa c' è: numerosa e motivata. Mancano generali e stato maggiore. 
Ed ecco, allora, che nel vuoto prodotto dalla «diserzione» dell' intellighenzia cattolica si agita quel manipolo di atei devoti - fenomeno politico e non religioso - tanto accarezzati da non pochi ecclesiastici. In fondo, il ragionamento dell' ateo devoto - chissà se folgorato e caduto da cavallo sulla via di Montecitorio - è il seguente: «Io sono ateo, perché provvisto di mentalità scientifica, perché sono razionale; tu cattolico, invece, dai il tuo assenso a delle favole; dunque, prendo le distanze dalla tua fede, rifiuto quello che più conta per te e ti uso per quello che mi servi». 
Atei devoti: devoti a chi, a che cosa? Un pensiero di Kierkegaard: «Iddio non sa che farsene di questa caterva di politicanti in seta e velluto che benevolmente hanno preteso di trattare il cristianesimo e di servire Iddio servendo a se stessi. No, dei politicanti Iddio se ne strafischia». RIPRODUZIONE RISERVATA
Antiseri Dario




Miano: «Unità dei cattolici sui problemi della gente»
Il presidente dell’Ac: affrontare l’inverno demografico e le sfide di famiglie e lavoro
DI MIMMO MUOLO

Impegno educativo e Settimane Sociali. Senza tralasciare alcuni importanti appuntamenti asso­ciativi, tra i quali un incontro con il Papa. È questo l’orizzonte sul quale l’Azione Cattolica Italiana lavorerà in questo periodo di ripresa delle at­tività dopo la pausa estiva. Ieri se ne è parlato nella riunione di presiden­za, al termine della quale il presi­dente nazionale, Franco Miano ha espresso ad Avvenire l’auspicio che l’agenda di speranza messa a punto in vista delle Settimane Sociali, di­venti patrimonio condiviso del Pae­se, non solo all’interno del mondo cattolico.

Presidente Miano, che autunno sarà per l’Ac?

Un autunno di grande impegno. I te­mi su cui stiamo lavorando sono gli stessi che più stanno a cuore alla Chiesa italiana. Impegno educativo e Settimane Sociali. Inoltre stiamo organizzando due appuntamenti particolarmente significativi per la vita della nostra associazione. Anzi­tutto l’atteso incontro dei ragazzi e dei giovani di Ac con il Papa, previsto per il 30 ottobre. Lo slogan sarà 'C’è di più' e vuole ribadire l’impegno ap­passionato dell’Azione Cattolica per le nuove generazioni, all’inizio del decen­nio dell’educazione. E ad Ancona, dal 10 al 12 settembre, si terrà il convegno dei presi­denti diocesani, pri­mo passo del nostro anno assembleare che si chiuderà a maggio con l’Assem­blea generale. 

A proposito di educazione e temi so­ciali, qual è l’agenda delle priorità del Paese secondo l’Ac?

Prima di tutto la questione della vi­ta. Penso ad esempio all’insistenza con cui il cardinale Bagnasco ha par­lato dell’inverno demografico. Pen­so alla famiglia, senza la quale la so­cietà si sgretola, come ricordava il presidente della Cei. E penso alla questione del lavoro, che significa dare risposte per la vita delle persone. In sostanza penso all’oggi un di più di impegno nella di­rezione della comunione ecclesiale. E questa comunione, nella vita del­le associazioni, dei gruppi, dei mo­vimenti, sta diventando sempre più il pilastro fondamentale su cui le di­versità legittime diventano ricchez­za dea del bene comune, che nella no­stra ottica parte dalla centralità del­la persona, della comunità, delle re­lazioni. Noi vogliamo contribuire af­finché il bene comune si traduca in provvedimenti concreti e ci sia una vita bella, buona e degna per tutti.

Il mondo e l’associazionismo catto­lico sono uniti su questi temi?

Il mondo cattolico è molto più uni­to di come i media lo rappresentano. E sono d’accordo con quanto soste­neva Giorgio Vittadini nell’intervista ad Avvenire di qualche giorno fa. C’è e non elementi di divisione. In questi anni c’è stato un cammino positivo da questo punto di vista, che ha favori­to l’incontro prima di tutto l’incontro sulle cose che contano.

Eppure c’è chi conti­nua a tirare la giacca ai cattolici, volendoli portare ora da una parte ora dall’altra? Quale deve essere a suo avviso il posto dei cattolici in politica?

Ritengo che il rappor­to tra gruppi movi­menti e associazioni cattolici e la politica debba avere come punti di riferimento anzitutto il Vangelo, la Dottrina sociale della Chiesa e il Magistero. Queste sono anche le bussole dell’Ac, che mette al centro la per­sona, la famiglia, il la­voro, l’attenzione al territorio e tanto im­pegno concreto. Una politica che mette al cento la persona è u­na politica che sfida la corruzione, una poli­tica in cui l’elemento della moralità è inelu­dibile e la dimensio­ne della legalità è im­prescindibile. E tutto questo non è di destra o di sinistra. Ma si po­ne semplicemente a servizio dell’uomo.

Quindi, dopo la sta­gione dell’unità politica e quella che è seguita alla sua conclusione, qua­le stagione lei auspicherebbe ora per l’impegno dei cattolici in politica?

Il cardinale Bagnasco, anche nei gior­ni scorsi, ha ripetuto il suo appello af­finché sorga una nuova classe poli­tica cristiana nei fat­ti più che nelle paro­le. Il modo migliore per rispondere al­l’appello del presi­dente della Cei cre­do sia quello di mantenere uno stretto legame fra le comunità e i sin­goli cattolici impegnati in politica, al fine di incoraggiare una presenza coerente con i principi professati. Ma a tal fine è necessario un cambia­mento di mentalità nelle nostre Chiese: e cioè non ritenere la di­mensione sociale e politica come marginale o destinata a pochi spe­cialisti, ma considerare la forma­zione a questi aspetti essenziale co­me per tutti gli altri momenti del cammino cristiano.

La stessa Azione Cattolica è anche un itinerario di educazione all’im­pegno sociale e politico perché di fatto è un luogo concreto di eserci­zio della socialità, della correspon­sabilità e della democrazia. Che co­sa è lecito attendersi da questo punto di vista dalla Settimana So­ciale di Reggio Calabria?

Mi attendo che il grande sforzo fat­to nella fase preparatoria intorno al concetto di bene comune venga tra­dotto in proposte concrete. Scuola, università, lavoro, impresa, fami­glia, vita, tutti i temi dell’Agenda di speranza, sono di vitale importan­za per il Paese. Dobbiamo dare il nostro contributo. Inoltre, compito della comunità ecclesiale è anche di non lasciare soli coloro che sono impegnati direttamente in politica, cercando momenti di confronto e di dialogo. Spero, dunque, che a par­tire da Reggio Calabria in ogni Chie­sa locale maturino queste convin­zioni, per costruire insieme un fu­turo migliore.

«Il nostro mondo è più coeso di quanto venga descritto nei media»

martedì 8 febbraio 2011

Pensieri per Padre Stefano

OGGI ABBIAMO CELEBRATO LA MESSA PER IL TRIGESIMO DELLA SCOMPARSA DI PADRE STEFANO, IL NOSTRO AMATO PARROCO. ABBIAMO RACCOLTO UN PO DI PENSIERI CHE LA COMUNITà GLI HA VOLUTO DEDICARE.
ECCOVELI A TESTIMONIARE L'AMORE DELLA SUA COMUNITA' PER QUESTO SANTO SACERDOTE



Raccogliamo in questi fogli, insieme ad altri messaggi, i pensieri che la comunità parrocchiale di Padre Stefano ha voluto scrivere in occasione della sua scomparsa. Siamo certi di fare cosa gradita a tutti quanti hanno conosciuto Padre Stefano Pompilio, il nostro amato parrocco.

Il consiglio parrocchiale di Azione Cattolica





Il nostro parroco, Padre Stefano Pompilio, negli ultimi periodi è stato lontano dai nostri cuori per le sue pessime condizioni fisiche e questo ci ha fatto molto male, ma, nonostante la sua addolorata morte, tutti noi continueremo ad amarlo senza fine e sentiamo che la sua anima è rimasta in mezzo a noi per guidarci come un pastore guida le sue pecore: con il cuore. Non finiremo mai di ringraziarlo per tutto quello che ha fatto e che ancora oggi continua a fare. Padre Stefano sarà sempre nel nostro cuore e il suo spirito veglierà su di noi. Se oggi fosse ancora qui con noi gli direi soltanto una parola... GRAZIE. Caro Gesù, fa che Padre Stefano non sia mai dimenticato per le sue opere buone e fa che il suo Spirito di Pastore non cessi mai di guidarci; la sua luce ci illuminerà nei momenti in cui siamo accecati dal dolore e la sua anima ci aiuterà a superarli con coraggio.Gesù, fa che il nostro parroco riposi in pace nella luce della Tua Gloria. Amen.

Martina, ACR









Padre Stefano era una persona gentile e brava. Ricordo le parole del mio parroco quando ha celebrato per la mia Prima Comunione (1' ultima Celebrazione per lui), mi disse che ero un bravo ragazzo e dovevo essere buono con tutti, poi mi feci la foto con lui ... Ricordi che conserverò nel mio cuore.

Marco I., ACR







Padre Stefano è stato il mio parroco per molti anni. Ricordo quando facevo il chierichetto: se a volte non lo volevo fare, lui mi incoraggiava sempre a farlo e mi diceva sempre che ero un ragazzo intelligente e bravo.

Marco R., ACR



Caro Padre Stefano, per me sei stato un padre molto bravo. Ogni volta che facevo il chierichetto con te mi sentivo un ragazzo molto felice e per la tua morte mi è dispiaciuto molto: per me sei sempre stato e sarai il migliore parroco.

Francesco, ACR e ministrante







Padre Stefano, anche se non possiamo venirti a pregare sulla tua tomba perchè sei Asora, resti sempre in mezzo a noi e nei nostri cuori. Padre Stefano era il mi parroco preferito. Con lui ho fatto per diverso tempo il suo unico chirichetto.

Giovanni, ACR e ministrante











Non voglio portare qui oggi il mio ricordo di padre Stefano, perché ciascuno ha il suo, il proprio ricordo, le proprie immagini di lui che continuera' a portare nel cuore. E poi non saprei davvero cosa selezionare di questi anni passati insieme a lui in questa parrocchia, che anch'io frequento da circa undici anni... .quindi tutto quanto ho fin'ora vissuto qui, in questi luoghi, è strettamente legato alla sua persona.

Cio' che vorrei io stasera, è chiedervi di non ricordare padre Stefano, ma di essere sua testimonianza, testimonianza del bene che ha fatto, testimonianza della riservatezza che ci ha insegnato, testimonianza della pazienza silenziosa, testimonianza della preghiera costante, dell'amore a Dio e ai fratelli. Non ricordiamo cio' che ha detto e cio' che ha fatto, ma traduciamolo in opere: facciamo come lui ha fatto e come lui ci ha detto di fare.

Tante cose forse non abbiamo comprese quando era qui fisicamente tra noi, tante volte lo abbiamo contraddetto, contrastato.....oggi forse qualcosa ci appare piu' chiara, oggi capiamo il perché del suo silenzio e delle sue parole. Ascoltiamole, fin nel profondo del nostro cuore.

Il Signore lo ha donato alla nostra parrocchia, e noi dobbiamo esprimere la nostra gratitudine cercando di mettere in pratica anche un solo piccolissimo insegnamento che ci è venuto da Padre Stefano. Non è facile, siamo tutti troppo pieni di noi stessi e delle nostre convinzioni, ma io ho riflettuto e nel ripercorrere i miei ricordi, l'immagine piu' ricorrente è quella di Padre Stefano che pregava in silenzio; forse voleva insegnarci queste cose, stare in silenzio e pregare.

Cosa potrebbe desiderare lui oggi? Oggi che gode della luce di Dio? Forse solo sapere che proviamo ad essere cristiani migliori..., almeno ci proviamo e ne diamo testimonianza agli altri.

Io credo che tosi' sana' sempre vivo, non solo nel ricordo ma in tutte le nostre buone azioni cristiane.

Voglio pregarti Signore mio Dio, ed è difficile farlo usando le mie parole, è piu' facile dire le preghiere che tu ci hai insegnato ma questa sera ci voglio provare:

Padre Nostro che.sei nei cieli Sia santificato il tuo nome

Sia fatta la tua volonta' come in cielo tosi in terra,

aiutaci ad accettare la tua volonta',

aiutaci a capire perche' la morte ci sottrae le persone care,

aiutaci a sentirle sempre presenti in mezzo a noi,

facci gioire perché loro ti sono accanto,

fa che possiamo comprendere i loro insegnamenti e

fa che possiamo imitare i loro gesti.

Cosi ti prego per Padre Stefano, che ha accompagnato tutto il mio cammino

in questa comunita' parrocchiale, sin dal primo giorno.

Fa che lui possa godere della tua luce e fammi sentire la sua gioia.

O Signore, fammi pregare con l'ardore con cui lui ti pregava,

con la forza e la perseveranza, con cui Lui ti pregava.

Fammi essere da esempio per gli altri, come tu lo sei stato per la vita di Padre Stefano e come lui lo è stato per la nostra vita.

Aiutami a comprendere la grandezza dei suoi silenzi e fa che nel silenzio del mio cuore, io possa sentire la sua voce che continua a guidare i miei passi.

Antonella M., schola cantorum











Ho visto persone offenderti e tu, umile, le hai perdonate.

Ho sentito persone giudicarti e tu, puro nel cuore, le hai accolte.

Uomo di fede, discreto, sempre disponibile con chiunque ti chiedesse aiuto: "...Padre Stefano, vorremo creare l'Azione Cattolica; Padre Stefano, vorremo organizzare il cineforum; Padre Stefano, vorremmo fare un concerto di natale...". Che immenso vuoto ci hai lasciato, piccolo grande uomo... esempio di santità. Il tuo ricordo rimarrà vivido nei nostri cuori e le tue opere ferme nelle nostre menti, ma soprattutto vogliamo ringraziare il Signore, Dio nostro, che ci ha dato la grazia di aver conosciuto un uomo come te.

Julia, schola cantorum









Noi catechiste vi ringraziamo, Padre Stefano, perché, durante tutti questi anni, abbiamo trovato in voi un parroco disponibile, che ha posto in noi tutta la sua fiducia, facendoci svolgere il nostro compito con serenità e tranquillità. Ora sentiamo la vostra mancanza, ma siamo sicure che dal cielo continuerete a guidarci e a sostenerci, perché possiamo preparare i bambini, i ragazzi e i giovani ad affrontare la vita forti nella fede, fiduciosi nella speranza, operanti nella carità, a crescere secondo il cuore di Cristo e della Vergine e a vivere nella . pace, nella gioia e nell'unità, superando divisioni e discordie.

Maria, catechista











Padre Stefano era il nostro parroco. Ci ha lasciati il 7 gennaio scorso verso le 15:00 nel letto dell'ospedale civile di Benevento

Ve ne voglio parlare attraverso semplici cose che passano per la piccola quotidianità della nostra parrocchia.

Voleva veramente bene a noi, suoi parrocchiani! Quanto abbiamo imparato!? Quanto ancora avrebbe potuto darci!?

Una spiritualità forte, perseverante, adamantina. Le omelie sempre legate alla parola. Meditate. Sempre riservato, schivo, timido. Un sguardo semplice che affondava le radici nella profondità di una vita di preghiera. Si affidava a Dio in tutto.

Prima e dopo la messa domenicale era bello salutare padre Stefano in sagrestia. Aveva sempre un sorriso che dava sicurezza e pace. Mi dicevo prima di arrivare in chiesa per la celebrazione domenicale: facciamo presto padre Stefano è solo. Ha bisogno di aiuto per la celebrazione. Bisogna organizzare letture e canti. Invece ero io che avevo bisogno di quella sua semplicità radicata in Dio, domenica dopo domenica per 10 anni. E poi padre Stefano non era mai solo. Stava a pregare in compagnia del Signore. Non sprecava mai il tempo senza pregare. A volte lo si trovava a sgranare il rosario, altre a legger un libro di spiritualità, altre in silenzio vicino all’altare. Pregare era l'unica cosa per la quale per lui valeva preoccuparsi.

Quanti aneddoti da raccontare!? Come quella volta che gli chiedemmo la data del suo compleanno e ci disse di non ricordarla ma che era il giorno di Santa Cecilia.

E’ vero: a volte lo avremmo voluto più, come dire, “trascinatore di folle”.

Invece abbiamo capito che non era nella sua indole trascinare perché era trascinato lui stesso dall’amore e dal timor di Dio al quale si affidava continuamente. Proprio questo desiderava trasmetterci, riuscendoci.

Per questo in lui tutti noi vedevamo proprio l’uomo di Dio, il piccolo, gracile e forte segno della presenza del Signore tra di noi. Non aveva bisogno di uscire per le strade per andare incontro alle persone. La forza del suo esempio attirava in tanti. A volte lo vedevi attardarsi in chiesa fino alle 21:00 per ricevere persone. Aveva sempre tempo per confessare e amministrare i sacramenti. Aveva sempre tempo per ascoltare. Nell’ultimo periodo,anche se stanco e malato, aveva sempre la sua parrocchia nel cuore.

L’ultima volta che lo abbiamo visto era su in convento. Sorrideva e aveva in animo di tornare a breve tra di noi. E’ tornato solo la settimana scorsa e c’era ad attenderlo tutta la sua comunità parrocchiale insieme a più di cinquanta sacerdoti, una folla che la nostra piccola chiesa parrocchiale non poteva contenere, a testimoniare un affetto vero e sincero per questo piccolo uomo di Dio segno della sua presenza tra di noi.

Padre Stefano ci mancherai tanto. Noi tuoi parrocchiani ti vogliamo bene e ti ricorderemo.

Continua a pregare da lassù per noi, per la tua comunità parrocchiale e anche per tutti i sacerdoti che hanno tanto bisogno delle tue preghiere e del tuo esempio.

Diego, AzioneCattolica

















Il Gruppo di Preghiera “Padre Pio", costituito e voluto fortemente da Padre Stefano, appena Padre Pio fu proclamato Beato, è stato in tutti questi anni molto fruttuoso. In ogni incontro mensile, sempre ricco di spiritualità, di condivisione, di crescita, di conoscenza e di amore fraterno, Padre Stefano, direttore spirituale, ci ha guidati come un padre amorevole, disponibile, paziente, facendoci conoscere ed amare Padre Pio, per il quale nutriva una devozione ed un amore straordinario e, attraverso il suo esempio, ci ha insegnato ad affidarci alla misericordia di Dio e alla protezione della Madonna.

Noi lo abbiamo sempre visto molto vicino a Padre Pio nel suo, modo di pregare, nell'amministrare i Sacramenti, nell'essere testimone del Vangelo, nell'Adorazione a Gesù Eucaristia, nella devozione alla Madonna, ma, soprattutto nelle sofferenze di ogni giorno e di ogni genere, accettate e sopportate con rassegnazione, nel silenzio e nell'abbandono totale alla volontà di Dio.

Ad un mese dal suo ritorno alla Casa del Padre, noi vogliamo ricordarlo così: con la corona tra le mani guidare la preghiera del Santo Rosario meditato davanti a Gesù Sacramentato, solennemente esposto, il 25 di ogni mese e con questi pensieri, che Padre Stefano direbbe a ciascuno di noi, suoi figli spirituali: " Io non sono morto! Sono soltanto passato dall'altra parte e, con Padre Pio, vi aspetto davanti alla porta del Paradiso, finché non vi avrò tutti con me. Pregate, siate sereni, pensatemi! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronunciatelo senza tristezza! La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa diprima, c'è una continuità che non si spezza.

Non sono lontano. Sono sempre con voi. Va tutto bene. Ritroverete il mio cuore accanto a voi, avvertirete la mia presenza in ogni momento, sia esso bello o meno bello. Non piangete, perché il vostro sorriso è la mia pace".

Grazie, Padre Stefano, per tutto quello che siete stato e che avete fatto per tutti noi e vi promettiamo che il Gruppo di Preghiera "P. Pio", con il vostro aiuto e con la vostra protezione, continuerà ad andare avanti, secondo i vostri insegnamenti, certi che ora più che mai, sarete in mezzo a noi, a pregare con noi il giorno 25 di ogni mese.

Ora che vi siete unito a Padre Pio, insieme, pregate, proteggeteci e vegliate su di noi, affinché possiamo essere vostri degni figli spirituali.

Non vi dimenticheremo! Riposate in pace!

Cira, Gruppo di preghiera “Padre Pio”



Per

Amore

Del

Redentore

Era



Santo

Testimone

Esemplare

Fedele

Annullandosi

Nell’

Orazione



Pura

Ogni

Momento

Per

Incontrare

L’agognato

Iesus

Onnipotente

Mena, catechista















“Ecco noi abbiamo lascito tutto e ti abbiamo seguito, che cosa, dunque, avremo in cambio?”

Con queste parole l’apostolo Pietro rivolge a Gesù un interrogativo che riguarda tutti noi, in modo particolare noi consacrati, che abbiamo lasciato case, famiglie , luoghi per seguire il maestro.

Padre Stefano sin dall’età di 10 anni ha lasciato Sora, la famiglia per seguire la voce del Signore che lo chiamava tutto a se in una nuova famiglia, quella della Congregazione dei Passionisti.

Nel corso degli anni della sua vita religiosa, non si può non riconoscere il suo attaccamento a questa famiglia e il suo profondo affetto per il nostro Santo Fondatore, al quale ha persino dedicato la sua tesi dottorale negli anni di studio.

Ha ricoperto vari ruoli nella nostra provincia: formatore, predicatore di esercizi, docente di teologia spirituale presso il Collegio Le3oniano di Anagni, superiore, direttore spirituale di tante anime e negli ultimi tempi parroco di questa comunità. E’ stato anche vice postulatore della Provincia dell’Addolorata. Tra tante pubblicazioni da lui prodotte, ricordo la vita del beato Grimoaldo, in occasione della beatificazione.

In questa comunità parrocchiale ha profuso le ultime energie, donandosi totalmente al popolo: tutto passava in second’ordine, anche la sua salute, per lo zelo verso le anime. È questa la vera risposta piena e generosa del discepolo che s’incammina dietro la voce del Maestro e lo rende presente nel mondo, nei posti dove l’obbedienza lo chiama.

“ Che cosa dunque avremo in cambio? Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.”

Caro Padre Stefano oggi si chiude la tua vita terrena dopo una vita spesa a servizio di Dio e del Vangelo. La Congregazione ti è grata per la testimonianza di vita religiosa che lasci ad ognuno di noi; ti è grata questa comunità parrocchiale che hai servito con amore e dedizione totale.

Grazie a Sua Eccellenza il Vescovo per la stima verso i Passionisti e per la fiducia che ha riposto in Padre Stefano, affidandogli la cura pastorale della parrocchia di San Michele Arcangelo a Serpentara; grazie ai sacerdoti della diocesi e ai confratelli religiosi per la loro partecipazione; grazie al Sindaco e alle autorità per la testimonianza d’affetto che hanno dato in questa circostanza.

Ecco quello che il Padrone della messe ti concede di vedere come raccolto alla tua seminagione: l’affetto dei confratelli, dei tuoi cari e della tua comunità; l’amore dei tuoi familiari che ti fanno assistito notte e giorno tutte le volte che sei stato ricoverato in ospedale; i giovani volontari che dormivano al tuo fianco in ospedale; la comunità religiosa di Airola che ti è stata vicina e non ha fatto mancare nulla a te e alla tua comunità parrocchiale.

A tutte queste persone che nel segreto ti hanno dato testimonianza di affetto, la gratitudine personale e dell’intera Provincia.

Eccolo il centuplo che ricevi dal Signore, come premio per la tua generosa risposta alla sua chiamata: l’affetto di tutti noi e la cosa più preziosa: Egli stesso, la vita eterna

La famiglia ha voluto che Padre Stefano fosse sepolto nel suo paese d’origine, Sora.

Santa Monica, madre di Sabt’Agostino, quando ormai si vide in fin di vita, chiamò a se i suoi figli e, vedendoli afflitti per la sua imminente morte, disse: “seppellirete questo corpo dove ch sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore.”

A Padre Stefano poco interesserà dove sarà seppellito: credo che chieda a noi suoi confratelli e a voi caro popolo che lo avete amato che ci ricordiamo di Lui presso l’altare del Signore, quell’altare sul quale è salito per immolare l’Agnello divino per noi e per il mondo intero.

Padre Enzo Del Brocco, Provinciale Passionisti









La morte del reverendo Padre Stefano Pompilio trova l’Azione Cattolica in preghiera per la scomparsa di un pastore ed un amico dell’AC, protagonista della vita della Vostra parrocchia.

La volontà di Gesù coincide con quella di Dio Padre, e con l'opera dello Spirito Santo costituisce per l'uomo una sorta di “abbraccio” sicuro, forte e dolce, che lo conduce alla vita eterna.

I grandi uomini di fede vivono immersi in questa grazia. Essi hanno il dono di percepire con particolare forza questa verità, e così possono attraversare anche dure prove senza perdere la fiducia, come per Padre Pompilio, e conservando anzi un vivo senso del Servizio, che è certamente un segno di intelligenza ma anche di libertà interiore. Questa libertà e questa presenza di spirito ha il suo fondamento oggettivo nella Risurrezione di Cristo. La speranza e la gioia di Gesù Risorto sono anche la speranza e la gioia dei suoi amici, grazie all'azione dello Spirito Santo.

Lo dimostrava abitualmente Padre Stefano, con il suo modo di vivere, e questa sua testimonianza diventava sempre più eloquente col passare degli anni, perché, malgrado un carattere riservato e gli inevitabili acciacchi, il suo spirito rimaneva fresco e giovane. Che cos'è questo se non amicizia con il Signore Risorto?.

“Con tutto il cuore”. Questa espressione del Libro del Deuteronomio, nel primo e fondamentale comandamento della legge, là dove Mosè dice al popolo: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze' (Dt 6,4-5).

Così ha vissuto Padre Stefano, con tutto il Cuore rivolto a Cristo, in silenzio ma sempre vigile. L’Azione Cattolica diocesana si stringe attorno alla Vostra comunità parrocchiale e ai Padri Passionisti, affinchè rimanga sempre viva l’opera del vostro Pastore, che vi incita a continuare e a non sentire il distacco umano. Padre Stefano, da lassù, vi benedice e vi continua ad amare.

Coraggio !!! Cerreto Sannita, 8 Febbraio 2011

Vittorino Onofrio,

Presidente diocesano Azione Cattolica











Ti rendiamo grazie, o Signore per averci fatto dono di Padre Stefano che con il suo silenzio eloquente ha trasmesso a tutti noi il senso profondo del Tuo mistero.

Come per i discepoli di Emmaus anche per la nostra parrocchia hai posto accanto un padre più che un parroco, sempre attento ai bisogni fisici, sociali e spirituali di tutti coloro che a lui si rivolgevano così come l'agricoltore è sempre pronto e attento alle cure della sua vigna.

Ora che il suo percorso con noi è umanamente terminato, ti chiediamo di farlo camminare sempre accanto a noi spiritualmente e di continuare a benedirci anche attraverso di lui.

Caro Padre Stefano, Ti siamo tutti grati per quanto hai fatto per noi, per i sacrifici, le penitenze e tutte le attenzioni nei riguardi di quanti, sofferenti nel corpo e nello spirito si rivolgevano e oggi continueranno a rivolgersi a te.

Grazie per il dono che ci hai fatto della tua presenza in questa Parrocchia. Ora che fisicamente ci hai lasciati continua a guidarci sempre verso la via del Signore, con l'aiuto della B.V. maria e dei santi nostri protettori.

Ti conceda il Signore l'eterno riposo dalle fatiche terrene sostenute e dalle sofferenze fisiche vissute, possa splendere presto su di te la luce perpetua perché tu possa riposare nella pace dei Santi. Amen.

Comunità claustrale delle Clarisse