domenica 19 ottobre 2008

Run for Water, run for life: II° edizione


Cari amici,
vi segnalo questa iniziativa di Africa Mission.


Dal 23 al 26 ottobre inviando un sms al


48583

potrete inviare 1 euro per la costruzione di pozzi nella Karamoja in Uganda.

1 EURO? E' il costo di un caffè ma può aiutare e far felici in tanti.

Io lo manderò.

Sotto trovate il video pubblicitario.

Linkate questo post e fatelo girare ai vostri amici.

E' una buona causa.



martedì 14 ottobre 2008

Testamento biologico: i termini della questione

Cari amici,
A questo link trovate un interessante articolo sul testamento biologico segnalatomi.
E' di Ignazio Marino, senatore del PD:
Sotto invece ne trovate un altro, molto interessante, di Michele Aramini apparso su Avvenire.
Sono due articoli molto inetessanti perchè pongono in maniera chiara i termini del dibattito intorno alle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento.
Infine vi offro la sintesi del Comitato Nazionale di Bioetica sullo stato vegetativo persistente:
nonchè quella sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento:
Logicamente come si sa il lavoro del comitato di bioetica è una mediazione e vi accorgerete che non sempre l'accordo si raggiunge.
Su questo vi consiglio di leggere un interessante libro di Giovanni Fornero (Bioetica Laica e bioetica cattolica)
Vi potrà servire a farvi una chiara idea sui termini del dibattito in corso. A me è servito.
ciao

IL DIBATTITO SU IDRATAZIONE E ALIMENTAZIONE ARTIFICIALE
Nutrire i pazienti un dovere che non si sospende

MICHELE ARAMINI

N
el dibattito svoltosi qualche anno fa in seno al Comitato nazionale di bioetica, in vista del documento sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), siregistrato un accordo sulla quasi totalitdelle questioni trattate, con una importante eccezione che ha visto un dissidio insanabile tra due schieramenti. Si tratta della possibilitdi ammettere anche direttive sulla sospensione di trattamenti di sostegno vitale, quali l’alimentazione e l’idratazione artificiale.­ il punto che viene richiamato anche nel dibattito di questi giorni attorno al caso di Eluana Englaro, attraverso varie dichiarazioni apparse sulla stampa. La questione risulta particolarmente delicata perchha conseguenze immediate in tema di eutanasia. La possibilitdi stilare direttive anticipate relative alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale (Aia) finisce infatti con l’introdurre l’eutanasia all’interno delle direttive stesse. In sostanza, avremmo una 'piccola eutanasia' fatta entrare come un cavallo di Troia all’interno di una legge sulle direttive anticipate. La questione sull’opportunitdi continuare l’alimentazione e l’idratazione artificialeimportante per tutti, ma ha un rilievo fondamentale per le persone entrate in quello che si chiama­stato vegetativo. Questi pazienti possono vivere nella loro condizione per molti anni, e la nutrizione artificiale pupreservarli a lungo. Molti si chiedono seil trattamento non risulti eccessivamente gravoso. La risposta che ci danno i medici­che i pazienti in stato vegetativo, proprio a causa del loro stato, non possono percepire la nutrizione artificiale come insostenibile.
Qualcuno potrebbe giudicare la loro stessa vita 'gravosa', ma in questo caso veniamo a trovarci su un piano diverso: non abbiamo pia che fare con direttive anticipate ma con l’eutanasia vera e propria.­quindi importante non confondere la gravositdella condizione esistenziale con la presunta gravositdell’alimentazione e dell’idratazione.
Come regola generale, l’idratazione e l’alimentazione non vanno sospese anzitutto perchnon richiedono l’impiego di sofisticati sistemi tecnologici e, dunque, non costituiscono mezzi straordinari. In secondo luogo il nutrire non costituisce un trattamento medico ma un normale intervento infermieristico, equivalente a girare regolarmente un paziente o a praticargli frizioni con l’alcool. Inoltre il suo valore simbolico­ di gran lunga superiore a quello di altri trattamenti infermieristici.
Perciil nutrire si differenzia dal curare. Va tenuto conto che i pazienti in stato vegetativo a cui – secondo alcuni – potrebbero essere sospesi i trattamenti di sostegno vitale non sono morenti. Queste indicazioni sono state ribadite autorevolmente dalla Congregazione per la dottrina della fede nella risposta del 1agosto 2007 a due quesiti posti dai vescovi statunitensi. Come afferma la Congregazione,la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificialiin linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vitaed­obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalitpropria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In quel breve ma importante documento si ribadisce dunque come sia illecita la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione sia ai malati comuni sia ai soggetti in stato vegetativo. Un giudizio che non puessere eluso, e che trova riscontro nella realtclinica dei pazienti.

PD, dopo le prime primarie: struzzi o gabbiani?

Un anno fa si svolgevano le primarie del PD: il partito per "chi avrà vent'anni nel 2010" (Fassino all'ultimo congresso Ds).
Erano parole forti, vibranti, che spingevano a volare alto. Dopo un anno il grande volo delle aquile si è trasformato nel volo basso dello struzzo, dritto verso la buca per nascondersi e non vedere.
Mi tornano in mente le parole di quel dirigente sannita del PD che, trasfigurando la realtà, cantava il peana al nascente partito sannita forte a livello provinciale.
Fino a quando durerà tutto questo? Che partito è quello in cui i dibattiti di idee sono sempre rimandati a domani, a quando ci sarà tempo. Nella mia città i dibattiti non ci sono,non sono previsti, non ce ne saranno mai. Di tesseramento non se ne parla proprio.
Ormai il mio PD (quello che sognavo un anno fae che mi ostino a sognare) sembra la brutta copia dell'inesistente e vacuo PDL: ma almeno loro hanno Berlusconi che vince e convince!
Il mio PD non ha avuto il coraggio nemmeno di appoggiare la giusta battaglia dell'UDC per le preferenze!
Dopo un anno è l'ora dei bilanci impietosi. Il partito non si è strutturato, il tesseremento è una invisibile chimera, il rinnovamento della classe dirigente un auspicio vuoto.
Il partito non esiste, esiste invece una nomenklatura di partito che difende le proprie posizioni aspettando "a fine da nuttata".
Questo segretario rimane purtroppo ostaggio del vizio d'origine della sua "discesa in campo": cercare a tutti i costi i consensi dei maggiorenti e della nomenklatura di partito; cercare un ecumenismo inutile e dannoso, nutrito da un decisionismo sterile e calcolato.
D'altra parte lui, vecchio politico, poteva utilizzare solo vecchi metodi. Il ritiro della candidatura di Bersani, chiesto ed ottenuto da Veltroni, fu l'infanticidio del PD.
Veltroni non potrà mai liberarsi da questa strutturale incapacità di creare idee e prospettive reali. Per giunta dopo la debacle elettorale, mai potrà aspirare ad allargare le alleanze, specie a sinistra.
Non ha raggiunto una sintesi culturale e politica con l'area culturale cattolica. Ha alimentato una visione correntizia del partito scagliandosi contro Red e facendo crescere PeR e Quarta Fase. Non riesce a pronunciare parole che non sappiano di vuota retorica. Quelle sue tirate sui valori condivisi? Aria fritta!
Ha spacciato la sua personale corsa al potere per una svolta. Invece di andarci lui in Africa, ci ha mandato Prodi.
Veltroni, come segretario, è un vero disastro. Chi ricorda i suoi trascorsi diessini? La sua segreteria fu l'era del "partito leggero" e durò due anni, concludendosi con una scialuppa di salvataggio lanciata prima delle elezioni 2001 (il comune di Roma). L'unico commento possibile? Un capitano non abbandona la nave che affonda.
Il cerchio infine si chiude se si pensa all'ultimo degli argomenti usati per difendere una leaderschip decotta: non c'è nessun altro!
Ma è proprio vero? Non c'è proprio nessun altro che possa guidare il partito? Comincio a pensare, con Asor Rosa, che la vera nascita del PD ci sarà quando alle europee 2009 si attesterà sul 25% dei voti. Quello sarà l'atto fondativo del PD! Quello sarà il momento che farà alzare la testa ai nostri struzzi o a qualche quarantenne di belle speranze. Speriamo bene!
O si cambia o si muore!...e morendo si sgretolera tra le nostre mani una grande idea: quella di costruire un'area riformista di centrosinistra in cui i valori del cattolicesimo democratico possano convivere con quelli del riformismo socialista. Le grandi praterie disegnate da Vassallo e Scoppola al convegno di Orvieto 2006 sono ancora inesplorate per questo PD.
Qui non si tratta di salvaguardare equilibri politici di potere ma di fare una politica che sappia parlare alla gente con un metodo dialogico, senza cedimenti,.
Che credibilità ha il segretario quando declassa il dialogo a mero strumento di immagine e lotta politica? Ieri Berlusconi era uno statista, oggi....Putin.
Qui si tratta di fare una politica non pregiudizialmente antireligiosa, attenta al bene della persona umana, laica, matura, dialogica. Una politica che abbia il coraggio di dire che l'embrione umano non può essere oggetto di sperimentazione, che non sempre il paziente può avere l'ultima parola in tema di trattamenti sanitari, che l'immigrato va accolto sempre, che il mercato non è in grado di autoregolamentarsi da solo, che in questi anni ci hanno riempito la testa di panzane raccontandoci i fasti del secolo americano, che l'euro ha portato inflazione e che sono cresciuti gli stipendi dei manager e non quelli dei più poveri, che oggi occorre difendere i redditi e non le banche e gli affaristi di CAI.
Cosa abbiamo da dire sulla finanza che si auto-alimentava con una insostenibile economia del debito? Dove siamo stati in questi anni? Ora che ci penso però qualcuna di queste cose il segretario le ha dette. Allora qual è il problema?! Veltroni non è credibile, perchè pensa ai giornali, alle carte patinate e ai sondaggi. Dove passa lui tutto diventa notizia, immagine e pornografia dei sentimenti. Parafrasando il celebre spot, dove c'è Veltroni c'è casa!
Nel vuoto ddeale lasciato dal Veltroni pure Tremonti diventa uno statista ed una grande pensatore.
Oggi ci vorrebbe un colpo d'ala, come quello del gabbiano Jonathan, ma gli struzzi non sanno volare.
Si facciano avanti i gabbiani!

domenica 5 ottobre 2008

Testamento biologico: una interessante discussione su avvenire

Cari,


vi segnalo questa interessante discussione snodatasi tra il Foglio, mons. Betori e Avvenire.
Si tratta di una vicenda che prende le mosse dalle dichiarazioni di Betori nell'ultima sua conferena stampa da segretario della Cei quando ha affermato che "per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”.

La de Monticelli abiura ogni contatto e collaborazione con questa chiesa e basa il suo ragionamento ed il suo "addio" sul primato della coscienza individuale, mons. Betori risponde precisando il senso delle proprie parole. Come controcanto "esperto" si aggiunge infine oggi l'articolo di un'altra filosofa, Paola Ricci Sidoni la quale cerca di minimizzare, lasciando trasparire l'idea che la reazione della de Monticelli sia sproporzionata.

MIO COMMENTO: Penso che Betori agli occhi di persone "esperte" abbia fatto effettivamente una gaffe affermando in un contesto pubblico che "la decisione non deve spettare alla persona". Effettivamente nell'ambito della filosofia morale l'affermazione è errata. Tuttavia Betori ha la scusante di non essersi trovato ad un convegno dotto di filosofi. L'inesattezza della sua affermazione, ciò non di meno, è avvalorata dal fatto che ha sentito la necessità di precisare cosa c'era dietro le sue parole.
D'altra parte la reazione della de Monticelli è sproporzionata e forse indice di un malessere già maturato, mentre la lettera della collega mi pare guidata da mera finalità apologetica e di difesa d'ufficio.
Francamente a me tutta questa polemica interessa per un diverso profilo.
Infatti mi pare proprio il frutto di un clima creato negli ultimi anni intorno ai temi della cd bio-politica (orrendo neologismo!): un clima nel quale il valore primo della tutela della vita, a volte le stesse parole del magistero, vengono piegati, plagiati e strumentalizzati in battaglie di principio che, mentre vorrebbero difendere la vita, in ultima analisi finiscono per snaturarsi e far perdere ai protagonisti il senso della misura e delle proporzioni, presupposto di ogni dialogo che voglia essere fruttuoso.
Diceva un famoso filosofo che "la causa della verità non si distingue dalla causa dell'errore se non per lo spessore di un capello" (Mounier): è questa consapevolezza che dovrebbe guidare scelte e atteggiamenti anche del pubblico dibattito. Invece spesso su questi temi si scivola nella "inutile apologetica" (c'è naturalemente anche quella utile!) di chi estremizza i ragionamenti altrui. Capita ai discosrsi del papa sulla contraccezione ed il matrimonio; capita alle dichiarazioni della Bindi sui Dico.
Ecco, ci vorrebbe misura e senso delle proporzioni, per un dibattito serio su questi temi!




Abiura di una cristiana laica

“Questo è un addio. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla Chiesa italiana. Monsignor Betori nega la coscienza e la libertà ultima di essere una persona. Si rende conto?”

di Roberta de Monticelli *

Questo è un addio. A molti cari amici - in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri - la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo.

L’eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono “contenti nei pensier contemplativi”. E anche l’eredità di mistici di altre lingue e radici, l’eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d’Avila.

Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta.

La dichiarazione, riportata oggi su “Repubblica”, di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e “con il pieno consenso del presidente Bagnasco”, secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”, è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.

E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l’umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E’ la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell’umiltà e dell’abbandono in altre mani.

Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant’Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa?

Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.

Oppure ci sono questioni morali che non sono “di competenza” della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque “più ultima” di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa?

E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un’autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti?

C’è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? “Non siamo per il principio di autodeterminazione”, dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E’ possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai - lo dico con dolore - infamia.

di Roberta de Monticelli

* IL FOGLIO, 02.10.2008

RISPETTOSA OBIEZIONE ALLA PROFESSORESSA DE MONTICELLI

Chiedo anch’io la libertà di coscienza. Altra cosa dall’auto-determinazione

di GIUSEPPE BETORI (Avvenire, 03.10.2008)

Sul ’Foglio’ di ieri, Roberta de Monticelli prende spunto da alcune mie dichiarazioni, nel contesto di una conferenza stampa, per dare il suo « addio » « a molti cari amici - in quanto cattolici » , « un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica » .

Trovarmi coinvolto in una così seria decisione mi turba, ma vorrei ricordare che quella parola, « addio » , percepita di primo acchito sinistra, contiene in sé una radice promettente. E’ la preposizione ’ ad’ che spinge verso altro, in ogni caso fuori dal soggetto.

E in effetti visto che l’argomento del contendere è la ’ fine della vita’, tutto cambia a seconda se la vita è destinata oppure senza scopo. In altre parole se la vita si spiega da sé o sottostà come tutta la realtà a quel principio per cui nessuno trova in se stesso la spiegazione del proprio essere. Se si tiene conto di questo, forse si riesce a capire cosa nasconda la parola ’autodeterminazione’, che vorrebbe fare a meno di questa evidenza.

E se la signora de Monticelli avesse colto tale passaggio, avrebbe certo compreso che dietro le mie parole «non spetta alla persona decidere» si cela non la negazione della coscienza, ma semmai dell’autosufficienza. Per questo, proprio appellandomi alla coscienza, che l’illustre interlocutrice difende con tanta passione, non posso non prendere le distanze dalla posizione che mi costruisce addosso e che mi viene attribuita senza fondamento.

Sono infatti sinceramente amareggiato che la mia dichiarazione sia stata letta come « la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale » . Insomma, sarei io - e la Chiesa con me - ad autorizzare il male, negando la possibilità di fare il bene, e farei tutto questo perché non sono per « il principio di autodeterminazione » . Qui si sta costruendo un grande malinteso, legato a cosa significhi in questo contesto il « principio di autodeterminazione » : non si può confondere la libertà di coscienza con la possibilità di fare quello che ci pare. Anche se ragionassi in termini puramente laici, non potrei giustificare un assassinio dicendo che l’ho fatto per rivendicare la mia libertà di coscienza. La legge che punisce l’omicidio non elimina la libertà di coscienza: anzi la piena libertà dell’assassino è il primo presupposto della condanna.

Non possiamo confondere, insomma, la libertà della nostra coscienza con la legittimità delle nostre azioni. Il « principio di autodeterminazione » non è mai stato un caposaldo della dottrina della Chiesa: quando S. Agostino scrive « ama e fa’ ciò che vuoi » , indica che le nostre azioni sono buone solo quando si ispirano a Dio, che è Amore. La coscienza è la sede della nostra scelta, è il luogo dove decidiamo, ma non è il criterio della scelta. Il criterio non ce lo diamo da soli: ce lo dona Dio, che è Amore, ed è percepibile ad ogni indagine razionale come il fondamento della nostra stessa identità o natura. Allo stesso modo, la vita non ce la diamo da soli, ma ci viene donata. Difendere questo dono è difendere il bene: difendere la vita significa difendere la possibilità della coscienza, non negarla. Se non sono vivo, certo non posso scegliere. È proprio questa precedenza della vita rispetto ad ogni scelta, questo dono che mi viene fatto, che mi orienta nel valutare le opzioni di fronte a me. Del resto, anche la mia coscienza non me la sono data: genitori, insegnanti, amici mi hanno insegnato a parlare e a pensare.

Questo tipo di considerazioni porta San Tommaso a insistere tanto sulla prudenza come regola per l’azione: se non si può scegliere in astratto, ma solo a partire dalle concrete situazioni della vita personale, non si può essere buoni in astratto, come vorrebbe l’astratto « principio di autodeterminazione » .

Bisogna cercare di essere « il più buoni possibile » nelle circostanze date: per questo la Chiesa si è decisa per una legge sul ’ fine vita’. Un realismo, il suo, che è da sempre il criterio ispiratore della riflessione cattolica, nello sforzo di rendere possibile una scelta buona nella vita di tutti i giorni.

La vita che viviamo è frutto di relazioni che la generano, sia nel momento del concepimento, sia durante tutto il suo corso. Queste relazioni non terminano con la sofferenza: il dolore non colpisce solo chi soffre - a volte in condizioni estreme - ma anche chi attorno è testimone di tale sofferenza. Tale comune sentire umano - direi questo consentire - sta da sempre a cuore alla Chiesa: davvero non vale niente? E questa passione per l’uomo sarebbe davvero « nichilismo » come conclude l’articolo su Il Foglio? O forse nichilismo è credere che non ci sia nulla oltre l’individuo e la disperata coscienza della sua solitudine?

Spero che Roberta de Monticelli - e quanti sono interessati a un dialogo sulla bellezza, la libertà, la vita - non rinunci alla possibilità di un incontro con chi segue Gesù, che è venuto non « per condannare il mondo, ma per salvare il mondo » (Gv 12,47). Per questo mi auguro che il suo sia solo un ’arrivederci’

LETTERA ALL’AMICA E COLLEGA ROBERTA DE MONTICELLI
In nome di quel Dio che ci abita la persona non­legge a se stessa
PAOLA RICCI SINDONI
Nei giorni scorsi, la filosofa Roberta De Monticelli ha fortemente polemizzato con la posizione espressa dal segretario generale della Cei, Giuseppe Betori, in merito all’auspicata legge sulla­fine vita, al punto da ­dire addio a qualunque collaborazione che abbia relazione alla Chiesa cattolica. Una prima risposta di monsignor Betori � gi� stata ospitata su queste colonne.
C ara Roberta, prima di dire addio a quanti come me condividono il tuo lavoro, la filosofia, e la tua amicizia, pur appartenendo, come me, alla Chiesa cattolica, permettimi di esprimere qualche pensiero sotto forma di lettera – un genere che a te, come a me, piace molto – in risposta al tuo duro, sofferto quanto ingeneroso attacco ad alcuni rappresentanti della gerarchia ecclesiastica. Non­tanto per difenderli, quanto per dirti che come credente di questa istituzione religiosa che amo e in cui in profonditmi riconosco, non posso che condividere con te il valore supremo della coscienza, che­il nucleo pisegreto, e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio la cui voce risuona nell’intimitpropria, come recita il punto 1776 del Catechismo della Chiesa cattolica (che qui recupera le intuizioni luminose di Agostino, un pensatore che tu conosci bene). Edith Stein, altra filosofa che tutte e due abbiamo studiato e che tu citi nel tuo articolo,­andata pia fondo, affermando che Dio stesso si ferma alla soglia della coscienza e dimora in essa solo se lo si fa entrare. Quando lo si fa entrare, per, non si puignorarne la presenza, cosicchlo spazio della coscienza credente sa di doversi misurare con questo Ospite, con cui non negozia certo il bene della propria libert, ma la orienta, accrescendola nella consapevolezza di essere donata a se stessa.
Anche per una cattolica credente la coscienza, che tu con tanta passione difendi,­ quell’intimitinviolabile, oltre che luogo delle scelte personali, della libertpraticata, ma questo perch­lo spazio condiviso con l’Altro e con gli altri, non certo il punto in cui individualisticamente muoversi dentro il mondo, secondo un ordine morale autogestito, che il diritto, come tu dici, ha il compito di delimitare e di proteggere. E la Chiesa?
Perchti ostini a vederla come un esclusivo appannaggio di un gruppo di gretti illiberali, pronti a dominare l’opinione pubblica con le loro infamanti (la parola­tua) condanne? La Chiesa non­dei preti – abbandona, per favore, questo anticlericalismo stantio –; anch’io sono Chiesa, come lo sono i tanti credenti che non hanno dismesso la loro capacitdi pensare dentro questa istituzione ricca di tante e diverse anime, unite pernella convinzione che questa Chiesa ha un solo Capo, che continua ad accompagnare il suo cammino storico. I prelati che tu citi nell’articolo non possono che fare quello che fanno: custodire il patrimonio spirituale e morale della tradizione ecclesiale, in cui la fedelte l’amore alla Chiesa si traducono anche in orientamenti pastorali, in indicazioni etiche sui difficili nodi morali che in questo momento attraversano il nostro Paese.
Detto questo, ascoltami Roberta, come io ho ascoltato te. Le drammatiche questioni legate alla fine della vita non possono trovarci su fronti opposti, segnati da chiusure irriducibili (non accetto il tuo 'addio'…): citare alcune dichiarazioni apparse sulla stampa secondo cui­la decisione non deve spettare alla persona, cui segue, secondo te, il misconoscimento del principio di autodeterminazione significa che, secondo l’orientamento della Chiesa – sia che parli Betori o un altro credente – la persona non­legge a se stessa. La persona cio, non­ libera di disporre di se degli altri, ma­libera di prendersi cura di se degli altri, in nome di quel Dio che abita dentro la coscienza, cosche essa non­lo spazio autoreferenziale, ma il luogo di mantenimento del bene che ogni vita custodisce.
Non mi pare, cara Roberta, che questo sia nichilismo… Affido questi pensieri al tuo cuore attento, certa di ritrovarti ancora.