martedì 13 dicembre 2011

Cinquatanni fa...il Concilio!


Il prossimo Natale, mentre metteremo il bambinello nei nostri presepi, cadrà anche il cinquantesimo anniversario della convocazione del Concilio Vaticano II.
L'occasione torna utile per una breve riflessione "conciliare"!
In effetti ancora oggi dopo tanti anni il Concilio fa discutere, a volte anche animatamente, dotti e sapienti tra opposte ermeneutiche e letture.
Per tanti il Concilio può apparire come un richiamo stereotipato, un evento lontano, il frutto di una determinata e circoscritta temperie culturale. Per alcuni può diventare un evento da annacquare e de-pontenziare nella sua portata profetica nel nome della continuità della Tradizione. Per altri ancora può ridursi ad un evento da esaltare in vista di altri concili e di nuovi aggiornamenti.
Beh io, classe '75, sono un figlio del post-concilio e la Chiesa pre-conciliare non posso affatto ricordarla, e forse solo per questo dato "anagrafico" sono immune/disinteressato a queste letture. Mi sforzo con semplcità e gratitudine di vivere la mia Chiesa nell'oggi, ed è bene così!
In fondo è confortante sapere che la Chiesa è bella così com'è, con pregi e difetti, grano e zizzania, perché il Maestro l'ha voluta proprio così, riservandosi alla fine il giudizio sugli uomini che l'hanno vissuta e interpretata, e questo al di là di concili ed ermeneutiche! Magari, dopo tutto questo discutere e discettare, un giorno ci troveremo sommersi dalle risa di Dio che ci misurerà sulla larghezza del cuore e non sulla sapienza dei ragionamenti o sulla conoscenza dei documenti.
Per questo sono convinto che il Concilio e i suoi documenti sono ancora vivi e vivificanti solo nella misura in cui riescano ad interpellare ancora oggi i non esperti, i non addetti ai lavori, insomma i cattolici "normali", quelli che bazzicano più o meno regolarmente le nostre chiese e sono a digiuno di teologia ed ecclesialese. Cosa che a me è capitata di recente.
Vado al sodo
Nelle scorse settimana, insieme ad alcuni amici, mi sono imbattuto in un passo della Gaudium ed Spes. Lo riporto: "Stando così le cose, il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre l'uomo prende coscienza che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli" (GS n°9)
Con questi amici, per la verità tutti sessantenni e quindi ai tempi del Concilio giovanissimi quindicenni/ventenni, ne è nata una interessante e a tratti sorprendente discussione sul solco dei ricordi personali e delle grandi aspettative della storia.
Beh...  pongo anche qui, alcune delle domande che spontaneamente ci siamo posti insieme a loro, sperando di sollecitare ulteriori riflessioni.
Quale miglior modo per celebrare degnamente quest'anniversario conciliare in questo tempo di Avvento!?
Ecco le domande:
A cinquant'anni dal Concilio il mondo quale strada ha preso?
Ha scelto la schiavitù o la libertà?
Il progresso o il regresso?
La fraternità o l'odio?
Il mondo, l'uomo è rimasto allo stesso punto di allora?
Sono grandi domande ma cercare di rispondere potrebbe risultare un buon esercizio per leggere i segni dei tempi e disporsi nella speranza e nella gioia a quel "martirio della pazienza" a cui faceva riferimento, in un recente libro intervista, Loris Capovilla, il segretario di papa Giovanni XXIII.
D'altra parte la lettera di San Paolo che abbiamo letto nelle nostre assemblee durante la scorsa domenica d'avvento sembrava proprio un ottimo spunto per riflettere sul concilio celebrando quest'anniversario: "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono" (1 Ts 5, 19-21).
Buon cammino di avvento "conciliare".

lunedì 10 ottobre 2011

I cattolici di Todi

Francamente penso che a Todi, nell'imminente incontro promosso dal Forum del mondo del Lavoro, non accadrà nulla di politicamente eclatante!!!
Vista la caratura dei relatori si tratterà certamente di un momento alto di riflessione, ma sarà comunque la semplice tappa di un cammino comune dell'associazionismo cattolico centrato su disponibilità e reciproco ascolto.
Tuttavia i frutti di questo camminare non saranno nè di destra, nè di sinistra: men che meno un partito cattolico conservatore e moderato, come molti invocano.
Disse bene don Luigi Sturzo: un partito cattolico è una contraddizione di termini.
Un partito è parte, cattolico è invece universale. Può esistere una parte universale!?
Neanche la Dc fu partito cattolico, nemmeno il Partito Popolare. Voler schierare i cattolici in quanto tali a destra o a sinistra mi pare pertanto riduttivo della ricchezza e complessità del mondo cattolico radunato a Todi!
Il punto forse è un altro:  il consenso politico non è roba da “preti”, ma una specifica vocazione dei laici chiamati ad operare nel mondo. Ce lo ha insegnato il Concilio!
Per questo, al di là delle investiture più o meno esplicite dei vescovi, occorrerà capire se i laici che si spenderanno con il proprio nome e la propria faccia in questo “soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica” che nascerà a Todi, sapranno essere laici credibili e capaci di generare risposte autentiche ai bisogni del Paese.
In effetti la riunione di cento o duecento persone rappresentative dell'associazionismo cattolico è un fatto importante, ma politicamente non è dirimente.
Infatti, è bene ricordarlo a tutti, il consenso nelle urne lo danno gli elettori e non le gerarchie nè i rappresentanti delle associazioni riunite a Todi.
Anzi, in generale, il consenso più o meno esplicito delle gerarchie e/o dei rappresentanti dell'associazionismo non porta voti in più ad una qualsiasi proposta politica, mentre il dissenso di questi soggetti ha l’effetto sicuro ed opposto di togliere quel poco o tanto consenso che si crede di avere.
Conclusione:in Italia i cattolici è meglio averli per amici e non per nemici nell’agone elettorale, ma poi i voti sono il frutto della credibilità del progetto politico proposto e delle persone che lo incarnano.
Allora la domanda da porre non è dove si schiereranno i cattolici (destra,sinistra, centro,sopra,sotto?), nè se qualche vescovo pur autorevole persegua questa o quella strategia. 
La vera domanda a cui rispondere è un'altra: i cattolici di Todi sapranno leggere e intepretare il momento attuale del Paese e trovare delle risposte alla crisi che siano in futuro politicamente convincenti e spendibili? L'Italia, gli italiani si sentiranno letti, intepretati e raccontati dai cattolici di Todi?
Personalmente penso che su questo i cattolici italiani abbiano tanto da dire.
a presto






mercoledì 28 settembre 2011

Al di là dei pulpiti

Insomma! Pare proprio che i tempi siano maturi per "la nuova generazione di cattolici in politica"!
Da cattolico impegnato, oserei dire militante, e soprattutto appassionato al bene comune mi sento molto provocato da quest’appello. Ma queste sono buone intenzioni e sogni di uno dei tanti laici impegnati in una delle tante realtà ecclesiali italiane.
Infatti, come ebbe efficacemente a dire Romano Guardini, "davanti alla realtà non è bene fare come se essa non esistesse, perche essa si vendica".
Non c’è dubbio che la realtà dei partiti personali, con i quali "qui ed ora" la nuova generazione dovrà fare i conti, sia un contesto che esclude, chiude le porte, sopisce entusiasmi, relegando il valore della partecipazione democratica ad una pia intenzione intellettuale. Oggi conta il leader, mica il gruppo! Contano gli slogan, mica i ragionamenti articolati e complessi!
D'altra parte non può sfuggire come molti, dentro e fuori il contesto ecclesiale, tendano a ridurre questa nuova generazione ad un reggimento di soldatini etorodiretti, “ausiliari della Chiesa”.
Tuttavia se questa è la triste realtà che attende al varco la nuova generazione per consumare la propria vendetta, occorre ribadire la necessità per i cattolici di proiettarsi verso un "non ancora" che oggi non c'è ma che deve costituire l'orizzonte di una speranza praticabile nell’agire politico.
Qui sta il punto della nuova generazione tanto invocata: questa nuova generazione saprà essere fatta di uomini di speranza? Cosa significa oggi essere uomini di speranza in politica?
Ancora una volta mi lascio aiutare da Guardini e dal suo breve breviario spirituale che conclude il breve saggio sul “Potere”: "Agire con fiducia in libertà di spirito, al di là degli impedimenti interiori ed esteriori, al di sopra dell'egoismo, dell'ignavia, del rispetto umano, della viltà. Non qualcosa di programmatico, ma ciò che di volta in volta è giusto qui ed ora: Affermare una verità quando è il momento di farlo, anche se provoca contraddizione e risa...Assumere una responsabilità quando la coscienza dice che è doveroso farlo"
Si tratta di un piccolo programma di vita che forse nulla ha a che fare con programmi politici, strategie di posizionamento, partiti, forum o risposte concrete per l’oggi. Forse pare anche ad una distanza siderale dalla necessità di coniugare “etica sociale ed etica della vita”, invocata dai vescovi. Insomma è proprio un altro pianeta!
Tuttavia è un programma di vita che potrebbe essere utile nel temprare la nuova generazione di cattolici tanto invocata. Infatti uomini animati da una siffatta tempra morale/spirituale potrebbero sfuggire a quella che è la forte tentazione che in questi giorni attraversa il cattolicesimo italiano: il pulpito!
Quanti pulpiti in questi giorni si ergono nel pubblico dibattito a rivendicare una giusta diversità dei cattolici e a condannare l’attuale classe politica! Ciò è più che naturale! Ormai pare che si sia raschiato il fondo del barile della credibilità
Tuttavia simili giudizi sono francamente generalizzanti e coinvolgono persone, storie, contesti e (perché no!?) i sentimenti di chi in buona fede fino ad oggi “ha tirato la carretta”!
E’ troppo chiedere alla nuova generazione che verrà di essere umile viandante,compagno di strada che indica una via da seguire insieme dalla crisi della politica, come il viandante di Emmaus!?
Quale la direzione da indicare? Non mi sento all’altezza di dare una risposta, ma alcuni spunti da dibattere si!
Infatti la nuova generazione di cattolici non dovrebbe cercare leader o “federatori” ma farsi portatrice di una reale e concreta istanza di rinnovamento della politica fondata sul valore della partecipazione alla costruzione del bene comune; non dovrebbe accontentarsi di slogan, ma cercare la complessità dei ragionamenti perché complessa è la realtà da affrontare; non dovrebbe “pre-occuparsi” dell’efficacia del risultato delle propria azione politica, ma impegnarsi prima di tutto ad essere testimone credibile e autorevole di ciò che indica e predica; non dovrebbe ambire ai pulpiti, ma a stare in mezzo alla gente tra piazze e campanili. Insomma una nuova generazione che parte dal basso e dalla quotidianità!
Infine, come ci ricordava Guardini, dovrebbe “agire con fiducia in libertà di spirito al di là degli impedimenti interiori ed esteriori, al di sopra dell'egoismo, dell'ignavia, del rispetto umano, della viltà.
Sono solo semplici spunti che offro alla riflessione di tutti senza chiedere null’altro che un po’ della vostra attenzione che al termine di queste righe mi avrete prestato. Cordialmente!







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mercoledì 14 settembre 2011

Referendum? Ecco perchè!


Un governo che non governa la contingenza, ormai ostaggio della propria paralisi;
un ceto politico ingessato, asfitico, figlio di una stagione politica in declino;
la diffusa volontà  di partecipare, di rinnovare e di farsi sentire; l'assenza di  una visione di insieme del processo politico.
In questo panorama politico è entrata nel vivo la campagna di raccolta delle firme per l'abolizione della legge cd "Calderoli" che nel 2005 ha riformato la legge elettorale introducendo le liste bloccate e trasformando il Parlamento italiano in un’assemblea di nominati.
La campagna si chiuderà entro la fine del mese di settembre con l'obbiettivo di raccogliere le 500.000 firme indispensabili per celebrare il referendum nella primavera 2012.
Aderire o non aderire? Firmare o no?
La prima e naturale reazione a questa domanda è la solita: un altro referendum?!
Ebbene ci sono a volte alcune proposte politiche, alcune iniziative che inspiegabilmente diventano onda, valanga e movimento di opinione.
In sostanza segnano una svolta.
Aderire oggi a questa iniziativa referendaria vuol dire lavorare per la “svolta”, vuol dire osare il cambiamento.
Perché!?
Non si tratta di discettare sul sistema elettorale più adatto all’Italia, né tanto meno di rompere schemi di alleanze in vista delle imminenti elezioni
Infatti è sotto gli occhi di tutti che la legge “Calderoli” ha segnato il massimo apice ed il naturale epilogo di una politica (quella iniziata con le amministrative del 1993) gridata e imperniata sul carisma del leader fine a se stesso; di una politica dove ciò che conta è la fedeltà al capo al di là di ogni ragionevole dubbio; di una politica ormai degenerata in decisionismo sterile e privo di prospettiva.
Votare contro il cd Porcellum vuol dire quindi votare contro questa degenerazione della politica.
Vuol dire votare a favore di una politica dove i corpi collettivi  non siano asserviti alla volontà di uno solo, dove la partecipazione degli elettori ai processi politici sia la cifra dell’impegno dei leader, dove votare i nostri rappresentati politici è un serio esercizio di discernimento non delegato a quattro capi-bastone ma al popolo sovrano che sceglie chi meglio può rappresentarlo.
Per questo oggi è importante aderire alla proposta referendaria.
Vi invito a farlo.
Ad Airola saremo presenti con un banchetto domenica 18 settembre dalle ore 18:30 lungo c.so Montella.

lunedì 5 settembre 2011

la Crociata del Bene con la Forza degli Onesti

BELLO QUEST'ARTICOLO DEL CARDINALE MARTINI...


 
Quando ogni giorno apriamo i giornali o ascoltiamo le notizie del giornale radio o della televisione, ci sentiamo presi come da uno sgomento, vedendo come tanti principi di convivenza non sono più accettati. V orremmo che queste cose (comportamenti sociali amorali) non esistessero e che chi può esibire lo scoop più grave non venisse per questo premiato con vendite maggiorate. Una particolare causa di tristezza ci viene dalle notizie di sperpero del denaro pubblico. Vorremmo che finisse ogni ipocrisia o buonismo. In tutta questa materia affiora spesso la parola «etica», che appare come la spiaggia della salvezza. Se tutti i politici si attenessero ai grandi principi etici, come quello del primato del bene comune insieme con il rispetto dovuto ad ogni persona, molte cose non succederebbero né sarebbero successe. Ma al di là di tanto parlare, come si ottiene che un uomo si decida a camminare per i sentieri dell' etica, scelga la via del bene, soprattutto quando per essa deve rinunciare a qualche vantaggio o affrontare qualche perdita? Non pochi pensano che sia la Chiesa quella a cui tocca dare il segnale per la grande crociata del bene. Per questo sono doppiamente scandalizzati quando un rappresentante della Chiesa viene coinvolto in affari di dubbia consistenza morale. Ma la Chiesa non ha come suo primo dovere quello di sostenere il comportamento morale degli uomini. Essa deve soprattutto proclamare il Vangelo, che ci dice che Dio accoglie tutti gli uomini, nessuno escluso. Essa deve proclamare il Vangelo della misericordia senza badare a chi ne approfitta per i suoi comodi. Essa fornisce quel tanto di più che ci vuole per fare dell' uomo onesto uno che si ispiri alla povertà di Gesù. Se uno non lascia (almeno interiormente) tutto ciò che possiede non può essere discepolo del Cristo. Qui sta la differenza con tanti sostenitori di etiche di servizio. La Chiesa ritiene di dare con le parole anche la forza per metterle in pratica. Ciò non vuol dire che essa disprezzi l' etica, anzi, è molto preoccupata che l' etica sia ben conosciuta, anche nelle sue motivazioni profonde. Ma un uomo non si cambia a forza di prescrizioni etiche! Pensiamo alla discussione di san Paolo nella lettera ai Gàlati e ai Romani, dove la legge veniva dichiarata santa e buona, ma anche generatrice di peccato. La pura regola etica, non insegna come l' uomo può arrivare alla decisione di servire il bene comune. La forza che Dio dà è quella che fa veramente sussultare il cuore dell' uomo e lo dispone a quello spirito di povertà e rinuncia ad ogni interesse proprio che è la forza di tutti i leali servitori dello Stato, anzi di tutte le persone oneste. Carlo Maria Card. Martini RIPRODUZIONE RISERVATA



Martini Carlo Maria



lunedì 4 luglio 2011

AFFIDARSI A DIO, SEMPRE

Cari amici,
stamattina, sull'autostrada di ritorno dalle mie vacanze tropeane, pensavo: per risolvere la tal situazione farò questa cosa, anzi farò questa strategia, quest'azione...
poi quest'arrovellamento si è fermato e mi sono detto:
Se Dio vuole sarà così.. che sia fatta la sua volontà. Lui mi farà capire se queste azioni porteranno frutto e se sarà il caso di intraprenderle.
I pensieri si sono improvvisamente fermati!
Non ci ho fatto tropppo caso!

Ho continuato con le cose che in quel momento richiedevano la mia attenzione (i bimbi in macchina, la strada, ornella che dormiva dietro)

Beh...poi stasera sono stato a messa con ornella e il vangelo mi diceva :
"Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».


(Scusate se parto da una riflessione molto personale però ...sento forte il bisogno di condividere con persone care questa riflessione di cui l'episodio è indispensabile premessa...spero di non tediarvi!)

Che strano questo Gesù: si serve di tutto per arrivare al cuore.
Anche delle nostre strategiche furbate, dei pensieri sconnessi di un momento, della nostra voglia di essere i risolutori dei problemi, del nostro egocentrismo.
Come un lampo, un guizzo nel magma dell'anima si fa strada.
Per Lui ogni occasione è buona per sorprenderti!

Oggi mi ha fatto riscoprire che il segreto di questo "peso leggero" è uno solo:
AFFIDARSI A LUI, SEMPRE!
Nelle cose di ogni giorno.
Con quella sapienza che sempre a Lui rimanda.
Con quella sapienza che riesce a trasfigurare il quotidiano, santificandolo.
La stessa sapienza del cuore che faceva esclamare a Gesù:
"Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre"
"Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano;   eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro."

Quante volte vediamo in giro passeri e fiori di campo.
Pensate!

Solo la sapienza del cuore di Gesù poteva guardare un fiore, un passero o un seminatore, o sentire di la storia di un padre abbandonato dal figlio e trasformarle in icone dell'amore e della misericordia.

Gesù ci invita a guardare e a osservare la vita.

A guardare i nostri fiori di campo!

Un guardare ed osservare che la sapienza del cuore trasforma in affidamento alla sua Sapienza.

Capire questo poi ti porta alla lode del Padre.

Beh...stasera, anzi stanotte, voglio lodare il Padre per avermi fatto capire questo nel mio vissuto quotidiano.

Mi direte: beh sono cose che già sappiamo...non ci serviva certo Diego per dircele.

Però vi dico che è importante, ogni tanto, che i figli di Dioi si dicano certe cose...
perchè solo la testimonianza dei cuori porta nel mondo la luce del Vangelo.


a presto

mercoledì 27 aprile 2011

Amministrative ad Airola

Cinque liste, cinque candidati sindaci e 57 candidati consiglieri: in pratica un candidato ogni 100 votanti circa.
In questo scenario si svolgerà da qui a 20 giorni la campagna per le elezioni amministrative del comune di Airola.
Una effervescenza politica che porta la nostra città ai livelli di Napoli!
Per la prima volta dal 1993, ad Airola i movimenti civici, più o meno riconducibili a questo o quel partito, ma soprattutto legati alla logica del voto di preferenza come principale traino del consenso politico, hanno dettato in maniera esplicita l'agenda degli schieramenti i campo.
Una frammentazione del quadro politico cittadino spiegabile in parte con la riduzione da 16 a 12 del numero dei consiglieri, imposta dalle ultime leggi finanziarie; in parte col logoramento di rapporti politici consolidati ed in parte con una diffusa insoddisfazione per l'attuale quadro politico locale.

E' un bene? E' un male?

Una risposta lapidaria presupporrebbe una adeguata e condivisa chiarificazione sui presupposti e i criteri dell'azione politica: chiarimento alquanto difficile, se non inutile, a 20 giorni dalle elezioni.
Allora forse oggi è utile fare un brevissimo punto su quanto realizzato dalle amministrazioni degli ultimi 20 anni, anche per arrivare ad una riflessione da condividere, che sia utile in termini politici.

In questi venti anni sono stati realizzati ad Airola alcuni grossi obbiettivi, come ad esempio il contratto d'area e l'area P.I.P di via Caracciano.
Altri grandi progettualità sono state messe in cantiere, come ad esempio: il potenziamento della rete infrastrutturale (ampliamento di via Sorlati, realizzazione degli svincoli alla Fondovalle Isclero) e, da ultimo, il Piano Integrato Riqualificazione Urbanistica, Edilizia ed Ambientale, strumento di programmazione urbanistica che forse consentirà nei prossimi 5 anni, se saranno reperiti finanziamenti adeguati, di ristrutturare il Castello medioevale.
Naturalmente ci sono stati (e non sto qui ad elencarli anche perchè ognuno ha le sue liste) peccati "politici" di omissione, cioè cose che si sarebbero potute fare e non si sono fatte oppure cose che si sarebbero potute fare meglio.

Non mi spingo ad attribuire meriti e demeriti a questa o quella amministrazione o, peggio, a questo o quel uomo politico: il giudizio spetta ad ognuno di noi singolarmente secondo le proprie personali prospettive ed informazioni ed i propri criteri di scelta!
Tuttavia, aldilà di quell'ineludibile senso di inadeguatezza tra teoria e prassi (cioè promesse e realizzazioni) che contraddistingue da sempre l'azione politica e che spesso ci porta a severe e giustificate critiche delle amministrazioni uscenti, occorre chiedersi quale prospettiva politica abbia guidato queste realizzazioni e questi progetti degli ultimi 20 anni; se c'è un filo rosso che, nonostante tutto, ha legato il tutto.

Ebbene il fil rouge potrebbe essere individuato nella prospettiva appassionata che diede vita nel 1996 all'Ulivo, come momento di unione delle diverse anime del centrosinistra cittadino. In quegli anni fecondi dell'Ulivo, di fronte ad una difficile crisi economica locale, tutte quelle forze politiche, oggi divise e disperse, del centrosinistra cittadino riuscirono a porre insieme le basi politiche per le grosse realizzazioni degli anni futuri.
Fu quello spirito ad animare, spingere e rendere fecondi grandi progetti e grandi risorse.
A quella prospettiva politica condivisa, nata a livello nazionale dalle macerie della cd. prima repubblica sulla spinte dei più avvertiti e lungimiranti esponenti del riformismo di sinistra e del cattolicesimo democratico, si deve il merito di aver dato amministrazioni stabili e propositive alla nostra città.
Non si dimentichi che ben tre degli attuali candidati sindaci sono stati all'epoca tra i protagonisti dell'Ulivo cittadino.

Purtroppo il passare del tempo, l'inevitabile sfilacciamento dei rapporti politici e, forse, qualche esasperato personalismo hanno esaurito quell'esperienza a livello locale.
D'altra parte è sotto gli occhi di tutti che parte delle realizzazioni degli ultimi 20 anni sono state non adeguate alle promesse fatte a suo tempo.
Tuttavia non si può negare il grosso merito della stagione dell'Ulivo ad Airola: aver dato una prospettiva politica di lunga durata e stabile all'amministrazione cittadina in un momento molto difficile per la comunità.

Oggi Airola si ritrova i protagonisti di quell'esperienza politica locale nei diversi movimenti civici che animano la campagna elettorale.
Tra l'altro la forte frammentazione del quadro politico locale lascia presupporre che la futura amministrazione avrà un consenso non ampio in termini di voti di preferenza.

Questa storia, questo presente e questo probabile futuro inducono ad una riflessione ed un invito.

La riflessione: Airola nei momenti difficili, come il periodo 1993/1996, ha saputo essere laboratorio politico di prim'ordine ed, intorno ad una prospettiva politica, è riuscita a trovare quell'unità che l'ha resa uno dei grossi punti di riferimento politici del nostro territorio. Sicuramente in futuro, non ostante la forte frammentazione politica del momento attuale, saprà ritrovare l'unità di intenti e la forza morale che porterà la nostra comunità cittadina verso un nuovo sviluppo.

L'invito: per questo diventa pressante l'invito a tutti i candidati ad esercitare oggi la lungimiranza, cioè quel sano distacco tra se e le cose che consente di coltivare la nobile, difficile ed esigente arte della politica come impegno al servizio degli altri e del bene comune. Ciò permetterà di tenere bassi i toni dello scontro elettorale e costruire, su una nuova e più condivisa prospettiva politica, il futuro amministrativo di Airola.



Diego Ruggiero, iscritto del PD



lunedì 21 febbraio 2011

Gli amici di Dio

Riprendo con piacere questa perla dal sito vinonuovo.


Vivono tra noi gli amici di Dio. Vivono come tutti: di fatiche e di gioie, di giorni di frenesia e di giorni di festa, di giorni di salute e di giorni di malattia, ma gli amici di Dio vivendo come tutti, vivono in modo straordinario. Come tutti, incontrano la gente: incontrano persone simpatiche e persone insopportabili, hanno amici e talora anche nemici, incontrano tanta gente, come tutti, ma chi incontra gli amici di Dio ne conserva un ricordo particolare. Hanno il loro carattere, come tutti: alcuni sono timidi e altri estroversi e chiacchieroni, alcuni sono irruenti e reattivi, altri sono pazienti e discreti, eppure tutti gli amici di Dio sono come segnati da una disciplina che li rende disponibili anche a quello che non viene spontaneo. Vivono tra noi, gli amici di Dio, non si notano a prima vista, non fanno rumore, eppure sono quelli che tengono in piedi il mondo, quelli che mettono mano alle cose storte e cercano di raddrizzarle: che si tratti di un bambino che piange, di un malato che è solo o dei problemi di dimensione planetaria.


Gli amici di Dio vivono tra noi, vivono come tutti, sono uomini e donne che assomigliano in tutto agli altri. Eppure hanno qualche cosa di straordinario.

Gli amici di Dio vivono una particolare libertà. Hanno consegnato a Dio il loro desiderio di essere felici e perciò non si preoccupano più troppo di se stessi. Sanno che Dio non li deluderà, mai.

Perciò sono liberi. Sono liberi dalla paura: si espongono a tutti i rischi che la missione comporta, non per ingenuità o presunzione, ma per obbedienza. Sono liberi dalla ricerca del consenso, sono liberi dai giudizi altrui: ascoltano tutti e sanno che da tutti devono imparare, ma il criterio del loro agire non è la popolarità o l'approvazione del mondo. La libertà viene da una fortezza interiore dove abita il timor di Dio. Sono liberi dagli interessi meschini. Non si domandano mai "che cosa ci guadagno?", perché vivono di gratitudine. Il dono che hanno ricevuto è talmente grande, talmente gratuito che non possono che condividerlo gratuitamente. Sono disposti a rimetterci persino, non hanno preoccupazioni per il loro futuro.

Sono liberi anche dall'ossessione di verificare i risultati. Si impegnano con tutte le forze, si appassionano alle imprese che li coinvolgono, ma sanno di essere solo operai mandati a seminare. Del raccolto sono incaricati gli angeli di Dio.

Gli amici di Dio abitano in un mistero e ne sono commossi. Sono stati visitati da un invito, sono stati chiamati all'intimità indicibile. Nella solitudine non si annoiano, perché la presenza di Dio non è una parola, ma una comunione tremenda e affettuosa. Amano il silenzio e talora li sorprendi in una preghiera che non riesci a indovinare, nel cuore della notte o all'alba. Non parlano spesso di sé, hanno un riserbo sulla loro vita spirituale. Ma se poni loro delle domande, puoi restare sorpreso per parole di fuoco o per uno zampillare di acqua fresca per la tua sete.

Gli amici di Dio sono gente che vive con uno scopo. I loro obiettivi non vengono dall'ambizione, non sono nutriti dal desiderio di una carriera, dalla presunzione di un protagonismo. Hanno uno scopo, ma è piuttosto l'obbedienza alla missione. In quello che fanno mettono tutto se stessi, non risparmiano né forze, né intelligenza, né risorse, fino al sacrificio. Non hanno un altrove in cui evadere, non difendono le parentesi del loro privato, come possibilità di un'altra vita. Non hanno un'altra vita perché la missione che hanno ricevuto è diventata tutta la loro vita. Si considerano solo dei servi e vivono con fierezza il loro servire, perché conoscono il loro Signore.

Gli amici di Dio ospitano insieme una gioia invincibile e una struggente tristezza. Non si sa come spiegare quello che provano, eppure portano in giro per la città il loro sorriso in cui indovini una gioia che non viene da fortunate coincidenze o dall'assenza di problemi, ma da un'inesplorabile profondità, come una sorgente che non cessa mai di alimentare l'esultanza. Ma la gioia degli amici di Dio non è un ingenuo essere giulivi. Hanno dentro una tristezza struggente: è l'intensità della compassione perché non c'è soffrire che li lasci indifferenti; è il sospiro del compimento perché non c'è giorno della vita in cui non invochino "venga il tuo regno".

Vivono tra noi, gli amici di Dio e passano per lo più inosservati. I titoli dei giornali e le chiacchiere intessute di luoghi comuni li ignorano perché si dedicano alla lamentela e al pettegolezzo, alla critica e alla denuncia, alla retorica e alla mormorazione. Così gli amici di Dio non fanno notizia.

E sono qui anche in mezzo a noi, anche se passano inosservati.

Capita però, talvolta, che un evento straordinario attiri su di loro l'attenzione e allora tutti se ne accorgono e restano ammirati.

Così è stata la vicenda di don Isidoro e la tragedia della sua morte. Un amico di Dio è morto come un agnello immolato e agli occhi di tutti si è rivelata la gloria di Dio che ha avvolto di luce la vita di don Isidoro fin dai suoi primi anni. Così lui, così discreto, così schivo è diventato notizia e personaggio.

Perché mai sarà successo questo?

Io credo che gli amici di Dio compiano la loro missione in vita e in morte. Perciò credo che talora capiti che gli amici di Dio richiamino l'attenzione di molti perché tutti si possano sentire rivolta una parola, un invito, una domanda.

Vuoi diventare anche tu amico di Dio? Io ti dico che ne vale la pena!

mons. Mario Delpini, vescovo ausiliare di Milano
omelia pronunciata il 14 febbraio 2011 nel 20° anniversario della morte di don Isidoro Meschi

giovedì 17 febbraio 2011

una umiltà collettiva

De Rita in questo editoriale colpisce nel segno. Molto istruttivo.
Una unilta collettiva!!! bello.


Italia Ostaggio del Degrado

GOVERNARE LA CONTINGENZAIl commento
Italia Ostaggio del Degrado
Alcuni amici stranieri, attribuendomi una autorità morale che forse non ho, mi rimproverano da tempo di non esprimere adeguata indignazione, adeguato richiamo etico, almeno adeguata segnalazione del senso del ridicolo rispetto allo spettacolo che va da mesi in onda nella nostra arena pubblica.
Qualche scusante più o meno giustificativa penso di averla. Anzitutto non mi indigno, perché avverto che l'indignazione serve molto per infiammare gli animi ma poco per stabilire una seria dialettica politica, al di là delle strumentalizzazioni spesso taroccate che essa subisce. In secondo luogo non faccio richiami etici, perché sono convinto che il moralismo non si traduce mai in cultura di governo e che ancor meno ci si può aspettare dall'immoralismo di potere, specialmente in una società dove tutto galleggia su una diffusa amoralità quotidiana. Ed in terzo luogo non segnalo i pericoli di cadere nel ridicolo, perché temo che sia una battaglia persa in un sistema dove una suora conciona le folle e dove centinaia di parlamentari sottoscrivono versioni inverosimili (tipo «la nipote di Mubarak») su vicende su cui ridacchia anche il mio portiere romeno.
Non me la sento quindi di esercitare la triplice nobiltà che mi è richiesta, anche perché, anzi specialmente perché, sono convinto di un'altra e seria verità: questo è un Paese che ha un drammatico bisogno di essere governato, ma dove è proprio nel vuoto di ogni cultura di governo (cioè di comprensione e gestione del sistema) che la dialettica sociopolitica ha subito una torsione verso il basso, verso pulsioni emotive spesso avventate, verso comportamenti di pura inerzia di potere. O ci diamo una mossa a elaborare una nuova cultura di governo o continueremo ad esser prigionieri del degrado, anche istituzionale.
Da dove si parte per tale elaborazione? La risposta è difficile e comporta l'umiltà di tempi lunghi, perché il primo passo, assolutamente indispensabile, è quello di mettere in ombra per qualche anno le due parole-mito degli ultimi decenni: programmi e riforme. Non illudiamoci: chi propone programmi (magari straordinari, magari enfatizzati a «frustate») rischia di scrivere inutili scenari o pacchetti di improbabili misure; mentre chi propone riforme rischia di ripetere ipotesi ormai strutturalmente incapaci di tradursi in incisive decisioni strategiche. Posso dichiarare il mio personale dispiacere, ma non posso fare a meno di dire che i due strumenti sono troppo usurati per far da base ad una cultura di governo buona per gli anni futuri.
Avanzo quindi l'ipotesi che oggi occorre attrezzarsi a «governare la contingenza», cioè i fenomeni ed i processi che via via si presentano nell'evoluzione socioeconomica, senza farsi prendere dalla nostalgia per la magica parola «vision» su cui si basa il cosiddetto primato della politica.
È infatti evidente che nella società moderna «non ci sono che processi» (dalla globalizzazione all'esplosione dei flussi migratori), che spiovono dal di fuori e creano incertezze e sfide per tutti i soggetti sociali, piccoli e grandi che siano; essi di conseguenza possono essere gestiti solo fenomeno per fenomeno, soggetto per soggetto, caso per caso, decisione per decisione, in un crescente primato della contingenza.
È la indiscutibile realtà di fatto, con tutta la sua carica di relativismo nei giudizi e diempiria continuata nei comportamenti. Ne troviamo più che facile conferma nella attuale situazione italiana dove dobbiamo fronteggiare solo delle contingenze: la ripresa degli sbarchi di immigrati, la esplosione politica del Nord Africa, il rientro dal debito impostoci dalle nuove direttive europee, l'egoismo aziendale di molte imprese che vivono di globalizzazione, la risistemazione della finanza locale in vista del federalismo, l'incidenza del permanere della crisi occupazionale sulle decisioni economiche delle famiglie, la bolla dei due milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Bastano, credo, questi fenomeni per mostrare quanto sia fuori luogo una politica centrata su programmi e riforme; e quanto siamo obbligati a introiettare la contingenza come riferimento strutturale di una cultura di governo meno nobilmente ambiziosa e più faticosamente quotidiana di quella che ha ispirato la politica negli
ultimi decenni. Ed è questa la prospettiva su cui un po' tutti dobbiamo fare maturazione culturale: dalle imprese alle istituzioni, dalle famiglie alle rappresentanze d'interesse. Uniti tutti nel misurarci sul contingente, nell'incertezza e addirittura nella finitezza dei nostri poteri; e con una conseguente umiltà collettiva che ha meno riscontri mediatici ma maggiore qualità etica rispetto alle troppe indignazioni che oggi tengono banco.
Giuseppe De Rita

lunedì 14 febbraio 2011

Cattolici adesso.

Sotto trovate un'interessante ed arguto commento di Beppe Severgnini sulla manifestazione "se non ora, quando?". Ieri infatti si sono ritrovati in 200 piazze d'Italia le donne che al grido di "se non ora quando?" Adesso! hanno manifestato il proprio disagio per una  visione della donna ben incarnata nel berlusconismo. 
L'articolo mi ha spinto a qualche considerazione più ampia sui cattolici in politica adesso.

COMMENTO:
Effettivamente ora non se ne può più! 
SE NON ORA, QUANDO?
ADESSO! 
Lo grido anche io, insieme a tante donne italiane!
Tuttavia, forse, non è solo un problema di categorie sociologiche "contro": le donne, i disoccupati, i lavoratori, gli abitanti del sud, quelli del nord..eccetera eccetera.
Queste categorie sono sempre lontane: a volte ci si riconosce, altre no.
Non ci toccano mai del tutto, non ci riconosciamo in esse mai completamente.
Non è neanche questione di metodi più o meno fantasiosi per manifestare un disagio.

La verità è che Berlusconi cadrà, se dovrà cadere, solo in parlamento.
Pare che i numeri ce li abbia, qualcuno dice che se li è comprati!!! 
Forse non è il momento giusto, forse cadrà domani mattina! 
Chissà!?
A questo punto ben possiamo cedere al celebre e irato sconforto montanelliano che nel 2001 portava il giornalista di Fucecchio a dire:

"Guardi: io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino".


Manca solo il Quirinale! La madonna sta ascoltando quell'ateo mai devoto di Montanelli!!!


Mi è sempre piaciuta questa metafora, però ora mi chiedo chi è il dottore?
Chi riuscirà a fare la diagnosi e la cura dalla malattia del berlusconismo, se è veramente una patologia?

Anche perchè  il berlusconismo, più che una patologia, pare una delle possibili interpretazioni della società italiana. 
In effetti il berlusconismo, con i suoi pregi e difetti, esiste e si alimenta, perchè c'è una parte di Italia che se ne sente interpretata.

Naturalmente c'è anche un'altra Italia che ad oggi non è interpretata in maniera efficace dalla politica. 
E' l'Italia di chi non vota da tempo, di chi crede in modelli altri di  società più solidali, di coloro che non sono toccati dalle scelte della politica. 
Forse è una Italia maggioritaria, che sfugge alle rappresentazioni: una Italia reale che non si lascia imbrigliare nelle categorie sociologiche.

Chi può interpretarla? Forse solo chi abbia una reale tensione morale positiva e coerente potrà interpretare e dare a questa Italia il coraggio di uscire alla scoperto e giocarsi per il bene di tutti.

Questa Italia potrebbe ben essere interpretata dai cattolici, nell'accezione più ristretta cioè coloro che vivono e si sono formati alla scuola delle circa 25.000 parrocchie italiane (vedi sotto l'articolo di De Rita), dei movimenti e delle associazioni ecclesiali. 

Però oggi i cattolici pur presenti sono poco incisivi, la loro voce è indistinta, risucchiata dal delirio delle mille dichiarazioni quotidiane.
E' subbissata dalla voce di tanti e troppi interpreti interessati!!

Una voce strumentalizzata e  confusa tra le tante.
Pensate ai cattolici sparsi in questo o quello partito, schiavi delle dichiarazione quotidiana?
Pensate ai tanti cattolici delle associazioni e movimenti, ben lieti di stare a guardare dalla finestra?
Che dire del mondo culturale? di quegli intellettuali che passano di convegno in convegno, saggi ma privi di una vera passione contagiosa perchè mai si battono fino in fondo per ciò di cui parlano? 
che dire dei media cattolici, spesso ridotti a lottare per battaglie identitarie?


Le analisi su questo si sprecano. 
De Rita (trovate sotto l'articolo) trova le ragioni nella mancanza di meccanismi intermedi di raccordo tra la base e il vertice, Antiseri (sotto l'articolo) risponde che forse manca una guida e uno stato maggiore, Miano (più sotto l'intervista) parlava di centralità dell'impegno educativo e della necessità di non lasciare soli i cattolici impegnati in politica.


A mio avviso hanno colto bene i tre aspetti principali della questione dei cattolici. Io infine ci aggiungo un eccessivo e spesso inane protagonismo delle gerarchie ecclesiastiche in politica che nel lungo termine ha come effetto collaterale, quello di togliere autorevolezza alla voce dei laici cattolici in politica.


Come uscirne? boh....!?
Ognuno, per quanto gli è possibile, faccia quel che può!!


Io segnalo qualche idea per me significativa e ne parlo....


a presto











Ancora Slogan? Provate a Sorprenderci

La strategia Davanti a vicende nuove, gravi e imprevedibili, le risposte non possono essere vecchie, rituali e prevedibili

«Se non ora, quando?». Capisco lo spirito, condivido il fastidio, discuto il metodo. Ancora piazze e slogan? È il XXI secolo, ragazze!
Ho pubblicato questo commento su Twitter, ieri, e sono stato inondato di reazioni. Prevedibili, sorprendenti, irritate, irritanti, comprensive, preoccupate, ragionevoli. Molte chiedono: «Bene, lei cosa propone?». Ci arrivo, ma prima lasciatemi spiegare, allungandomi oltre i 140 caratteri di Twitter.

Davanti a vicende nuove, gravi e imprevedibili, le risposte non possono essere vecchie, rituali e prevedibili. Microfono e buone intenzioni, lettura delle dichiarazioni, studentesse e sindacaliste, francarame e facce già viste. Si finisce per far sembrare originali perfino i soliti, professionali slalom di Giuliano Ferrara, degni dei mondiali di sci in corso (dove peraltro non scendono in mutande). «Se non ora, quando?» sotto le mie finestre, in una delle 230 piazze d'Italia, quella di Crema, dove ci conosciamo tutti: duecento persone, più o meno le stesse di quand'ero studente.
Sgombriamo il campo da un equivoco. Ho scritto sul «Corriere», chiaramente e ripetutamente, che la questione legata a Ruby è seria: un capo di governo deve risponderne in tribunale e magari in qualche intervista, invece di rifugiarsi nei videomessaggi e tra le braccia di dipendenti, portavoce e consiglieri. La vicenda non riguarda infatti solo la vita privata di un uomo pubblico - che peraltro, come insegnano le grandi democrazie, è meno tutelata di quella di un normale cittadino. Di chi ci guida, infatti, dobbiamo valutare la coerenza, l'affidabilità, l'onestà, il buon senso, la responsabilità. 
Le notti di Arcore (palazzo Grazioli, villa Certosa etc) non rappresentano solo un'umiliazione per le donne italiane. Hanno coinvolto organi elettivi (un premio per le favorite?); apparati di protezione (poveri carabinieri di guardia!); questioni di sicurezza (rischio di ricatti); reputazione internazionale (l'Italia derisa nel mondo); importanza dell'esempio (talmente catastrofico che i nostri ragazzi dicono «Blah!» e guardano oltre).

Rispondere a questo sfacelo con l'ennesima manifestazione? Sa di déjà vu. Un milione di donne in piazza nel mondo? A casa, in Italia, ce n'erano trenta milioni. L'Egitto, costantemente richiamato nelle menti e nei commenti? Be', andrei piano prima di celebrare un colpo di stato militare; e poi, in Medio Oriente, è bene aspettare come va a finire (Iran docet). Ma c'è di più. Come questo giornale non si stanca di ripetere, i governi cadono in Parlamento (dove s'accettano le dimissioni). L'opinione pubblica ha il diritto di farsi sentire, i magistrati devono poter lavorare. Ma diciamolo, per banale che sia: sono le urne che decidono chi governa.
La giovane precaria e la sindacalista, l'immigrata e l'attrice: sincero e addirittura commovente, in qualche caso. Ma già visto. Quelle donne avevano cose nobili da dire, ma le hanno dette nel modo consueto e nei soliti luoghi. La forza di Silvio Berlusconi è la capacità diabolica di reinventarsi e sorprenderci. Va affrontato con lo stesso metodo. Sono amico di Lella Costa, ammiro Paola Cortellesi e Anna Finocchiaro. La fantasia non gli manca di sicuro. Provino a inventarsi altro. Qualcosa che possa convincere decine di milioni di donne che non sono scese in piazza, e non lo faranno mai: eppure molte di loro, in questi giorni, sono imbarazzate e arrabbiate. Il momento più efficace, a Roma, è stato il ballo finale sul palco: perché era spontaneo, e non l'avevamo già visto.
È vero: le ragazze e le donne, in Italia, non la pensano come Nicole Minetti, che su Affaritaliani.it ha chiamato in sua difesa Cenerentola e Biancaneve (le quali probabilmente s'avvarranno della facoltà di non rispondere). Certo: concedersi a pagamento non è la nuova forma di imprenditorialità femminile, come argomentano maschi cinici in libera uscita. Ma le donne italiane devono - anzi tutti noi dobbiamo - inventare forme di protesta più originali. Dico la prima cosa che mi viene in mente: coprire l'Italia di post-it rosa, per un mese, scrivendo cosa fanno le donne vere, quelle che non hanno nessuna intenzione di sacrificarsi per i minotauri.
Perché diciamolo: il nostro labirinto è grande, e non ne contiene uno solo.




IL CATTOLICO POST MODERNO
E LO SCARSO PESO IN POLITICA
di GIUSEPPE DE RITA
A chi frequenta la realtà cattolica italiana desta un po' di sconcerto la superficialità con cui di essa si parla e con essa si vuole ,dialogare. La persistente diaspora elettorale, seguita alla fine della Dc, istiga qualcuno a tentativi di nuova unità o convergenza, magari di stampo minoritario; ma ne istiga molti di più a tentativi di appropriazione, di alleanze, di consonanze programmatiche o etiche nei confronti delle sue diverse componenti. Tutti tentativi, però, che, al di là della loro reiterazione e del loro rifiuto, declinano verso una evidente confusione. 
Per tentare di fare un passo in avanti occorre partire dalla considerazione che in ogni realtà complessa (e quella cattolica lo è più di quanto sembri) bisogna privilegiare una linea interpretativa che parta non dall'alto dei principi ideologici o di alleanze politiche, ma dal basso, cioè dalla fenomenologia quotidiana dei popolo cattolico.
È qui, in questa fenomenologia quotidiana, che sta maturando un'evoluzione profonda e importante anche se ancora senza esiti di incisività sociopolitica.
È una maturazione che parte dalla tradizionale ma non scontata consistenza quantitativa del popolo cattolico, dalla sua diffusione capillare sul territorio, dal suo costante vivere in orizzontale senza coazioni di verticismo mediatico. 
Chi lo frequenta e lo «conta» vèrifica ogni domenica che i partecipanti alle funzioni di quattro cinque parrocchie dell'Umbria (regione non solo piccolissima, ma da sempre segnata da forte tradizione comunista e massonica) equivalgono ai numeri dei rumorosi cortei che in varie occasioni attraversano Roma; e coloro che in quelle funzioni «fanno la comunione» sono più numerosi dei partecipanti ai vari reclamizzati raduni che ogni tanto occupano le piazze romane. Facendo la somma delle 25.000 parrocchie italiane, si riscontra una totale copertura dei territorio e delle sue dinamiche; non c'è gara rispetto alle ambi-. zioní di metter su circoli e squadre da parte di chi sente di non avere un suo quotidiano radicamento nel reale quotidiano.

Ma l'importanza sempre più centrale del popolo cattolico la si riscontra specialmente sul piano qualitativo, quasi socio-antropologico: per la sua eredità e testimonianza di fede, visto che «credere» in qualcosa è oggi cosa rara e forse essenziale; per la sua quotidiana capacità di vivere non facendosi prendere dalla bulimia di quell'edonismo banale e facile (per cui delle cose si gode anche senza averne avuto il desiderio); per la sua quotidiana capacità di vivere il territorio (la terra, l'ambiente, il paesaggio) come un valore aggiunto, rispetto alla pura localizzazione del vivere; per la sua quotidiana capacità di produrre significative relazioni interpersonali e una tendenziale vita comunitaria; per la sua quotidiana capacità di fare integrazione e coesione sociale (con gli anziani non meno che con i lavoratori stranieri, con gli emarginati non meno che con ì depressi più o meno soli); per la sua capacità di fare cittadinanza attiva (nel volontariato, come nelle iniziative culturali, come. nell'associazionismo divario tipo). Si tratta, in ultima analisi e interpretazione, della emergente capacità del popolo cattolico di essere post moderno, cioè post industriale, post urbano, post mediatico, anche post secolarizzato; peraltro senza cadere in tentazione di una regressione verso nostalgie del passato, modelli identitari consolidati, antiche prigionie archetipiche.
È quindi verosimile che si sia di fronte a una importanza del popolo cattolico più interessantedi quanto pensano coloro che con esso vogliono far politica. Ma perché tale sommersa importanza non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? La risposta più immediata potrebbe essere quella che si tratta di un obiettivo che la maggior parte dei cattolici italiani non ritiene più meritevole d'impegno; ma sarebbe una risposta parziale. 
La verità è che mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese. Non è che manchino in proposito movimenti, associazioni, gruppi di aggregazione intermedia; ma si tratta di strutture dove il fondo identitarío è più religioso e spirituale che d'impegno civile; e dove quindi si formano carismi «caldi» ma non spendibili sul piano sociopolitico. E anche sul piano più tradizionalmente ecclesiastico non è che manchino diocesi capaci di guidare il cammino dei propri fedeli, ma in genere i loro vescovi restano incapaci (per propria carenza personale e/o perché abituati a «far fare» ai superiori gerarchici) dì elaborare il collegamento delle dìnamiche del loro popolo con le grandi tematiche del momento sociopolitico.
Non essendoci dunque un tessuto e una dinamica di tipo intermedio, si capisce come su tali tematiche gli orientamenti della base cattolica -non arrivino affatto; o arrivino distorti dalle convinzioni di chi presume di parlare in suo nome; o arrivino sì corrette, ma quasi casuali e quindi' senza adeguato seguito (si pensi all'ultima presa di posizione dei Papa sul problema dell'immigrazione).
Chi voglia allora far partecipe il popolo cattolico della sviluppo complessivo della nostra società deve lavorare sulla crescita del suo tessuto intermedio e delle sue dinamiche intermedie; vale per le gerarchie ecclesiastiche e per l'associazionismo ecclesiale, ma vale anche per chi vuole chiamarlo a responsabilità collettive, magari anche politiche_ Altrimenti rischiamo le chiacchiere inutili e confuse che oggi occupano titoli, articoli, dichiarazioni, annunci, siti e circuiti mediatici, verso cui il popolo cattolico si dimostra progressivamente indifferente.


La «diserzione» dei generali cattolici e il manipolo di atei devoti

Come mai il popolo cattolico, diffuso capillarmente nelle 25.000 parrocchie sparse sull' intero territorio nazionale ed estremamente significativo sul piano qualitativo, «socio-antropologico», non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? È questo l' interrogativo che si poneva Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera del 31 agosto. Ebbene, di primo acchito non pare esservi altra ovvia e ragionevole risposta - non contemplata però da De Rita - a questa domanda che quella per cui i cattolici oggi in Italia contano quasi zero perché, accampati da ospiti e in piccoli gruppi, in tende di «altre» formazioni politiche, hanno perso qualsiasi capacità di incidere. In breve: la diaspora ha significato la sostanziale eliminazione dei cattolici dalla scena della politica. 
E ormai sotto gli occhi di tutti è l' inconsistenza di quel martellante refrain stando al quale il «compito politico» dei cattolici si risolverebbe nel dare la loro testimonianza in qualsiasi partito si trovino. Certo, non vi è nulla di più alto e di più nobile per un uomo che testimoniare a viso aperto i propri convincimenti morali. Tuttavia essere lì, pronti a testimoniare i propri ideali, ma sapendo di venire comunque sconfitti, non trasforma i consapevoli perdenti in ascari delle altrui soluzioni? 
Nulla di preoccupante, verrebbe da dire, dato che dalle parti più diverse e anche opposte si affacciano di continuo politici che solennemente dichiarano di essere proprio loro e magari solo loro, a rappresentare le istanze del popolo cattolico. 
Così, in una lettera al Corriere del 23 agosto il ministro Gelmini, con un divieto alla storia futura e un insulto alla verità di quella passata («È il Pdl il partito più sensibile ai valori cattolici»), ha affermato che è proprio l' attuale governo a mettere al centro «l' elemento che sta più a cuore al mondo cattolico, vale a dire la difesa e la promozione della persona e della famiglia». Non dubito minimamente delle buone intenzioni del ministro Gelmini, ma: la mancanza di asili infantili, l' assenza di una legge sul quoziente familiare, la carenza di migliaia e migliaia di posti letto per studenti universitari (ne servono 200.000) sono aiuti alle famiglie? In questi ultimi anni è morta una scuola libera quasi ogni giorno - e, dunque, che fine ha fatto, a parte le buone misure adottate da Roberto Formigoni in Lombardia, l' idea di buono scuola? È così che «un governo sensibile ai valori cattolici» difende la libertà delle famiglie di «scegliere», come diceva Rosmini, per educatori della loro prole quelle persone nelle quali ripongono maggior fiducia? E se la persona umana viene tante volte umiliata e proprio nel momento di maggior bisogno, in non pochi pronto soccorsi dei nostri ospedali, sempre la persona umana non esiste, scompare, in numerosi istituti carcerari Ed è proprio quel popolo cattolico, silenziosamente operante nel volontariato e nelle sedi della Caritas, ad avvertire, più di altri, il fetore razzista che emana da quei soffioni boraciferi costituiti da molte prese di posizione contro gli immigrati e contro i rom. No, ministro Gelmini, non è «l' imam della Lombardia» quella grande figura del mondo cattolico che è il cardinale Dionigi Tettamanzi; non sono «comunisti» e «sovversivi» né l' Avvenire né Famiglia cristiana. È semplicemente un comportamento da zerbini e non da uomini liberi sostenere, sempre e comunque, che è vero e giusto soltanto ciò che serve al partito. 
D' accordo con quel «laico in tutti i sensi» che fu Alessandro Manzoni, il cattolico liberale è contrario a quanti concepiscono lo Stato come un instrumentum religionis ed è ugualmente avverso a coloro che vorrebbero fare della religione un instrumentum regni. Non è, inoltre, un servizio alla famiglia e alla persona una tv pubblica asservita ai partiti e davvero «cattiva maestra». Non è liberale una legge elettorale dove quattro Caligola nominano un Parlamento e illiberali sono quelle proposte contrarie al grande principio dell' uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e pensate al fine di salvare i «potenti» dai tribunali; così come risultano estranei all' autentica tradizione del liberalismo tutte le contorsioni tese a limitare la libertà di informazione. «La libertà di cui parlo è la libertà di dir corna del prossimo e del governo e massimamente di questo, nei giornali e sulle piazze; salvo poi a pagare il fio, con adeguate pene in denaro o in anni di carcere, delle proprie calunnie ed ingiurie». Questo scriveva sul Corriere della Sera del 13 aprile 1948, quel liberale cattolico che fu Luigi Einaudi. 
Ha ragione De Rita a sostenere che il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica. Lui aggiunge che ciò è dovuto al fatto che «mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese». 
Su questa sua idea sono in pieno disaccordo, le cose non stanno affatto così. Il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica perché i cattolici del livello e del prestigio di De Rita - e ce ne sono - stanno da tempo lì, alla finestra, a guardare. 
Dove si sono rintanati - dalla prospettiva della politica nazionale - gli iscritti all' Ucid, i dirigenti dei Medici cattolici, i leader dei Giuristi cattolici, quei banchieri ed economisti cattolici che saltano da un convegno all' altro per parlare di merito, sussidiarietà, solidarietà e di economia sociale di mercato? In quale caverna si sono rifugiati intellettuali come Francesco D' Agostino, Andrea Riccardi, Renato Moro, Lorenzo Ornaghi, Giovani Reale, Flavio Felice, Francesco Paolo Casavola, Enrico Berti, Francesco Viola, Cesare Mirabelli, Stefano Zamagni e altri ancora? La truppa c' è: numerosa e motivata. Mancano generali e stato maggiore. 
Ed ecco, allora, che nel vuoto prodotto dalla «diserzione» dell' intellighenzia cattolica si agita quel manipolo di atei devoti - fenomeno politico e non religioso - tanto accarezzati da non pochi ecclesiastici. In fondo, il ragionamento dell' ateo devoto - chissà se folgorato e caduto da cavallo sulla via di Montecitorio - è il seguente: «Io sono ateo, perché provvisto di mentalità scientifica, perché sono razionale; tu cattolico, invece, dai il tuo assenso a delle favole; dunque, prendo le distanze dalla tua fede, rifiuto quello che più conta per te e ti uso per quello che mi servi». 
Atei devoti: devoti a chi, a che cosa? Un pensiero di Kierkegaard: «Iddio non sa che farsene di questa caterva di politicanti in seta e velluto che benevolmente hanno preteso di trattare il cristianesimo e di servire Iddio servendo a se stessi. No, dei politicanti Iddio se ne strafischia». RIPRODUZIONE RISERVATA
Antiseri Dario




Miano: «Unità dei cattolici sui problemi della gente»
Il presidente dell’Ac: affrontare l’inverno demografico e le sfide di famiglie e lavoro
DI MIMMO MUOLO

Impegno educativo e Settimane Sociali. Senza tralasciare alcuni importanti appuntamenti asso­ciativi, tra i quali un incontro con il Papa. È questo l’orizzonte sul quale l’Azione Cattolica Italiana lavorerà in questo periodo di ripresa delle at­tività dopo la pausa estiva. Ieri se ne è parlato nella riunione di presiden­za, al termine della quale il presi­dente nazionale, Franco Miano ha espresso ad Avvenire l’auspicio che l’agenda di speranza messa a punto in vista delle Settimane Sociali, di­venti patrimonio condiviso del Pae­se, non solo all’interno del mondo cattolico.

Presidente Miano, che autunno sarà per l’Ac?

Un autunno di grande impegno. I te­mi su cui stiamo lavorando sono gli stessi che più stanno a cuore alla Chiesa italiana. Impegno educativo e Settimane Sociali. Inoltre stiamo organizzando due appuntamenti particolarmente significativi per la vita della nostra associazione. Anzi­tutto l’atteso incontro dei ragazzi e dei giovani di Ac con il Papa, previsto per il 30 ottobre. Lo slogan sarà 'C’è di più' e vuole ribadire l’impegno ap­passionato dell’Azione Cattolica per le nuove generazioni, all’inizio del decen­nio dell’educazione. E ad Ancona, dal 10 al 12 settembre, si terrà il convegno dei presi­denti diocesani, pri­mo passo del nostro anno assembleare che si chiuderà a maggio con l’Assem­blea generale. 

A proposito di educazione e temi so­ciali, qual è l’agenda delle priorità del Paese secondo l’Ac?

Prima di tutto la questione della vi­ta. Penso ad esempio all’insistenza con cui il cardinale Bagnasco ha par­lato dell’inverno demografico. Pen­so alla famiglia, senza la quale la so­cietà si sgretola, come ricordava il presidente della Cei. E penso alla questione del lavoro, che significa dare risposte per la vita delle persone. In sostanza penso all’oggi un di più di impegno nella di­rezione della comunione ecclesiale. E questa comunione, nella vita del­le associazioni, dei gruppi, dei mo­vimenti, sta diventando sempre più il pilastro fondamentale su cui le di­versità legittime diventano ricchez­za dea del bene comune, che nella no­stra ottica parte dalla centralità del­la persona, della comunità, delle re­lazioni. Noi vogliamo contribuire af­finché il bene comune si traduca in provvedimenti concreti e ci sia una vita bella, buona e degna per tutti.

Il mondo e l’associazionismo catto­lico sono uniti su questi temi?

Il mondo cattolico è molto più uni­to di come i media lo rappresentano. E sono d’accordo con quanto soste­neva Giorgio Vittadini nell’intervista ad Avvenire di qualche giorno fa. C’è e non elementi di divisione. In questi anni c’è stato un cammino positivo da questo punto di vista, che ha favori­to l’incontro prima di tutto l’incontro sulle cose che contano.

Eppure c’è chi conti­nua a tirare la giacca ai cattolici, volendoli portare ora da una parte ora dall’altra? Quale deve essere a suo avviso il posto dei cattolici in politica?

Ritengo che il rappor­to tra gruppi movi­menti e associazioni cattolici e la politica debba avere come punti di riferimento anzitutto il Vangelo, la Dottrina sociale della Chiesa e il Magistero. Queste sono anche le bussole dell’Ac, che mette al centro la per­sona, la famiglia, il la­voro, l’attenzione al territorio e tanto im­pegno concreto. Una politica che mette al cento la persona è u­na politica che sfida la corruzione, una poli­tica in cui l’elemento della moralità è inelu­dibile e la dimensio­ne della legalità è im­prescindibile. E tutto questo non è di destra o di sinistra. Ma si po­ne semplicemente a servizio dell’uomo.

Quindi, dopo la sta­gione dell’unità politica e quella che è seguita alla sua conclusione, qua­le stagione lei auspicherebbe ora per l’impegno dei cattolici in politica?

Il cardinale Bagnasco, anche nei gior­ni scorsi, ha ripetuto il suo appello af­finché sorga una nuova classe poli­tica cristiana nei fat­ti più che nelle paro­le. Il modo migliore per rispondere al­l’appello del presi­dente della Cei cre­do sia quello di mantenere uno stretto legame fra le comunità e i sin­goli cattolici impegnati in politica, al fine di incoraggiare una presenza coerente con i principi professati. Ma a tal fine è necessario un cambia­mento di mentalità nelle nostre Chiese: e cioè non ritenere la di­mensione sociale e politica come marginale o destinata a pochi spe­cialisti, ma considerare la forma­zione a questi aspetti essenziale co­me per tutti gli altri momenti del cammino cristiano.

La stessa Azione Cattolica è anche un itinerario di educazione all’im­pegno sociale e politico perché di fatto è un luogo concreto di eserci­zio della socialità, della correspon­sabilità e della democrazia. Che co­sa è lecito attendersi da questo punto di vista dalla Settimana So­ciale di Reggio Calabria?

Mi attendo che il grande sforzo fat­to nella fase preparatoria intorno al concetto di bene comune venga tra­dotto in proposte concrete. Scuola, università, lavoro, impresa, fami­glia, vita, tutti i temi dell’Agenda di speranza, sono di vitale importan­za per il Paese. Dobbiamo dare il nostro contributo. Inoltre, compito della comunità ecclesiale è anche di non lasciare soli coloro che sono impegnati direttamente in politica, cercando momenti di confronto e di dialogo. Spero, dunque, che a par­tire da Reggio Calabria in ogni Chie­sa locale maturino queste convin­zioni, per costruire insieme un fu­turo migliore.

«Il nostro mondo è più coeso di quanto venga descritto nei media»