Alle
elezioni politiche un credente “deve” votare solo politici
"cattolici"?
E’
la provocazione che mi balzava in mente, leggendo le cronache
politico-ecclesiali nazionali degli ultimi giorni. Da un lato ci si affanna a
definire questo o quel politico come cattolico rintracciando il quarto di sangue
(la messa domenicale, il servizio nella tale associazione ecc…) che lo certifichi “cattolico”,
dall'altro capita di leggere che "La Chiesa cattolica sta con l'Italia e
poichè sta ogni giorno tra la gente, i vescovi e gli uomini e le donne di Chiesa
conoscono in modo davvero unico e "dal basso" problemi e attese, fatiche e
slanci della vita vera". Un modo
per sentirsi garantiti in una società che non si sente più propriamente
cristiana?!
In
effetti il ragionare di questo affascinante "sentire cum ecclesia"
proposto ai credenti da tanti opinionisti, potrebbe semplificarsi così:
-
i cattolici sono gli interpreti autentici "dal basso" della “vita vera” paese,
-
per questo devono essere ascoltati ed hanno una grande responsabilità nello
scegliere chi ci guiderà.
-
Sintesi: Con quale criterio dovranno scegliere? Votare politici
integerrimi "cattolici", meglio se pugnaci difensori della triade V.F.E.
(Vita-Famiglia-Educazione).
Ma
è proprio così!? Siamo così sicuri di questa sintonia tra cattolici e Paese?
L’unica risposta praticabile è proprio quella del “cattolico che vota
cattolico”?
La
tesi è accettabile con un'avvertenza: i
cattolici, categoria ampia nella quale sarebbero comunque utili distinzioni, non
sono i soli ad interpretare "dal basso" la vita vera della gente in
contrapposizione ad una politica lontana dalle persone. Sarebbe utile
riconoscere umilmente che i cattolici non sono i soli in contatto con la vita
vera, facendosi persino sfiorare dal dubbio che qualche politico vicino alla
“vita vera” in giro c’è ancora e non è sempre “cattolico”.
Dietro
al ragionamento sulla responsabilità dei cattolici si nasconde un pericolo:
l’esigenza di essere ascoltati in politica, e quindi impegnarsi per questo,
implica sempre l’esigenza “spirituale” di purificare l’impegno dalla
fascinazione del potere. Il “tra voi non sia così” evangelico deve essere la
cifra e lo stile di un impegno politico che non si improvvisa schierando qualche
faccia pulita alle elezioni ma è il frutto di un faticoso cammino personale e
comunitario.
La
sintesi non pare infine scontata. Sul piano fattuale si scontra con il
fallimento politico di tanti “cattolici” che in questi anni hanno riscosso molti
consensi, sul piano concettuale implica la riduzione della forza morale della
cultura cattolica a lobby d’interessi.
E’
questa la strada che sono chiamati a percorrere i credenti italiani che
dovrebbero partorire la invocatissima “nuova generazione” di impegnati in
politica?
Forse
non sarebbe utile per tutti noi cattolici un sereno ed umile esame di coscienza
che ci porti a vivere autenticamente ciò che predichiamo?! Ad esempio
predichiamo la vicinanza alle povertà, ai giovani precari e disoccupati: le
nostre parrocchie e le nostre associazioni sono sempre e coerentemente al loro
fianco? Predichiamo il diritto alla partecipazione politica e soprattutto nei
partiti politici: i nostri organismi pastorali e le nostre associazioni sono
sempre coerentemente palestre di partecipazione? Chiediamo con forza attenzione
per le famiglie: le nostre comunità e le nostre associazioni nel programmare la
pastorale sono sempre coerentemente attente alle esigenze delle
famiglie?
Una
volta appresi da un amico sacerdote un bel motto: “E’ l’opera compiuta che mostra la qualità
di chi la compie” (Gregorio da Nissa). Forse i cattolici –e chi aspira ad
interpretarne il sentire- dovrebbero sempre ricordarlo: misurando la qualità
della proposta “politica” extra
ecclesia sull’opera compiuta intra
ecclesia faranno un vero servizio al Paese, liberando la grande forza morale
del cattolicesimo politico.