Perchè abbiamo perso
8 Maggio 2008 Intervista di Massimo Bray – Italianieuropei, anticipata da Il Riformista
«Adesso basta col riformismo tecnocratico». Dall’analisi degli errori commessi dalgoverno di centrosinistra nella passata legislatura alla scala di priorità del Pd, passando attraverso i perché della sconfitta elettorale. In una lunga intervista al numero in uscita diItalianieuropei, di cui pubblichiamo ampi stralci, Massimo D’Alema parla di alleanze e della prossima classe dirigente: «Svanita l’illusione del partito leggero,ora serve un’innovazione robusta in grado di farci uscire da una dialettica paralizzante tra “un nuovo” troppo fragile per affermarsi e “un vecchio” troppo pesante per farsi da parte». «Credo che nessuno possa in questo momento mettere in discussione il ruolo di Veltroni come segretario del partito. L’unica cosa che si chiede è una discussione aperta e meno difensiva, a partire da un’analisi vera, che sappia vedere anche i limiti e le insufficienze del progetto così come si è dispiegato fino ad oggi». Alleanze? «Non si può fare l’errore di pensare che se forze della Sinistra non sonorappresentate in Parlamento, esse non esistono più nella società italiana. Ci sono e bisognatenerne conto. Né,evidentemente, possiamo avere interesse a sospingere l’Udc, di nuovo, sotto l’egemonia di Berlusconi».Partiamo da alcune considerazioni sul risultato elettoralee sul modo di leggerlo. Da più parti si è sottolineato il forte cambiamento nelle tendenze dell’elettorato, altri hanno ricordato che solo due anni fa la sinistra non era minoritaria.In realtà il risultato elettorale non segna una svolta improvvisa, né rivela un improvviso cambiamento dell’Italia. Si limita ad accentuare tendenze che si sono manifestate costantemente negli ultimi quindici anni, a partire dalle elezioni del 1994. Anchequando vincemmo nel 1996 si trattò di un successo politico nato dal fatto che la Lega Nord e il Polo delle Libertà erano divisi. Ma nel voto popolare, cioè nella società, anche allora la destra era in maggioranza... Quale tipo di lettura ha provato a dare? E che lettura si diede allora dell’affermazione della Lega?Allora ci furono molte riflessioni. Ricordo la ricerca di Itanes pubblicata dal Mulino, da cui risultava che un terzo del voti leghisti erano voti operai, compresi quelli di lavoratoriiscritti alla Cgil. Commentando questa ricerca, dissi allora che la Lega nasceva da«una costola del movimento operaio». Ciò dette luogo a molte polemiche inutili da parte di chi non capì o, forse, non volle capire...La lettura che si è data del risultato elettorale è che in questi quindici anni, attraverso le televisioni, Berlusconi ha diffuso il suo modo di intendere la società, diseguire i suoi bisogni e i suoi “istinti”, e dopo quindici anni ne ha saputo raccogliere i frutti.Non possiamo ridurre Berlusconi alla televisione.Certamente questo elemento ha avuto un peso e non solo per la forza condizionante che egli ha sull’informazione, il che gli consente di dettare l’agenda politica... C’è di più: attraverso la televisione egli ha concorso, in oltre trent’anni, a formare il senso comune e i modelli di vita degli italiani.E questo sicuramente ha preparato il terreno a quella sintonia con il paese di cui abbiamo parlato... Ci sono,poi, le paure di un paese messo di fronte alle sfide della globalizzazione, al mutamento accelerato dello scenario internazionale e dei rapporti di forza...Tremonti no global. Il colbertismo del prossimo ministro dell’economiaè di gran moda e lo dimostra il numero di copie vendute dal suo libro.Non pensa chetale suggestione scatti in Italia anche a causa di debolezze strutturalie organizzative gravissime?...Anche in questo caso direi che il fenomeno non interessa solo l’Italia... Il problema vero, dalnostro punto di vista, è come mai - non solo ora - abbiamo avuto tanta difficoltà a fronteggiarequesto fenomeno, pur avendolo affrontato politicamente. Abbiamo avuto periodi importanti digoverno, avendo costruito un nostro sistema di alleanze in risposta al berlusconismo. Siamo passati dai progressisti al centrosinistra, abbiamo cercato di creare un rapporto con una parte importante della borghesia italiana, in una prospettiva europeista. Eppure questo sistema di alleanze, che abbiamo costruito con difficoltà, non è mai riuscito a realizzare attorno a sé il consenso di una maggioranza chiara e vasta degli italiani.Quale può essere la lettura di questo ritardo, di questa scarsa sintonia con una parte importante della società?Certamente hanno pesato limiti di analisi e di elaborazione programmatica. Non c’è dubbio,però, che la sconfitta elettorale sia figlia anche di ritardi ed errori politici,per i quali mi sento,anche io, per la mia parte, responsabile. Pur avendo compreso che si dovevaprofondamente rinnovare la nostra proposta politica, facendo perno intorno al progettodel Pd non solo come innovazione del sistema partitico, ma anche come occasione per un radicale ripensamento programmatico e culturale, noi abbiamo tardato.E nel 2006 abbiamo sostanzialmente riproposto il vecchio centrosinistra, in una condizionein cui la frammentazione partitica e la sensazione di fragilità erano enormemente accentuatedalla legge elettorale imposta da Berlusconi.La sinistra è apparsa più volta a conservare... Non vede il rischio che una identità di sinistra di questo tipo sia riassumibile nella capacità di guardare al passato, manon di disegnare scenari futuri?In realtà la nostra proposta era quella già vista e sperimentata nel 1996: un insiemedi partiti e partitini, di personale politico già conosciuto...Il secondo errore è stato quello di pensare di aver vinto le elezioni. In verità il risultato elettorale era un sostanziale pareggio e ciò richiedeva una diversa iniziativapolitica, anziché dare la sensazione di un arroccamento nei confini di una maggioranza risicata e - almeno al Senato – perennemente in bilico,esposta al condizionamentodi partiti minimi o persino di singoli parlamentari. Si doveva puntare ad una comune assunzione di responsabilità con la destra, aprendo una fase, secondouna terminologia gramsciana, di “reciproco assedio”. Non necessariamente formando un governo insieme - cosa che non parve neppure a me realistica in quel momento - ma individuando le forme di corresponsabilità istituzionale e le possibili convergenzeintorno alle grandi riforme di natura istituzionale necessarie per il paese...Non è facile parlare di comune assunzione di responsabilità con questa destra, ma noi dovevamo provarci. Quella doveva essere la nostra politica e così non è stato. Infine, ha pesato negativamente l’esperienza del governo. Non mi riferisco soltanto alla confusione e alle divisioni della maggioranza, che spesso hanno finito per oscurare i risultati dell’azione di governo.Mi riferisco anche al contrasto che si è manifestato subito e in modo drammatico tra la sofferenza sociale del paese, il voto di quegli italiani che non arrivavano alla fine del mese ed erano tornati a rivolgersi alla sinistra,e la priorità, apparsa quasi tecnocratica, che il governo ha attribuito al tema del riassetto dei conti pubblici.Errori di comunicazione, come ha scritto qualcuno, o errori politici?Errori politici e deficit di innovazione. Naturalmente al fondo c’è quel rapporto di forze nellasocietà di cui abbiamo parlato all’inizio. Ma, certamente, sembra difficile riuscire a scalfire le basi di massa della destra con un riformismo tecnocratico che è apparso lontano dalla realtà sociale del paese e figlio di quel minoritarismo illuministico che ha rappresentatoa lungo un limite storico dei riformatori italiani...Si è detto prima, a proposito del Pd, di una casa che ha oggi le mura e deve procedere a costruire il resto...Adesso abbiamo davanti una grande sfida: quella di costruire il Pd. Svanita l’illusione del partito leggero, senza strutture e senza iscritti, c’è il problema di costruire un partito moderno in grado di mettere radici nella società contemporanea...Un grande partito ha il compito di formare e selezionare una classe dirigente la cui qualità non consista esclusivamente nel fatto di essere nuova. Classe dirigente in quanto capacedi rappresentare interessi diffusi e bisogni concreti presenti nella società.Insomma, se dovessi dirlo con uno slogan, abbiamo bisogno di innovazionerobusta, in grado di farci uscire da una dialettica paralizzante tra “un nuovo”troppo fragile per affermarsi e “un vecchio” troppo pesante per farsi da parte...Anche a Roma non ha giovato non invogliare ad andare a votare una parte dell’elettorato che era necessaria per arrivare al 51%,mentre si poteva quasi averel’impressione che se ne festeggiasse l’esclusione dal Parlamento?I leader della Sinistra Arcobaleno sono i responsabili della loro sconfitta elettorale, non certola “cattiveria” del Pd. Ma non si può fare l’errore di pensare che se quelle forze non sono rappresentate in Parlamento, esse non esistono più nella società italiana.Ci sono e bisogna tenerne conto. Il che non vuol dire che noi dobbiamo farci condizionare snaturando la nostra impronta riformista, ma il più grande partito dell’opposizionedeve avere la forza di rappresentare quella maggioranza di cittadini che non ha votatoper la destra e non solo quel 33% che ha votato per noi. In questa mia posizione non c’è contrasto tra l’idea di allargare i confini del Pd e la ricerca di una politicadi alleanze.Così pure penso che il risultato ottenuto dall’Udc in una posizione di autonomiadalla destra non possa essere sottovalutato, né, evidentemente, noi possiamo avere interesse a sospingere l’Udc, di nuovo, sotto l’egemonia di Berlusconi. In ogni caso, faccio notare che all’origine del Pd c’è la consapevolezza che senza un rapporto con la tradizionepopolare e cattolico-democratica non sarebbe stato possibile creare in Italia una forza riformista adeguata. Se avessimo teorizzato allora l’autosufficienza deiprogressisti non avremmo fatto nessun passo in avanti. Dunque,all’origine del Pd c’è stata una scelta di politica di alleanze. Inquesto senso, se i processi vengono visti nel loro sviluppo storico,non ha significato la contrapposizione schematica tra vocazionemaggioritaria e alleanze.Quali sono, in definitiva, le priorità del Pd?Discuteremo nei prossimi giorni del programma di lavorodel Pd.Un programma impegnativo,in cui analisi della società,elaborazione, sfida di un’opposizioneche deve avere una visioneriformatrice e di governo del paesedebbono andare di pari passo.Questa deve essere la priorità:riempire di contenuti il lavorodell’opposizione, trovare il mododi collaborare a fare le riformenecessarie e non rinviabili per l’Italia.Non trovo utile il dibattitosugli aggettivi da dare all’opposizioneo sul grado di disponibilitàal dialogo con la maggioranza.L’opposizione si misura sullescelte concrete. Innanzitutto suquelle del governo.E per quantoriguarda il dialogo con la destra,nessuno più di me lo ha cercatoper fare insieme le riforme costituzionalinecessarie. Nello stessotempo, ho potuto sperimentareche non è facile.Ma questo, naturalmente,non cambia la necessitàdi provarci.Nel contempo,abbiamoun problema di costruzionedel partito, del suo radicamento.Serve uno sforzo di invenzioneorganizzativa. Tutto questo sfidale forze migliori del Pd, non inuno scontro sulla leadership, dicui nessuno avverte il bisogno,ma in una ricerca comune, in unconfronto di idee e proposte.Credo che nessuno possa in questomomento ragionevolmentemettere in discussione il ruolo diVeltroni come segretario del partito.L’unica cosa che si chiede èuna discussione aperta e menodifensiva, a partire da un’analisivera,che sappia vedere anche i limitie le insufficienze del progettocosì come si è dispiegatofino ad oggi. Penso che inun partito moderno istituticome la Fondazione Italianieuropeipossano svolgereun ruolo importante.Non come organo di partito,ma come strumento diricerca, di dialogo con lasocietà e la cultura, di formazionedella classe dirigente.Se penso ai democraticiamericani o ai momentimigliori del Partitosocialista francese, penso -appunto - ad una pluralitàdi club, fondazioni, centridi ricerca e di riflessione. Ilproblema è mettere in retequeste esperienze, evitareche le diverse realtà diventinomonadi o partiti paralleli.Il problema è la fluiditàe la libertà di accesso edi discussione. Ma le fondazioninon sono il partito.Voglio essere chiaro. Civuole un partito con i circoli,gli iscritti, i gruppi dirigenti,le persone che si riuniscono,che discutono. Un partito radicatoche costruisce la sua battagliaquotidiana nel rapporto con icittadini. Questa è la condizioneaffinché abbiano un senso i centridi ricerca. Ciò che nel passato appartenevaal partito con la “p”maiuscola oggi sarà una rete diistituzioni e di organismi che siformeranno in modo più libero eautonomo, e che dovremo cercaredi legare ad un’agenda comune,ad uno spirito di collaborazionee non di contrapposizione.Tutto ciò che cresce sotto l’ombrellodel Pd deve essere vistocome un’opportunità, non comeun pericolo,e bisogna fare in modoche tutte queste esperienzenon siano tra di loro conflittuali,contraddittorie.Viviamo in un’epoca chequalcuno ha definito delle «passionitristi». Non crede che un altrosforzo che il Pd dovrebbecompiere è quello di ricreareuna passione verso la politica daparte dei cittadini, da parte deitanti giovani che preferisconorestarne lontani?Si è scritto delle «passioni tristi» dei giovani d’oggi parlandodi società come le nostre, dominatedalla paura anziché dallasperanza... C’è moltissimo dacambiare, compresi i riferimentisimbolici e ideali. Con il Pd abbiamocominciato a farlo. Bisogna,forse, guardare al nostro patrimonionon tanto come a un insiemedi privilegi da difendere,quanto piuttosto di valori e dirittida affermare.Insomma,un’Europapiù orgogliosa e meno impauritadi fronte al mondo globalepotrebbe riscoprire la passionepolitica.E restituire una missionea una sinistra moderna.
«Sto creando una nuova strutturalegata al Pd ma aperta a tutti»
«Berlusconi? Da innovatore "eversivo" a doroteo»
Massimo D'Alema ROMA — Onorevole D’Alema, come giudica il discorso di Berlusconi?«Sono sempre stato contrario alla logica di un bipolarismo rozzo e di una contrapposizione frontale, per questo non posso che apprezzare la volontà di stabilire un clima di normalità nei rapporti politici e di correttezza nei rapporti istituzionali. In particolare ho colto il riferimento al presidente della Repubblica e al suo ruolo istituzionale. Berlusconi ha fatto un discorso indubbiamente abile... quasi doroteo. Con una sorprendente rivalutazione, nei contenuti e nello stile, della Prima Repubblica. Tuttavia mi è parso un discorso povero di contenuti di carattere programmatico, con un approccio dimesso e poco ambizioso rispetto ai problemi del Paese. Insomma abbiamo avuto un Berlusconi innovatore, che si proponeva quasi in termini "eversivi", e adesso ci troviamo di fronte un Berlusconi in doppio petto, volto a consolidare la sua posizione di egemonia sulla vita politica italiana».
Comunque ha fatto molte aperture di credito all’opposizione. «E’ abbastanza paradossale che non avendo mai voluto riconoscere la legittimità dei governi in carica di centrosinistra, Berlusconi sia stato così generoso nel riconoscere la legittimità del governo ombra. E’ chiaro che è molto più comodo riconoscere la legittimità degli sconfitti, ma, insisto, registriamo il passo in avanti. Certo, bisogna vedere se il Berlusconi che non vuole scontentare nessuno sarà all’altezza della sfida e della drammaticità dei problemi italiani, che mi sembravano assenti dal suo discorso. Se si limiterà alla pura occupazione del potere, seppure con modi più garbati, o se questa nuova visione della dialettica politica sarà produttiva di cambiamenti e innovazioni. Temo che Berlusconi si illuda di poter gestire l’esistente».
Secondo lei il Pd deve aprire al confronto con Berlusconi? «Di fronte al Pd c’è una sfida impegnativa. Non si può reagire in modo nervoso, non cogliendo le novità di impostazione dei rapporti tra maggioranza e opposizione, ma non ci si può nemmeno accontentare solo di questo. La sfida va portata sui contenuti. E richiede riforme coraggiose, in grado di sfidare corporazioni e privilegi: ci vorrebbe una destra liberale e non dorotea. In secondo luogo, la questione italiana più drammatica è l’aumento delle distanze sociali e l’impoverimento di una parte della società. Anche affrontare questo problema richiede scelte coraggiose e determinate. Infine l’altro terreno di sfida riguarda la concezione di Stato moderno. Io dubito che la risposta stia nel federalismo, che rischia—oltre un certo limite — di disarticolare ulteriormente il Paese e moltiplicare i costi e la complessità della democrazia».
Che tipo di opposizione dovrebbe fare il Pd? «Un’opposizione in grado di incalzare il governo sulla base del nostro programma, ma anche e soprattutto capace di darsi un respiro e una prospettiva di medio periodo, perché si tratta di costruire un rapporto più robusto con la società italiana, di elaborare una cultura politica più moderna, in grado di interpretare i cambiamenti del Paese. Si tratta di costruire risposte più convincenti e alternative. In fondo è un discorso non diverso da quello che impegna i riformisti in altri Paesi europei e negli Usa».
Il Pd sembra piuttosto impegnarsi in guerre intestine.«Forse c’è stato un equivoco nei giorni scorsi. Si è data la sensazione che le cose potessero precipitare verso una resa dei conti, che non era interesse di nessuno, che nessuno ricercava e di cui non si capirebbe il senso».
E’ stato lei nei giorni scorsi a fare rilievi... «Ci dovrà pur essere una possibilità di discutere senza che questo debba essere interpretato come contrapposizione, dualismo, guerra. Da parte mia ci sono state semplicemente due preoccupazioni. La prima, che ci fosse una discussione vera, all’altezza di una sconfitta di questa portata. Una sconfitta che si "legge" anche nel discorso di Berlusconi, che ha dato il senso di una fase che si chiude e di un’ambizione di egemonia di lungo periodo. Perciò io ho chiesto una discussione vera e non un’interpretazione in qualche modo riduttiva del risultato, legata semplicemente agli errori del governo. La seconda preoccupazione che ho voluto esprimere è quella di coinvolgere le forze migliori del partito, uscendo da logiche abbastanza spartitorie di mantenimento degli equilibri. Come ha detto giustamente Bersani, abbiamo bisogno di rimescolare le carte. I segnali in questo senso non erano convincenti e io l’ho detto, non per stabilire un dualismo, ma perché lo ritenevo utile e necessario. Quel che è avvenuto dopo nel Pd dimostra che era così: ci sono state delle correzioni di rotta. Infatti nella compagine del governo ombra c’è stato uno sforzo effettivo di rinnovamento e apertura. E anche la discussione politica ha cominciato a prendere un respiro diverso. Credo che rispetto alle ragioni iniziali di diversità di giudizio e anche, se si vuole di polemica, le cose adesso si siano avviate in termini più convincenti».
Berlusconi vi ha invitato al dialogo sulla riforma elettorale. «Bisogna affrontare con prudenza la discussione sulle riforme istituzionali e della legge elettorale. Sono a favore della semplificazione ma trovo sbagliato per il nostro Paese l’introduzione forzosa del biparitismo. Su questo si deve fare una discussione seria, non imprigionata nello schema "o sei per il bipartitismo o sei per la vecchia politica". Una semplificazione del genere, e solo per ragioni di propaganda interna, non servirebbe a nulla. E sulle questioni che toccano la sostanza della democrazia un partito come il nostro deve essere attento e rispettoso del pluralismo ».
Dicono che lei è stato fatto fuori dagli organismi dirigenti. «Veltroni mi ha chiesto che cosa volessi fare e sono stato io a dirgli che non intendevo essere impegnato nel governo ombra né in compiti di direzione operativa del Pd e quindi non so chi abbia messo in giro questa voce».
Se è per questo dicono che anche Marini è stato emarginato. «Non ho idea di che cosa pensi Marini ma un’idea di quel che pensa D’Alema grosso modo ce l’ho. Io non voglio incarichi perché penso di fare altro, di fare cose diverse ma utili. E non è vero che le personalità contano se stanno in un organismo dirigente. Tra l’altro, è giusto che chi ha la responsabilità di guidare il Pd metta alla prova forze nuove e non sempre le stesse persone. Comunque, visto che parliamo sempre di politica nuova, bisogna anche cercare di farla e questo è quel che sto cercando di fare ».
Non è che sta facendo una sua corrente? «No. Io voglio cercare di fare una cosa differente, che consiste nel mettere insieme trasversalmente persone di diversa provenienza, magari anche con diverse opinioni politiche su determinati temi ma che sono interessate a un progetto di ricerca, di formazione e di informazione. Il che è assolutamente il contrario di vecchie logiche di appartenenza o di cordata».
Con lo strumento della Fondazione Italianieuropei? «Sì, anche. Ci sono già e continueranno a esserci dei gruppi di ricerca sui problemi del Paese, perché c’è una grandissima domanda di capire e di partecipare. Abbiamo già una rivista, vogliamo poi creare un’associazione di personalità politiche, del mondo della cultura e della società civile che affianchi il lavoro della fondazione. Vogliamo arricchire il patrimonio — già straordinario — di collegamenti internazionali con i think thank progressisti e riformisti dell’Europa, degli Usa e di altri continenti. Siccome vogliamo fare un lavoro rivolto alle nuove generazioni, intendiamo occuparci anche della formazione. E inoltre stiamo cercando di fare un salto di qualità dal punto di vista informativo: abbiamo avviato una collaborazione con la televisione satellitare Nessuno tv. Insomma, daremo vita a una struttura che sarà un pezzo di politica nuova rispetto ai partiti tradizionali. Naturalmente, questo progetto è legato organicamente alla costruzione del Pd, anche se nelle nostre iniziative vogliamo dialogare con tutti, compresi il governo, la maggioranza e le altre forze di opposizione ».
Lo sa che diranno che si sta facendo il suo partito?«Sarebbe un commento sbagliato da parte di chi pensa che la politica si faccia solo con i partiti e forse non conosce il modo in cui i grandi partiti democratici e riformisti, dagli Usa all’Europa, elaborano le loro politiche e costruiscono il loro rapporto con la società».
Maria Teresa Meli
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