Cari,
vi segnalo questa interessante discussione snodatasi tra il Foglio, mons. Betori e Avvenire.
Si tratta di una vicenda che prende le mosse dalle dichiarazioni di Betori nell'ultima sua conferena stampa da segretario della Cei quando ha affermato che "per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”.
La de Monticelli abiura ogni contatto e collaborazione con questa chiesa e basa il suo ragionamento ed il suo "addio" sul primato della coscienza individuale, mons. Betori risponde precisando il senso delle proprie parole. Come controcanto "esperto" si aggiunge infine oggi l'articolo di un'altra filosofa, Paola Ricci Sidoni la quale cerca di minimizzare, lasciando trasparire l'idea che la reazione della de Monticelli sia sproporzionata.
MIO COMMENTO: Penso che Betori agli occhi di persone "esperte" abbia fatto effettivamente una gaffe affermando in un contesto pubblico che "la decisione non deve spettare alla persona". Effettivamente nell'ambito della filosofia morale l'affermazione è errata. Tuttavia Betori ha la scusante di non essersi trovato ad un convegno dotto di filosofi. L'inesattezza della sua affermazione, ciò non di meno, è avvalorata dal fatto che ha sentito la necessità di precisare cosa c'era dietro le sue parole.
D'altra parte la reazione della de Monticelli è sproporzionata e forse indice di un malessere già maturato, mentre la lettera della collega mi pare guidata da mera finalità apologetica e di difesa d'ufficio.
Francamente a me tutta questa polemica interessa per un diverso profilo.
Infatti mi pare proprio il frutto di un clima creato negli ultimi anni intorno ai temi della cd bio-politica (orrendo neologismo!): un clima nel quale il valore primo della tutela della vita, a volte le stesse parole del magistero, vengono piegati, plagiati e strumentalizzati in battaglie di principio che, mentre vorrebbero difendere la vita, in ultima analisi finiscono per snaturarsi e far perdere ai protagonisti il senso della misura e delle proporzioni, presupposto di ogni dialogo che voglia essere fruttuoso.
Diceva un famoso filosofo che "la causa della verità non si distingue dalla causa dell'errore se non per lo spessore di un capello" (Mounier): è questa consapevolezza che dovrebbe guidare scelte e atteggiamenti anche del pubblico dibattito. Invece spesso su questi temi si scivola nella "inutile apologetica" (c'è naturalemente anche quella utile!) di chi estremizza i ragionamenti altrui. Capita ai discosrsi del papa sulla contraccezione ed il matrimonio; capita alle dichiarazioni della Bindi sui Dico.
Ecco, ci vorrebbe misura e senso delle proporzioni, per un dibattito serio su questi temi!
Abiura di una cristiana laica
“Questo è un addio. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla Chiesa italiana. Monsignor Betori nega la coscienza e la libertà ultima di essere una persona. Si rende conto?”
di Roberta de Monticelli *
Questo è un addio. A molti cari amici - in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri - la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo.
L’eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono “contenti nei pensier contemplativi”. E anche l’eredità di mistici di altre lingue e radici, l’eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d’Avila.
Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta.
La dichiarazione, riportata oggi su “Repubblica”, di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e “con il pieno consenso del presidente Bagnasco”, secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”, è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.
E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l’umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E’ la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell’umiltà e dell’abbandono in altre mani.
Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant’Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa?
Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.
Oppure ci sono questioni morali che non sono “di competenza” della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque “più ultima” di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa?
E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un’autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti?
C’è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? “Non siamo per il principio di autodeterminazione”, dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E’ possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai - lo dico con dolore - infamia.
di Roberta de Monticelli
* IL FOGLIO, 02.10.2008
RISPETTOSA OBIEZIONE ALLA PROFESSORESSA DE MONTICELLI
Chiedo anch’io la libertà di coscienza. Altra cosa dall’auto-determinazione
di GIUSEPPE BETORI (Avvenire, 03.10.2008)
Sul ’Foglio’ di ieri, Roberta de Monticelli prende spunto da alcune mie dichiarazioni, nel contesto di una conferenza stampa, per dare il suo « addio » « a molti cari amici - in quanto cattolici » , « un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica » .
Trovarmi coinvolto in una così seria decisione mi turba, ma vorrei ricordare che quella parola, « addio » , percepita di primo acchito sinistra, contiene in sé una radice promettente. E’ la preposizione ’ ad’ che spinge verso altro, in ogni caso fuori dal soggetto.
E in effetti visto che l’argomento del contendere è la ’ fine della vita’, tutto cambia a seconda se la vita è destinata oppure senza scopo. In altre parole se la vita si spiega da sé o sottostà come tutta la realtà a quel principio per cui nessuno trova in se stesso la spiegazione del proprio essere. Se si tiene conto di questo, forse si riesce a capire cosa nasconda la parola ’autodeterminazione’, che vorrebbe fare a meno di questa evidenza.
E se la signora de Monticelli avesse colto tale passaggio, avrebbe certo compreso che dietro le mie parole «non spetta alla persona decidere» si cela non la negazione della coscienza, ma semmai dell’autosufficienza. Per questo, proprio appellandomi alla coscienza, che l’illustre interlocutrice difende con tanta passione, non posso non prendere le distanze dalla posizione che mi costruisce addosso e che mi viene attribuita senza fondamento.
Sono infatti sinceramente amareggiato che la mia dichiarazione sia stata letta come « la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale » . Insomma, sarei io - e la Chiesa con me - ad autorizzare il male, negando la possibilità di fare il bene, e farei tutto questo perché non sono per « il principio di autodeterminazione » . Qui si sta costruendo un grande malinteso, legato a cosa significhi in questo contesto il « principio di autodeterminazione » : non si può confondere la libertà di coscienza con la possibilità di fare quello che ci pare. Anche se ragionassi in termini puramente laici, non potrei giustificare un assassinio dicendo che l’ho fatto per rivendicare la mia libertà di coscienza. La legge che punisce l’omicidio non elimina la libertà di coscienza: anzi la piena libertà dell’assassino è il primo presupposto della condanna.
Non possiamo confondere, insomma, la libertà della nostra coscienza con la legittimità delle nostre azioni. Il « principio di autodeterminazione » non è mai stato un caposaldo della dottrina della Chiesa: quando S. Agostino scrive « ama e fa’ ciò che vuoi » , indica che le nostre azioni sono buone solo quando si ispirano a Dio, che è Amore. La coscienza è la sede della nostra scelta, è il luogo dove decidiamo, ma non è il criterio della scelta. Il criterio non ce lo diamo da soli: ce lo dona Dio, che è Amore, ed è percepibile ad ogni indagine razionale come il fondamento della nostra stessa identità o natura. Allo stesso modo, la vita non ce la diamo da soli, ma ci viene donata. Difendere questo dono è difendere il bene: difendere la vita significa difendere la possibilità della coscienza, non negarla. Se non sono vivo, certo non posso scegliere. È proprio questa precedenza della vita rispetto ad ogni scelta, questo dono che mi viene fatto, che mi orienta nel valutare le opzioni di fronte a me. Del resto, anche la mia coscienza non me la sono data: genitori, insegnanti, amici mi hanno insegnato a parlare e a pensare.
Questo tipo di considerazioni porta San Tommaso a insistere tanto sulla prudenza come regola per l’azione: se non si può scegliere in astratto, ma solo a partire dalle concrete situazioni della vita personale, non si può essere buoni in astratto, come vorrebbe l’astratto « principio di autodeterminazione » .
Bisogna cercare di essere « il più buoni possibile » nelle circostanze date: per questo la Chiesa si è decisa per una legge sul ’ fine vita’. Un realismo, il suo, che è da sempre il criterio ispiratore della riflessione cattolica, nello sforzo di rendere possibile una scelta buona nella vita di tutti i giorni.
La vita che viviamo è frutto di relazioni che la generano, sia nel momento del concepimento, sia durante tutto il suo corso. Queste relazioni non terminano con la sofferenza: il dolore non colpisce solo chi soffre - a volte in condizioni estreme - ma anche chi attorno è testimone di tale sofferenza. Tale comune sentire umano - direi questo consentire - sta da sempre a cuore alla Chiesa: davvero non vale niente? E questa passione per l’uomo sarebbe davvero « nichilismo » come conclude l’articolo su Il Foglio? O forse nichilismo è credere che non ci sia nulla oltre l’individuo e la disperata coscienza della sua solitudine?
Spero che Roberta de Monticelli - e quanti sono interessati a un dialogo sulla bellezza, la libertà, la vita - non rinunci alla possibilità di un incontro con chi segue Gesù, che è venuto non « per condannare il mondo, ma per salvare il mondo » (Gv 12,47). Per questo mi auguro che il suo sia solo un ’arrivederci’
LETTERA ALL’AMICA E COLLEGA ROBERTA DE MONTICELLI
In nome di quel Dio che ci abita la persona nonlegge a se stessa
PAOLA RICCI SINDONI
Nei giorni scorsi, la filosofa Roberta De Monticelli ha fortemente polemizzato con la posizione espressa dal segretario generale della Cei, Giuseppe Betori, in merito all’auspicata legge sullafine vita, al punto da dire addio a qualunque collaborazione che abbia relazione alla Chiesa cattolica. Una prima risposta di monsignor Betori � gi� stata ospitata su queste colonne.
C ara Roberta, prima di dire addio a quanti come me condividono il tuo lavoro, la filosofia, e la tua amicizia, pur appartenendo, come me, alla Chiesa cattolica, permettimi di esprimere qualche pensiero sotto forma di lettera – un genere che a te, come a me, piace molto – in risposta al tuo duro, sofferto quanto ingeneroso attacco ad alcuni rappresentanti della gerarchia ecclesiastica. Nontanto per difenderli, quanto per dirti che come credente di questa istituzione religiosa che amo e in cui in profonditmi riconosco, non posso che condividere con te il valore supremo della coscienza, cheil nucleo pisegreto, e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio la cui voce risuona nell’intimitpropria, come recita il punto 1776 del Catechismo della Chiesa cattolica (che qui recupera le intuizioni luminose di Agostino, un pensatore che tu conosci bene). Edith Stein, altra filosofa che tutte e due abbiamo studiato e che tu citi nel tuo articolo,andata pia fondo, affermando che Dio stesso si ferma alla soglia della coscienza e dimora in essa solo se lo si fa entrare. Quando lo si fa entrare, per, non si puignorarne la presenza, cosicchlo spazio della coscienza credente sa di doversi misurare con questo Ospite, con cui non negozia certo il bene della propria libert, ma la orienta, accrescendola nella consapevolezza di essere donata a se stessa.
Anche per una cattolica credente la coscienza, che tu con tanta passione difendi, quell’intimitinviolabile, oltre che luogo delle scelte personali, della libertpraticata, ma questo perchlo spazio condiviso con l’Altro e con gli altri, non certo il punto in cui individualisticamente muoversi dentro il mondo, secondo un ordine morale autogestito, che il diritto, come tu dici, ha il compito di delimitare e di proteggere. E la Chiesa?
Perchti ostini a vederla come un esclusivo appannaggio di un gruppo di gretti illiberali, pronti a dominare l’opinione pubblica con le loro infamanti (la parolatua) condanne? La Chiesa nondei preti – abbandona, per favore, questo anticlericalismo stantio –; anch’io sono Chiesa, come lo sono i tanti credenti che non hanno dismesso la loro capacitdi pensare dentro questa istituzione ricca di tante e diverse anime, unite pernella convinzione che questa Chiesa ha un solo Capo, che continua ad accompagnare il suo cammino storico. I prelati che tu citi nell’articolo non possono che fare quello che fanno: custodire il patrimonio spirituale e morale della tradizione ecclesiale, in cui la fedelte l’amore alla Chiesa si traducono anche in orientamenti pastorali, in indicazioni etiche sui difficili nodi morali che in questo momento attraversano il nostro Paese.
Detto questo, ascoltami Roberta, come io ho ascoltato te. Le drammatiche questioni legate alla fine della vita non possono trovarci su fronti opposti, segnati da chiusure irriducibili (non accetto il tuo 'addio'…): citare alcune dichiarazioni apparse sulla stampa secondo cuila decisione non deve spettare alla persona, cui segue, secondo te, il misconoscimento del principio di autodeterminazione significa che, secondo l’orientamento della Chiesa – sia che parli Betori o un altro credente – la persona nonlegge a se stessa. La persona cio, non libera di disporre di se degli altri, malibera di prendersi cura di se degli altri, in nome di quel Dio che abita dentro la coscienza, cosche essa nonlo spazio autoreferenziale, ma il luogo di mantenimento del bene che ogni vita custodisce.
Non mi pare, cara Roberta, che questo sia nichilismo… Affido questi pensieri al tuo cuore attento, certa di ritrovarti ancora.