mercoledì 2 settembre 2009

I valori? Mettiamoli da parte.



Osservando le vicende di questi giorni (caso Boffo, critiche alla legge sulla sicurezza, dibattito su testamento biologico e RU486 ecc...), mi chiedo seriamente quale sia la ricaduta pastorale, il contributo alla crescita di coscienza dei cittadini e della comunità di certe battaglie legislative sui temi bioetici e della famiglia in nome dei valori per le quali, alternativamente e di volta in volta, "certa parte e altra parte della" Chiesa-istituzione sembra disposta a sacrificare veramente tutto, anche la propria indipendenza di giudizio, anche la virtù della prudenza e persino, in certi casi, lo stile evangelico.

Riprendendo il celebre libretto di Carll Schmitt (La tirannia dei valori), pare che "certa parte e altra parte della" Chiesa oggi si trovi ad essere "tiranneggiata dai valori".
Basta con questa visione mercantile dell'etica in cui tutto è misurabile e "valorizzabile"!

Mi spiego.

Il valore appunto non è, ma vale. In quanto tali, in realtà, i valori sono semplici attributi del bene, non il bene in se: attributi per di più sempre relativi, cioè relativi a chi esprime il giudizio stesso di valore. In quanto tali, MAI potranno essere terreno di condivisione e di dialogo.

Tuttalpiù i valori saranno terreno di scambio, se non di compromesso.
Per questo e per inciso, lascia sempre un poco interdetti il politico che dichiara di voler creare col suo partito un "sistema di valori condivisi": attribuisce al proprio partito un compito non suo per la costruzione di una sistema inutile ed irrealizzabile.

Con ciò naturalmente non si nega la possibilità del dialogo e della definizione di un orizzonte etico condiviso.
Ciò sarà sempre possibile se si accetta come orizzonte possibile quello della mediazione delle istanze, aldilà delle astrattezze e di sistemi irrealizzabili.

Si nega invece la possibilità di dialogare se "si ragiona per valori astratti".

D'altra parte chi ci sta di fronte ben potrebbe, in astratto e sempre argomentando con la ragione a partire da precise posizioni scelte a priori, porre come non negoziabile un valore diverso dal nostro. Si arriva così ad uno scontro di valori astratti dalla realtà che può sfociare da un lato nel clericalismo e dall'altro nel laicismo. Per questo, "ragionare per valori" diventa deleterio se si vuole creare le condizioni per un'etica condivisa.

Il valore superiore, scriveva Schmitt, ha il diritto e il dovere di sottomettere a sé il valore inferiore, e il valore in quanto tale annienta giustamente il non-valore in quanto tale. È tutto chiaro e semplice, fondato sulla specificità del valutare. Appunto in ciò consiste la ‘tirannia dei valori’, di cui a poco a poco acquisiamo consapevolezza”
Porre un valore come assoluto è in questa ottica la massima negazione della trascenza di Dio, nostro unico- vero- assoluto bene.

Heidegger scriveva nella Lettera sull' umanismo (1947): «Se si caratterizza qualcosa come valore, ciò che così viene valutato viene privato della sua dignità. Proclamare per soprappiù Dio come "il valore più alto" significa degradare l' essenza di Dio (...) Il pensare per valori, qui come altrove, è la più grande bestemmia che si possa pensare contro l' essere»
Cosa è più importante: l'uomo in carne ed ossa o il valore che esso esprime?
Carl Schmitt, scriveva con rara efficacia: «Ci sono uomini e oggetti, persone e cose: le cose hanno un valore, le persone hanno una dignità»

Forse è un paragone ardito, ma mi chiederei cosa è più importante: l'altro di fronte a me o le astrazione che crediamo di fare dandogli "valore".

La verità è che una Chiesa fedele a se stessa deve essere disposta a "sacrificatre tutto" solo per i poveri e gli ultimi, quelli in carne ed ossa, non per i valori che forse è meglio mettere da parte.

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