Dopo la tragedia di Civitanova il mio carissimo amico Peppe - trascorsi politici ed impegno costante per gli ultimi della terra in una ONG, Africa Mission- mi scrive:"Mi vergogno come cristiano e prima di me si dovrebbe vergognare il governo italiano di fronte alle tre morti assurde di Civitanova Marche. Chiedo una preghiera per loro"
Ci penso da giorni a questo sms, cercando la risposta.
E poi penso alla morte di Peppe Burgarella, lavoratore che si è ucciso in nome dell'art. 1 della Costituzione.
E poi a quella di quell'imprenditore di Frosinone operante nel campo dei trasporti che si è tolto la vita per la perdita delle commesse e la paura di licenziare 35 persone; o a quella dell'altro imprenditore di Vigonza che faceva biciclette e, non riuscendo a venderle, aveva tentato invano la strada della riconversione produttiva nell'arredamento. Tutte morti auto-inflitte negli ultimi mesi; tragedie umane che trovano le proprie cause in difficoltà economiche da cui non si vede l'uscita, in un senso di colpa per le persone affidate o per una dignità che si sente perduta.
Comunque poi l'ho anche incontrato il mio amico Peppe.
Mi ha fatto vedere anche alcune risposte a quell'sms.
Un giudice gli scriveva: "ho tardato a rispondere perchè non ho parole. E il brutto è che ci si abitua."
Un prete impegnato nel sociale: "Mi unisco alla tua reazione e rabbia per quanto accaduto. Io non sono andato a votare perchè non ho voluto essere complice di queste strutture di peccato che sono governo e partiti."
Un'altro prete da parrocchia, eloquentemente senza parole: "....."
Che dire? Mi chiedo, un po a voce alta, cosa potremmo mai fare come cristiani per evitare queste tragedie, oltre a vergognarci?!
Parlandone con il mio parroco, mi ha fatto una giusta osservazione: "noi siamo sempre disponibili ad aiutare chi è in difficoltà, ma se queste persone non ci fanno conoscere i loro problemi, cosa possiamo mai fare in concreto per evitare i suicidi?! Io quando ho saputo, ho cercato di incidere! Poi è anche vero che nella Chiesa ci sono tante esperienze di aiuto a queste situazioni, portate avanti dalla Caritas e altre associazioni. Non possiamo addossarci anche la colpa di queste tragedie, quando lo stato latita."
Possiamo pregare, certo! Ma poi è evidente per tutti che, come osservava il card Martini nel suo ultimo libricino "Il vescovo" a proposito della carità del vescovo, quando Dio ci chiederà della nostra carità, "non potremo delegare la risposta alla Caritas!"
Vorrei tanto sfuggire alla facile accusa ai politici - magari fosse così, allora votando i politici giusti dovremmo iniziare a stare tutti meglio! Neanche però mi va di cedere alla facile auto-assoluzione della colpa collettiva.
Allora mi chiedo se, come credenti , facciamo tutti abbastanza in termini di vicinanza, progettualità e, perchè no, di concreto aiuto a chi fa impresa ed è in difficoltà economica?
Ritorno con la mente ad un cattolicesimo sociale, incontrato sui libri, che in Italia ha inventato le "Settimane sociali", le cooperative di credito e quelle di lavoro.Penso ad esempi di parroci e laici che, di fronte alla miseria di una Italia pre-industriale, fondavano cooperative, prestavano garanzie arrischiando anche patrimoni frutto di una "manomorta" millenaria, mettevano insieme persone!
Penso a politici come La Pira che nell'Italia post-bellica requisiva le case sfitte per far fronte all'emergenza della casa.
Queste persone davano concreti segni di speranza.
E vedo oggi la mia Chiesa italiana, la nostra Chiesa, interrogandomi!
Ad esempio le nostre parrocchie e le nostre associazioni oggi hanno sempre le orecchie drizzate verso le situazioni di difficoltà economica e lavorativa delle imprese? Cercano strade nuove di prossimità a questo mondo? Certo, di fronte a queste morti, abbiamo sempre l'ultima impegnativa parola, in omelie spesso belle e "potenti", dove denuncia e speranza cercano faticosamente di stare insieme.
Però, almeno io, vedo in giro una sorta di incomunicabilità tra il mondo ecclesiale "stretto" (diocesi e parrocchie) e il mondo dell'impresa.
In effetti tutto questo mondo spesso viene affidato (forse è meglio dire "delegato"?) ad un associazionismo cattolico di settore (es: Acli, CdO etc...) che putroppo fatica ad incarnarsi in tutte le comunità ed i territori del paese. In effetti, che ne sanno le nostre comunità ecclesiali delle serie difficoltà operative di un'impresa edile senza il DURC (il caso di Civitanova!), ammesso che tutti sappiano cosa è il Documento Unico di Regolarità Contributiva e perchè e come viene rilasciato dall'INPS! Che ne sanno le nostre parrocchie dei problemi di cui si trova investito una succursale della Compagnia delle Opere davanti ad un imprenditore in cerca di risorse finanziarie oppure un CAF delle ACLI alle prese con le dichiarazioni dei redditi o l’IMU.
Direte, a ragione, che non è affatto questo il compito delle parrocchie! Qualcuno dirà che spetta alla politica o a chi ne ha la competenza.
Tuttavia mi pare evidente dal punto di vista pastorale ed ecclesiale che, se la parrocchia non si interessa dell'impresa perchè ciò è demandato ai competenti e se i compenti a loro volta con la parrocchia non ci parlano, il corto-circuito ecclesiale è nelle cose. Abbiamo una formidabile struttura di radicamento e vicinanza, ma non la valorizziamo in pieno.
Non mancano certo iniziative ed esperimenti diocesani e parrocchiali per così dire "autonomi", ma viene da chiedersi se ne vengano efficientemente misurati i frutti concreti per migliorarli, se si cerca realmente di metterli in rete con ciò che già c’è nell'associazionismo "di competenza" o se, più semplicemente, ci si accontenta del proprio orticello, autoelogiandosi per il poco che si fa?
Ad esempio, per allargare le considereazioni concretamente: l'iniziativa ecclesiale nazionale della CEI, "Prestito della Speranza" (http://www.prestitodellasperanza.it/comefunziona.html) che cerca di porre un mattone per arginare la situazione facilitando prestiti a tassi equi da 6000 e 25000 euro, che frutti sta portando? Deve essere potenziata? Va messa in una rete più ampia? Se ne discute? Ci sta a cuore!? Ha dei limiti? Quanti prestiti riesce a portare a buon fine rispetto alle richieste?
Io ho il dubbio che spesso, sfuggendo a queste considerazioni "concrete", nelle nostre realtà ecclesiali ci lasciamo prendere dalla malattia del burocrate ecclesiale, cioè di colui che si sente a posto quando ha tutto perfettamente organizzato ed in ordine di competenza secondo le superiori prescrizioni, oppure dalla malattia dell'incompetente insoddisfatto, cioè di colui che si lamenta di tutto, lasciandosi scorrere i problemi degli altri sulla pelle, sapendo che è "competenza" di altri affrontarli, salvo poi strepitare contro tutti quando certe tragedie accadono.
Beh, tutto questo ci può anche stare perchè le risposte ad una situazione difficile sono sempre terribilmente complicate e superano lo sforzo del singolo, però non dobbiamo mai dimenticare che alla fine la nostra risposta di fronte a Dio "non potremo delegarla alla Caritas!"
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