lunedì 14 febbraio 2011

Cattolici adesso.

Sotto trovate un'interessante ed arguto commento di Beppe Severgnini sulla manifestazione "se non ora, quando?". Ieri infatti si sono ritrovati in 200 piazze d'Italia le donne che al grido di "se non ora quando?" Adesso! hanno manifestato il proprio disagio per una  visione della donna ben incarnata nel berlusconismo. 
L'articolo mi ha spinto a qualche considerazione più ampia sui cattolici in politica adesso.

COMMENTO:
Effettivamente ora non se ne può più! 
SE NON ORA, QUANDO?
ADESSO! 
Lo grido anche io, insieme a tante donne italiane!
Tuttavia, forse, non è solo un problema di categorie sociologiche "contro": le donne, i disoccupati, i lavoratori, gli abitanti del sud, quelli del nord..eccetera eccetera.
Queste categorie sono sempre lontane: a volte ci si riconosce, altre no.
Non ci toccano mai del tutto, non ci riconosciamo in esse mai completamente.
Non è neanche questione di metodi più o meno fantasiosi per manifestare un disagio.

La verità è che Berlusconi cadrà, se dovrà cadere, solo in parlamento.
Pare che i numeri ce li abbia, qualcuno dice che se li è comprati!!! 
Forse non è il momento giusto, forse cadrà domani mattina! 
Chissà!?
A questo punto ben possiamo cedere al celebre e irato sconforto montanelliano che nel 2001 portava il giornalista di Fucecchio a dire:

"Guardi: io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino".


Manca solo il Quirinale! La madonna sta ascoltando quell'ateo mai devoto di Montanelli!!!


Mi è sempre piaciuta questa metafora, però ora mi chiedo chi è il dottore?
Chi riuscirà a fare la diagnosi e la cura dalla malattia del berlusconismo, se è veramente una patologia?

Anche perchè  il berlusconismo, più che una patologia, pare una delle possibili interpretazioni della società italiana. 
In effetti il berlusconismo, con i suoi pregi e difetti, esiste e si alimenta, perchè c'è una parte di Italia che se ne sente interpretata.

Naturalmente c'è anche un'altra Italia che ad oggi non è interpretata in maniera efficace dalla politica. 
E' l'Italia di chi non vota da tempo, di chi crede in modelli altri di  società più solidali, di coloro che non sono toccati dalle scelte della politica. 
Forse è una Italia maggioritaria, che sfugge alle rappresentazioni: una Italia reale che non si lascia imbrigliare nelle categorie sociologiche.

Chi può interpretarla? Forse solo chi abbia una reale tensione morale positiva e coerente potrà interpretare e dare a questa Italia il coraggio di uscire alla scoperto e giocarsi per il bene di tutti.

Questa Italia potrebbe ben essere interpretata dai cattolici, nell'accezione più ristretta cioè coloro che vivono e si sono formati alla scuola delle circa 25.000 parrocchie italiane (vedi sotto l'articolo di De Rita), dei movimenti e delle associazioni ecclesiali. 

Però oggi i cattolici pur presenti sono poco incisivi, la loro voce è indistinta, risucchiata dal delirio delle mille dichiarazioni quotidiane.
E' subbissata dalla voce di tanti e troppi interpreti interessati!!

Una voce strumentalizzata e  confusa tra le tante.
Pensate ai cattolici sparsi in questo o quello partito, schiavi delle dichiarazione quotidiana?
Pensate ai tanti cattolici delle associazioni e movimenti, ben lieti di stare a guardare dalla finestra?
Che dire del mondo culturale? di quegli intellettuali che passano di convegno in convegno, saggi ma privi di una vera passione contagiosa perchè mai si battono fino in fondo per ciò di cui parlano? 
che dire dei media cattolici, spesso ridotti a lottare per battaglie identitarie?


Le analisi su questo si sprecano. 
De Rita (trovate sotto l'articolo) trova le ragioni nella mancanza di meccanismi intermedi di raccordo tra la base e il vertice, Antiseri (sotto l'articolo) risponde che forse manca una guida e uno stato maggiore, Miano (più sotto l'intervista) parlava di centralità dell'impegno educativo e della necessità di non lasciare soli i cattolici impegnati in politica.


A mio avviso hanno colto bene i tre aspetti principali della questione dei cattolici. Io infine ci aggiungo un eccessivo e spesso inane protagonismo delle gerarchie ecclesiastiche in politica che nel lungo termine ha come effetto collaterale, quello di togliere autorevolezza alla voce dei laici cattolici in politica.


Come uscirne? boh....!?
Ognuno, per quanto gli è possibile, faccia quel che può!!


Io segnalo qualche idea per me significativa e ne parlo....


a presto











Ancora Slogan? Provate a Sorprenderci

La strategia Davanti a vicende nuove, gravi e imprevedibili, le risposte non possono essere vecchie, rituali e prevedibili

«Se non ora, quando?». Capisco lo spirito, condivido il fastidio, discuto il metodo. Ancora piazze e slogan? È il XXI secolo, ragazze!
Ho pubblicato questo commento su Twitter, ieri, e sono stato inondato di reazioni. Prevedibili, sorprendenti, irritate, irritanti, comprensive, preoccupate, ragionevoli. Molte chiedono: «Bene, lei cosa propone?». Ci arrivo, ma prima lasciatemi spiegare, allungandomi oltre i 140 caratteri di Twitter.

Davanti a vicende nuove, gravi e imprevedibili, le risposte non possono essere vecchie, rituali e prevedibili. Microfono e buone intenzioni, lettura delle dichiarazioni, studentesse e sindacaliste, francarame e facce già viste. Si finisce per far sembrare originali perfino i soliti, professionali slalom di Giuliano Ferrara, degni dei mondiali di sci in corso (dove peraltro non scendono in mutande). «Se non ora, quando?» sotto le mie finestre, in una delle 230 piazze d'Italia, quella di Crema, dove ci conosciamo tutti: duecento persone, più o meno le stesse di quand'ero studente.
Sgombriamo il campo da un equivoco. Ho scritto sul «Corriere», chiaramente e ripetutamente, che la questione legata a Ruby è seria: un capo di governo deve risponderne in tribunale e magari in qualche intervista, invece di rifugiarsi nei videomessaggi e tra le braccia di dipendenti, portavoce e consiglieri. La vicenda non riguarda infatti solo la vita privata di un uomo pubblico - che peraltro, come insegnano le grandi democrazie, è meno tutelata di quella di un normale cittadino. Di chi ci guida, infatti, dobbiamo valutare la coerenza, l'affidabilità, l'onestà, il buon senso, la responsabilità. 
Le notti di Arcore (palazzo Grazioli, villa Certosa etc) non rappresentano solo un'umiliazione per le donne italiane. Hanno coinvolto organi elettivi (un premio per le favorite?); apparati di protezione (poveri carabinieri di guardia!); questioni di sicurezza (rischio di ricatti); reputazione internazionale (l'Italia derisa nel mondo); importanza dell'esempio (talmente catastrofico che i nostri ragazzi dicono «Blah!» e guardano oltre).

Rispondere a questo sfacelo con l'ennesima manifestazione? Sa di déjà vu. Un milione di donne in piazza nel mondo? A casa, in Italia, ce n'erano trenta milioni. L'Egitto, costantemente richiamato nelle menti e nei commenti? Be', andrei piano prima di celebrare un colpo di stato militare; e poi, in Medio Oriente, è bene aspettare come va a finire (Iran docet). Ma c'è di più. Come questo giornale non si stanca di ripetere, i governi cadono in Parlamento (dove s'accettano le dimissioni). L'opinione pubblica ha il diritto di farsi sentire, i magistrati devono poter lavorare. Ma diciamolo, per banale che sia: sono le urne che decidono chi governa.
La giovane precaria e la sindacalista, l'immigrata e l'attrice: sincero e addirittura commovente, in qualche caso. Ma già visto. Quelle donne avevano cose nobili da dire, ma le hanno dette nel modo consueto e nei soliti luoghi. La forza di Silvio Berlusconi è la capacità diabolica di reinventarsi e sorprenderci. Va affrontato con lo stesso metodo. Sono amico di Lella Costa, ammiro Paola Cortellesi e Anna Finocchiaro. La fantasia non gli manca di sicuro. Provino a inventarsi altro. Qualcosa che possa convincere decine di milioni di donne che non sono scese in piazza, e non lo faranno mai: eppure molte di loro, in questi giorni, sono imbarazzate e arrabbiate. Il momento più efficace, a Roma, è stato il ballo finale sul palco: perché era spontaneo, e non l'avevamo già visto.
È vero: le ragazze e le donne, in Italia, non la pensano come Nicole Minetti, che su Affaritaliani.it ha chiamato in sua difesa Cenerentola e Biancaneve (le quali probabilmente s'avvarranno della facoltà di non rispondere). Certo: concedersi a pagamento non è la nuova forma di imprenditorialità femminile, come argomentano maschi cinici in libera uscita. Ma le donne italiane devono - anzi tutti noi dobbiamo - inventare forme di protesta più originali. Dico la prima cosa che mi viene in mente: coprire l'Italia di post-it rosa, per un mese, scrivendo cosa fanno le donne vere, quelle che non hanno nessuna intenzione di sacrificarsi per i minotauri.
Perché diciamolo: il nostro labirinto è grande, e non ne contiene uno solo.




IL CATTOLICO POST MODERNO
E LO SCARSO PESO IN POLITICA
di GIUSEPPE DE RITA
A chi frequenta la realtà cattolica italiana desta un po' di sconcerto la superficialità con cui di essa si parla e con essa si vuole ,dialogare. La persistente diaspora elettorale, seguita alla fine della Dc, istiga qualcuno a tentativi di nuova unità o convergenza, magari di stampo minoritario; ma ne istiga molti di più a tentativi di appropriazione, di alleanze, di consonanze programmatiche o etiche nei confronti delle sue diverse componenti. Tutti tentativi, però, che, al di là della loro reiterazione e del loro rifiuto, declinano verso una evidente confusione. 
Per tentare di fare un passo in avanti occorre partire dalla considerazione che in ogni realtà complessa (e quella cattolica lo è più di quanto sembri) bisogna privilegiare una linea interpretativa che parta non dall'alto dei principi ideologici o di alleanze politiche, ma dal basso, cioè dalla fenomenologia quotidiana dei popolo cattolico.
È qui, in questa fenomenologia quotidiana, che sta maturando un'evoluzione profonda e importante anche se ancora senza esiti di incisività sociopolitica.
È una maturazione che parte dalla tradizionale ma non scontata consistenza quantitativa del popolo cattolico, dalla sua diffusione capillare sul territorio, dal suo costante vivere in orizzontale senza coazioni di verticismo mediatico. 
Chi lo frequenta e lo «conta» vèrifica ogni domenica che i partecipanti alle funzioni di quattro cinque parrocchie dell'Umbria (regione non solo piccolissima, ma da sempre segnata da forte tradizione comunista e massonica) equivalgono ai numeri dei rumorosi cortei che in varie occasioni attraversano Roma; e coloro che in quelle funzioni «fanno la comunione» sono più numerosi dei partecipanti ai vari reclamizzati raduni che ogni tanto occupano le piazze romane. Facendo la somma delle 25.000 parrocchie italiane, si riscontra una totale copertura dei territorio e delle sue dinamiche; non c'è gara rispetto alle ambi-. zioní di metter su circoli e squadre da parte di chi sente di non avere un suo quotidiano radicamento nel reale quotidiano.

Ma l'importanza sempre più centrale del popolo cattolico la si riscontra specialmente sul piano qualitativo, quasi socio-antropologico: per la sua eredità e testimonianza di fede, visto che «credere» in qualcosa è oggi cosa rara e forse essenziale; per la sua quotidiana capacità di vivere non facendosi prendere dalla bulimia di quell'edonismo banale e facile (per cui delle cose si gode anche senza averne avuto il desiderio); per la sua quotidiana capacità di vivere il territorio (la terra, l'ambiente, il paesaggio) come un valore aggiunto, rispetto alla pura localizzazione del vivere; per la sua quotidiana capacità di produrre significative relazioni interpersonali e una tendenziale vita comunitaria; per la sua quotidiana capacità di fare integrazione e coesione sociale (con gli anziani non meno che con i lavoratori stranieri, con gli emarginati non meno che con ì depressi più o meno soli); per la sua capacità di fare cittadinanza attiva (nel volontariato, come nelle iniziative culturali, come. nell'associazionismo divario tipo). Si tratta, in ultima analisi e interpretazione, della emergente capacità del popolo cattolico di essere post moderno, cioè post industriale, post urbano, post mediatico, anche post secolarizzato; peraltro senza cadere in tentazione di una regressione verso nostalgie del passato, modelli identitari consolidati, antiche prigionie archetipiche.
È quindi verosimile che si sia di fronte a una importanza del popolo cattolico più interessantedi quanto pensano coloro che con esso vogliono far politica. Ma perché tale sommersa importanza non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? La risposta più immediata potrebbe essere quella che si tratta di un obiettivo che la maggior parte dei cattolici italiani non ritiene più meritevole d'impegno; ma sarebbe una risposta parziale. 
La verità è che mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese. Non è che manchino in proposito movimenti, associazioni, gruppi di aggregazione intermedia; ma si tratta di strutture dove il fondo identitarío è più religioso e spirituale che d'impegno civile; e dove quindi si formano carismi «caldi» ma non spendibili sul piano sociopolitico. E anche sul piano più tradizionalmente ecclesiastico non è che manchino diocesi capaci di guidare il cammino dei propri fedeli, ma in genere i loro vescovi restano incapaci (per propria carenza personale e/o perché abituati a «far fare» ai superiori gerarchici) dì elaborare il collegamento delle dìnamiche del loro popolo con le grandi tematiche del momento sociopolitico.
Non essendoci dunque un tessuto e una dinamica di tipo intermedio, si capisce come su tali tematiche gli orientamenti della base cattolica -non arrivino affatto; o arrivino distorti dalle convinzioni di chi presume di parlare in suo nome; o arrivino sì corrette, ma quasi casuali e quindi' senza adeguato seguito (si pensi all'ultima presa di posizione dei Papa sul problema dell'immigrazione).
Chi voglia allora far partecipe il popolo cattolico della sviluppo complessivo della nostra società deve lavorare sulla crescita del suo tessuto intermedio e delle sue dinamiche intermedie; vale per le gerarchie ecclesiastiche e per l'associazionismo ecclesiale, ma vale anche per chi vuole chiamarlo a responsabilità collettive, magari anche politiche_ Altrimenti rischiamo le chiacchiere inutili e confuse che oggi occupano titoli, articoli, dichiarazioni, annunci, siti e circuiti mediatici, verso cui il popolo cattolico si dimostra progressivamente indifferente.


La «diserzione» dei generali cattolici e il manipolo di atei devoti

Come mai il popolo cattolico, diffuso capillarmente nelle 25.000 parrocchie sparse sull' intero territorio nazionale ed estremamente significativo sul piano qualitativo, «socio-antropologico», non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? È questo l' interrogativo che si poneva Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera del 31 agosto. Ebbene, di primo acchito non pare esservi altra ovvia e ragionevole risposta - non contemplata però da De Rita - a questa domanda che quella per cui i cattolici oggi in Italia contano quasi zero perché, accampati da ospiti e in piccoli gruppi, in tende di «altre» formazioni politiche, hanno perso qualsiasi capacità di incidere. In breve: la diaspora ha significato la sostanziale eliminazione dei cattolici dalla scena della politica. 
E ormai sotto gli occhi di tutti è l' inconsistenza di quel martellante refrain stando al quale il «compito politico» dei cattolici si risolverebbe nel dare la loro testimonianza in qualsiasi partito si trovino. Certo, non vi è nulla di più alto e di più nobile per un uomo che testimoniare a viso aperto i propri convincimenti morali. Tuttavia essere lì, pronti a testimoniare i propri ideali, ma sapendo di venire comunque sconfitti, non trasforma i consapevoli perdenti in ascari delle altrui soluzioni? 
Nulla di preoccupante, verrebbe da dire, dato che dalle parti più diverse e anche opposte si affacciano di continuo politici che solennemente dichiarano di essere proprio loro e magari solo loro, a rappresentare le istanze del popolo cattolico. 
Così, in una lettera al Corriere del 23 agosto il ministro Gelmini, con un divieto alla storia futura e un insulto alla verità di quella passata («È il Pdl il partito più sensibile ai valori cattolici»), ha affermato che è proprio l' attuale governo a mettere al centro «l' elemento che sta più a cuore al mondo cattolico, vale a dire la difesa e la promozione della persona e della famiglia». Non dubito minimamente delle buone intenzioni del ministro Gelmini, ma: la mancanza di asili infantili, l' assenza di una legge sul quoziente familiare, la carenza di migliaia e migliaia di posti letto per studenti universitari (ne servono 200.000) sono aiuti alle famiglie? In questi ultimi anni è morta una scuola libera quasi ogni giorno - e, dunque, che fine ha fatto, a parte le buone misure adottate da Roberto Formigoni in Lombardia, l' idea di buono scuola? È così che «un governo sensibile ai valori cattolici» difende la libertà delle famiglie di «scegliere», come diceva Rosmini, per educatori della loro prole quelle persone nelle quali ripongono maggior fiducia? E se la persona umana viene tante volte umiliata e proprio nel momento di maggior bisogno, in non pochi pronto soccorsi dei nostri ospedali, sempre la persona umana non esiste, scompare, in numerosi istituti carcerari Ed è proprio quel popolo cattolico, silenziosamente operante nel volontariato e nelle sedi della Caritas, ad avvertire, più di altri, il fetore razzista che emana da quei soffioni boraciferi costituiti da molte prese di posizione contro gli immigrati e contro i rom. No, ministro Gelmini, non è «l' imam della Lombardia» quella grande figura del mondo cattolico che è il cardinale Dionigi Tettamanzi; non sono «comunisti» e «sovversivi» né l' Avvenire né Famiglia cristiana. È semplicemente un comportamento da zerbini e non da uomini liberi sostenere, sempre e comunque, che è vero e giusto soltanto ciò che serve al partito. 
D' accordo con quel «laico in tutti i sensi» che fu Alessandro Manzoni, il cattolico liberale è contrario a quanti concepiscono lo Stato come un instrumentum religionis ed è ugualmente avverso a coloro che vorrebbero fare della religione un instrumentum regni. Non è, inoltre, un servizio alla famiglia e alla persona una tv pubblica asservita ai partiti e davvero «cattiva maestra». Non è liberale una legge elettorale dove quattro Caligola nominano un Parlamento e illiberali sono quelle proposte contrarie al grande principio dell' uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e pensate al fine di salvare i «potenti» dai tribunali; così come risultano estranei all' autentica tradizione del liberalismo tutte le contorsioni tese a limitare la libertà di informazione. «La libertà di cui parlo è la libertà di dir corna del prossimo e del governo e massimamente di questo, nei giornali e sulle piazze; salvo poi a pagare il fio, con adeguate pene in denaro o in anni di carcere, delle proprie calunnie ed ingiurie». Questo scriveva sul Corriere della Sera del 13 aprile 1948, quel liberale cattolico che fu Luigi Einaudi. 
Ha ragione De Rita a sostenere che il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica. Lui aggiunge che ciò è dovuto al fatto che «mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese». 
Su questa sua idea sono in pieno disaccordo, le cose non stanno affatto così. Il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica perché i cattolici del livello e del prestigio di De Rita - e ce ne sono - stanno da tempo lì, alla finestra, a guardare. 
Dove si sono rintanati - dalla prospettiva della politica nazionale - gli iscritti all' Ucid, i dirigenti dei Medici cattolici, i leader dei Giuristi cattolici, quei banchieri ed economisti cattolici che saltano da un convegno all' altro per parlare di merito, sussidiarietà, solidarietà e di economia sociale di mercato? In quale caverna si sono rifugiati intellettuali come Francesco D' Agostino, Andrea Riccardi, Renato Moro, Lorenzo Ornaghi, Giovani Reale, Flavio Felice, Francesco Paolo Casavola, Enrico Berti, Francesco Viola, Cesare Mirabelli, Stefano Zamagni e altri ancora? La truppa c' è: numerosa e motivata. Mancano generali e stato maggiore. 
Ed ecco, allora, che nel vuoto prodotto dalla «diserzione» dell' intellighenzia cattolica si agita quel manipolo di atei devoti - fenomeno politico e non religioso - tanto accarezzati da non pochi ecclesiastici. In fondo, il ragionamento dell' ateo devoto - chissà se folgorato e caduto da cavallo sulla via di Montecitorio - è il seguente: «Io sono ateo, perché provvisto di mentalità scientifica, perché sono razionale; tu cattolico, invece, dai il tuo assenso a delle favole; dunque, prendo le distanze dalla tua fede, rifiuto quello che più conta per te e ti uso per quello che mi servi». 
Atei devoti: devoti a chi, a che cosa? Un pensiero di Kierkegaard: «Iddio non sa che farsene di questa caterva di politicanti in seta e velluto che benevolmente hanno preteso di trattare il cristianesimo e di servire Iddio servendo a se stessi. No, dei politicanti Iddio se ne strafischia». RIPRODUZIONE RISERVATA
Antiseri Dario




Miano: «Unità dei cattolici sui problemi della gente»
Il presidente dell’Ac: affrontare l’inverno demografico e le sfide di famiglie e lavoro
DI MIMMO MUOLO

Impegno educativo e Settimane Sociali. Senza tralasciare alcuni importanti appuntamenti asso­ciativi, tra i quali un incontro con il Papa. È questo l’orizzonte sul quale l’Azione Cattolica Italiana lavorerà in questo periodo di ripresa delle at­tività dopo la pausa estiva. Ieri se ne è parlato nella riunione di presiden­za, al termine della quale il presi­dente nazionale, Franco Miano ha espresso ad Avvenire l’auspicio che l’agenda di speranza messa a punto in vista delle Settimane Sociali, di­venti patrimonio condiviso del Pae­se, non solo all’interno del mondo cattolico.

Presidente Miano, che autunno sarà per l’Ac?

Un autunno di grande impegno. I te­mi su cui stiamo lavorando sono gli stessi che più stanno a cuore alla Chiesa italiana. Impegno educativo e Settimane Sociali. Inoltre stiamo organizzando due appuntamenti particolarmente significativi per la vita della nostra associazione. Anzi­tutto l’atteso incontro dei ragazzi e dei giovani di Ac con il Papa, previsto per il 30 ottobre. Lo slogan sarà 'C’è di più' e vuole ribadire l’impegno ap­passionato dell’Azione Cattolica per le nuove generazioni, all’inizio del decen­nio dell’educazione. E ad Ancona, dal 10 al 12 settembre, si terrà il convegno dei presi­denti diocesani, pri­mo passo del nostro anno assembleare che si chiuderà a maggio con l’Assem­blea generale. 

A proposito di educazione e temi so­ciali, qual è l’agenda delle priorità del Paese secondo l’Ac?

Prima di tutto la questione della vi­ta. Penso ad esempio all’insistenza con cui il cardinale Bagnasco ha par­lato dell’inverno demografico. Pen­so alla famiglia, senza la quale la so­cietà si sgretola, come ricordava il presidente della Cei. E penso alla questione del lavoro, che significa dare risposte per la vita delle persone. In sostanza penso all’oggi un di più di impegno nella di­rezione della comunione ecclesiale. E questa comunione, nella vita del­le associazioni, dei gruppi, dei mo­vimenti, sta diventando sempre più il pilastro fondamentale su cui le di­versità legittime diventano ricchez­za dea del bene comune, che nella no­stra ottica parte dalla centralità del­la persona, della comunità, delle re­lazioni. Noi vogliamo contribuire af­finché il bene comune si traduca in provvedimenti concreti e ci sia una vita bella, buona e degna per tutti.

Il mondo e l’associazionismo catto­lico sono uniti su questi temi?

Il mondo cattolico è molto più uni­to di come i media lo rappresentano. E sono d’accordo con quanto soste­neva Giorgio Vittadini nell’intervista ad Avvenire di qualche giorno fa. C’è e non elementi di divisione. In questi anni c’è stato un cammino positivo da questo punto di vista, che ha favori­to l’incontro prima di tutto l’incontro sulle cose che contano.

Eppure c’è chi conti­nua a tirare la giacca ai cattolici, volendoli portare ora da una parte ora dall’altra? Quale deve essere a suo avviso il posto dei cattolici in politica?

Ritengo che il rappor­to tra gruppi movi­menti e associazioni cattolici e la politica debba avere come punti di riferimento anzitutto il Vangelo, la Dottrina sociale della Chiesa e il Magistero. Queste sono anche le bussole dell’Ac, che mette al centro la per­sona, la famiglia, il la­voro, l’attenzione al territorio e tanto im­pegno concreto. Una politica che mette al cento la persona è u­na politica che sfida la corruzione, una poli­tica in cui l’elemento della moralità è inelu­dibile e la dimensio­ne della legalità è im­prescindibile. E tutto questo non è di destra o di sinistra. Ma si po­ne semplicemente a servizio dell’uomo.

Quindi, dopo la sta­gione dell’unità politica e quella che è seguita alla sua conclusione, qua­le stagione lei auspicherebbe ora per l’impegno dei cattolici in politica?

Il cardinale Bagnasco, anche nei gior­ni scorsi, ha ripetuto il suo appello af­finché sorga una nuova classe poli­tica cristiana nei fat­ti più che nelle paro­le. Il modo migliore per rispondere al­l’appello del presi­dente della Cei cre­do sia quello di mantenere uno stretto legame fra le comunità e i sin­goli cattolici impegnati in politica, al fine di incoraggiare una presenza coerente con i principi professati. Ma a tal fine è necessario un cambia­mento di mentalità nelle nostre Chiese: e cioè non ritenere la di­mensione sociale e politica come marginale o destinata a pochi spe­cialisti, ma considerare la forma­zione a questi aspetti essenziale co­me per tutti gli altri momenti del cammino cristiano.

La stessa Azione Cattolica è anche un itinerario di educazione all’im­pegno sociale e politico perché di fatto è un luogo concreto di eserci­zio della socialità, della correspon­sabilità e della democrazia. Che co­sa è lecito attendersi da questo punto di vista dalla Settimana So­ciale di Reggio Calabria?

Mi attendo che il grande sforzo fat­to nella fase preparatoria intorno al concetto di bene comune venga tra­dotto in proposte concrete. Scuola, università, lavoro, impresa, fami­glia, vita, tutti i temi dell’Agenda di speranza, sono di vitale importan­za per il Paese. Dobbiamo dare il nostro contributo. Inoltre, compito della comunità ecclesiale è anche di non lasciare soli coloro che sono impegnati direttamente in politica, cercando momenti di confronto e di dialogo. Spero, dunque, che a par­tire da Reggio Calabria in ogni Chie­sa locale maturino queste convin­zioni, per costruire insieme un fu­turo migliore.

«Il nostro mondo è più coeso di quanto venga descritto nei media»

1 commento:

PEPPE ha detto...

Diego, meno male che ci sei!!!
Grazie come sempre del tuo coraggio nel donarci materiale per riflettere.
Vorrei tanto che lasciassimo la finestra ed iniziassimo a spalancare l'uscio di casa nostra per uscire a testimoniare che il CRISTIANO E' COLUI CHE NON SI FA I FATTI SUOI.