lunedì 2 febbraio 2015

Cattolici democratici, non basta Mattarella

Sarà un presidente cattolico? Siamo veramente alla rivincita della Democrazia cristiana? L'elezione di Sergio Mattarella come presidente della Repubblica riaccende il dibattito all'interno del cattolicesimo politico italiano. Sono in effetti domande impegnative. Però appare certo che quella cultura "democristiana a sinistra" di cui Mattarella è esponente autorevole abbia detto qualcosa all'Italia. Certamente con Mattarella quella cultura dimostra di aver formato politici all'altezza di essere riferimenti per la Nazione.
Tuttavia non parlerei nè di ritorno, nè di vittoria della Democrazia cristiana. Mi pare un po' troppo, specie in questo tempo di crisi materiale e morale.
Chi vive dal di dentro la vita di una formazione politica, sa bene quanto oggi i cattolici impegnati in politica vivano un vuoto politico culturale enorme, in assenza di riferimenti laici ed ecclesiali realmente credibili. Una condizione che inizia da dopo il Concilio e non oggi. Allora mi chiedo: essere cattolico, con il suo prezioso bagaglio di energie morali, umane, spirituali e culturali, ha forse scarso senso in questa temperie storica? Non penso. Anzi forse i cattolici italiani, calati nell'humus concreto del Paese, hanno ancora tantissimo da dire alla politica italiana. Il fatto è che oggi non sanno cosa dire. Non si tratta di programmi o cose da fare. Per venti anni, grazie al Progetto Culturale, il programma lo abbiamo avuto... ed era chiarissimo. Ma non è successo niente e le battaglie sono state perse, come quella sulla legge 40.
Allora il problema è più profondo: stregati da un contesto culturale edonista ed individualista abbiamo abdicato in questi anni alla nostra capacità di leggere ed interpretare realmente la realtà italiana. Papa Francesco invece ci indica risolutamente la via. È quella dell'ascolto attento, operante e dialogico nella ricerca della sinodalità che in politica si traduce in "democraticità" delle strutture politiche e dei partiti.
Il punto è: i cattolici oggi impegnati in politica in Italia sanno farlo?  Ed ancora: le nostre strutture formative ecclesiali (parrocchie, associazioni e movimenti) hanno l'obiettivo di formare laici autonomi e con la schiena dritta (obbedienti in piedi mi insegnava il mio presidente di Ac) oppure nella pratica le nostre alte aspirazioni si riducono a formare yes man del don o del mons. di turno?
A me pare che personalità del calibro di La Pira, Lazzati, Dossetti, Fanfani o Moro - esponenti di quella cultura politica che ha formato Mattarella - non fossero proprio degli yes man.

Allora il problema oggi è come ri-generare i cattolici alla politica. Con quale stile e con quali priorità? Infatti è inutile il richiamo a far rivivere la cultura "cattolico democratica" - che oggi sarebbe vincitrice. Quella cultura si è purtroppo consunta con la propria generazione. Non ha saputo rinnovarsi, passando il testimone ad una nuova generazione che autonomamente e responsabilmente ne continuasse la tradizione. Non è neanche demerito dei cattolici democratici. Semplicemente la storia è andata avanti e ha fatto venir meno alcune premesse per il formarsi e perpetuarsi di questa tradizione. Oggi in effetti sulla nostra generazione di cattolici in politica - sapete sono pro-tempore segretario di sezione di un partito e delegato della mia diocesi a Firenze - incombe la necessità dare risposte nuove all'altezza di questi tempi nuovi. Bisogna volare alto. Rinunciare a pensare che politica sia solo fare un cursus honorum che parte dal fare l'amministratore locale per arrivare sempre piu' in alto.
Bisogna porsi domanda alte, partendo dai luoghi più bassi, dalle piazze e dai campanili, perché solo partendo la lì le domande sono sofferte e le risposte vere. Ad esempio, i cattolici italiani per anni si sono divisi sui programmi rispetto alle varie formazioni politiche che hanno - per così dire - fecondato diventando irrilevanti. Hanno mai posto come discrimine delle proprie scelte di collocazione politica, la democraticità delle strutture di partito? Non hanno ceduto alle logiche personalistiche imperanti?! Hanno mai pensato che l'attenzione alle povertà (in una società in declino) fosse prioritaria? Hanno mai pensato alla grande importanza che tanti ormai attribuiscono alle tematiche ambientali o ad interpretare la nuova "cultura della rete"? Non è che qualche volta - io dico spesso - si sono fatti dettare l'agenda delle priorità dalle culture più laiciste, rincorrendo temi importanti ma non essenziali nella vita della stragrande maggioranza degli italiani? Perché la politica se non interpeta e legge la società concreta - quella con lo smartphone in mano - diventa una costruzione a tavolino irrilevante.
Sono solo alcune domande che dovrebbero essere all'ordine del giorno del convegno di Firenze 2015, per dare la svolta che questi tempi nuovi richiedono.

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