domenica 31 gennaio 2021

Airola: amministrative 2021

 

E’ un poco che non scrivo di quel che sento.

E’ sempre difficile parlare alle persone e spogliarsi un’attimo delle etichette.

Ci provo per parlare della mia città in questo tempo di fermento con la speranza di dare stimoli di riflessione…non su di me, ma sulla nostra comunità.

Ho sempre detto che il Signore ci chiama a fiore dove ci ha piantati. Fiorire e non appassire.

Inutile tacere sulle tante difficoltà che l’impegno politico e sociale incontra qui ad Airola!

Il diffuso scetticismo dei giovani ne è prova.

Spregiudicatezza, cinismo, ipocrisia, autoreferenzialità e puerili furbizie sono alcune di quelle miserie umane che agiscono come  un vero è proprio “diserbante selettivo” sulle aspirazioni più nobili e disinteressate, sulle intenzione più pure di servizio agli altri.

Ci vuole un niente per trasformare un servizio in un vero potere. Un nonnulla per demolire chiunque.

Oggi però vorrei spendere qualche parola di speranza ma anche di carità, se ci riesco.

Cinque anni fa in un comizio ebbi modo di dire una cosa che, almeno io, non ho dimenticato: “Sto qui proprio perché ho sentito interiormente un bisogno impellente di fare qualcosa di più per rendere più bella la comunità che amo: la città di Airola. Io ne sono innamorato e vorrei che tutti la amassimo visceralmente!...Amare la nostra città è prendersene cura, tutelandola e valorizzandola per renderla “una Comunità che si ama”. Airola non deve essere vista dai nostri giovani come un peso da cui sbarazzarsi per realizarsi, ma come una risorsa da curare e valorizzare”

            Già Airola, una Comunità che si ama, non peso ma risorsa.

Quante volte invece mi dico: non vengo capito, non mi si vuol capire, questa città non merita nulla.

            Lo sconforto assale ed assilla.

Questo contrasto tra speranza e sconforto mi fa porre alcune domande in questo tempo

Se mi lascio trascinare da questo sconforto amo Airola veramente? Amo me stesso? Prevale in me il sentimento del sé e l’idolo che mi sono costruito? Quanto amo la mia immagine sociale più della verità su me stesso che solo Dio conosce fino in fondo?

L’umiltà non si predica ma si pratica. La cosa peggiore che possa capitare ad un cuore che aspira ad essere povero in spirito per far spazio a Dio è abbandonare la speranza.

Non affidarsi al Signore, pensare che il cuore delle persone non può cambiare mai.

Abbandonare la speranze allora è un atto di superbia perché mette al centro l’io e non l’azione del Signore.

Secondo me è un punto fondamentale di discernimento per ogni tipo di impegno.

Mi direte cosa c’entra con le amministrative 2021?

Beh … spesso le chiacchiere, i buoni propositi, le strategie di questi giorni ci fanno perdere di vista che la politica, dentro o fuori i partiti, la fanno le persone e le persone hanno dei sentimenti, della passioni e delle idealità. Molto spesso invece si incasellano tutti in clichè maturati in contesti in cui “si parla di” e si evita di “parlare con”.

E’ questo il dato che si legge oggi in questa corsa tra le “solitudini” che scuotono la politica airolana in questi giorni. Tutti soli per cercare poi l’alleanza vincente, per stare nel mazzo di carte.

Attese, aspirazioni, progetti dove ciò che manca spesso è l’uomo, la persona, il parlarsi negli occhi. Anche chi ritiene di farlo, spesso ha una doppia morale, classificando alcuni e cancellando altri.

Chi osserva tutto questo non può non ritrarsi indignato!

Noi impegnati in politica ad Airola , dal più giovane al più anziano, dovremmo fare tutti un profondo esame di coscienza su quanto questo modo di procedere tarpi le ali alla comunità e la insterilisca.

Capirete allora quanto questa riflessione sia attuale.

Vedete, rispetto a qualche anno ha ho maturato una certezza: prima dei programmi e dei nomi, vengono gli uomini e le persone e solo la capacità andarsi incontro e mettere da parte tante cose, potrà aiutarci a scorgere il meglio di noi, per farci tornare alla speranza capendo che Airola è la parte migliore di noi perché la amiamo.

mercoledì 2 gennaio 2019

Sono Partito Democratico e non torno indietro?


            Ha senso continuare l’impegno nel Partito Democratico?
            E’ la domanda che ormai da qualche tempo mi sollecita continuamente la riflessione, mentre la storia di questa formazione politica in cui ho scelto di militare per la prima volta ormai dal 14 ottobre 2007 va avanti.
            E' una domanda che mi si ripresentata ancora di nuovo dopo la lettura del messaggio per la Giornata per la Pace on questo passaggio: Quando l’esercizio del potere politico mira unicamente a salvaguardare gli interessi di taluni individui privilegiati, l’avvenire è compromesso e i giovani possono essere tentati dalla sfiducia, perché condannati a restare ai margini della società, senza possibilità di partecipare a un progetto per il futuro. Quando, invece, la politica si traduce, in concreto, nell’incoraggiamento dei giovani talenti e delle vocazioni che chiedono di realizzarsi, la pace si diffonde nelle coscienze e sui volti. Diventa una fiducia dinamica, che vuol dire “io mi fido di te e credo con te” nella possibilità di lavorare insieme per il bene comune. La politica è per la pace se si esprime, dunque, nel riconoscimento dei carismi e delle capacità di ogni persona.”
            Quante volte in questo percorso mi sono scontrato con interessi individuali o aspirazioni personali che nulla hanno a che fare col bene di tutti? Tante! Ho ceduto? Si!
            L'ho fatto per un mio tornaconto? Non mi pare, semmai per un eccesso di mitezza, più che altro!
            Ho incoraggiato talenti? Si, mi è capitato. Ho dato fiducia? Spesso.
            Tutto questo l’ho vissuto militando in questo partito, perché ero, o meglio sono, convinto, che oggi più che mai la frontiera dell’impegno politico è nei partiti.
            Del resto, ormai conoscendone molto bene pregi e difetti, posso dire che il PD è casa mia e tuttavia devo anche ammettere che non è la casa che volevo io.
            Infatti non ho mai digerito l’impostazione personalistica data da Veltroni al PD dal lontano 2007.
            Il PD che ho in mente io è un partito comunità erede di grandi tradizioni politiche, un  partito che non è costruito a nessun livello intorno a figure carismatiche. E’ un partito in cui l’organizzazione è importante.
            E’ un partito che ha al centro dei suoi pensieri, quella che per me è la sintesi moderna degli aneliti della tradizione del cattolicesimo politico e del riformismo comunista, ossia tre cose: lotta per l’uguaglianza, lotta alla povertà e difesa dell’ambiente. Un partito che per questo sceglie di mettere al primo posto lavoro, istruzione e sanità che sono i tre ambiti in cui si gioca l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini. Lo immagino come il partito che porta ad una sintesi, dopo il 1989, le culture repubblicane che hanno dato vita alla Costituzione. Oggi, specie di fronte alla deriva populista, c’è sempre più bisogno di un partito così: nazionale popolare e democratico. Costituzionale!
            Lo immagino come un partito del popolo e con il popolo che sa ascoltare e dove, prima delle cordate, esistono le persone che si incontrano per servire il bene comune. Un partito dove coltivare i talenti, proprio come insegna Francesco.
            Beh lo so! Un partito così non esisterà mai. Mia figlia me lo ricordava ieri dicendomi che per lei PD significa Passato Democratico. PD non  è di moda, è kitch le ha fatto di rimando il fratellino!
            Però mi chiedo: esistono in Italia altre organizzazioni politiche che si avvicinino di più ad un partito, oltre al PD?!
            Qui sta il punto. Oggi esistono nell’agone politico i leader ed i loro seguaci. Il popolo è un pubblico ed ogni discussione è segnata dal tifo e non dalla volontà di confronto. Mi sono sempre chiesto se sia veramente morale per un politico militare in un partito dove esiste solo la “legge del Capo”.
            Questa domanda mi arrovella da tempo e penso che dovrebbe interrogare anche tanti cattolici pensanti che si vedono in giro. Martinazzoli diceva che se non è più un dogma l’unità dei cattolici, non lo è neanche la diaspora. Eppure io mi chiedo: è moralmente giusto davanti al Signore militare in partiti personali?! Qui scattò la molla del mio impegno tanti anni fa! Io non posso farci nulla in un problema tanto grande, ma posso, come insegna Romano Guardini, fare la mia piccola parte per il pezzetto di mondo che mi è affidato. Per questo ho scelto questa strada di impegno gramo e mal compreso da dirigente di partito. Un impegno che, lo assicuro, è poco gratificante in questo contesto carismatico e leaderistico.
            L'ho scelto perchè sono convinto che oggi la vera frontiera dell’impegno politico, di fronte alla crisi della Politica, è far funzionare i partiti come palestra dove con metodo democratico si concorra a determinare le scelte della Politica.
            Ci sono riuscito nella mia sezione? Non lo so proprio! E’ tanto difficile. Lo spettro del fallimento mi perseguita, ma mi ostino coltivando il desiderio di essere piccolo segno di speranza per altri che sapranno fare meglio di me. Me ne sono accorto strada facendo, commettendo errori e ricominciando ogni volta daccapo in una lungo e difficile percorso dove la cui cifra è stata la fatica; un cammino in cui ho incontrato resistenze ma anche vicinanza e sostegno. L’ho fatto per 10 anni da militante del PD.
            Però, proprio in virtù di questa esperienza,  ne resto ancora e sempre più convinto: i tanto bistrattati partiti, oggi sono la chiave per incanalare energie positive. Devono quindi ricominciare a funzionare come “membra” vive della società.
            Una società politica infatti senza partiti, ossia corpi intermedi in cui avvenga l’elaborazione pensata e partecipata della proposta politica, approda ad uno stadio di “regressione”, come le cronache ci ricordano. Il popolo diventa pubblico, il confronto scontro tra tifosi. Eleviamoci allora!
            Per questo concludo concludo, dicendo che vorrei tanto oggi saper rispondere alla domanda iniziale ma ammetto di non saperlo ancora.
            Mi trovo a camminare su un piccolo sentiero irto e pericoloso, non so dove arriverò ma oggi mi pare l'unico percorso che potrà condurci ad una meta.
            Quindi resto in cammino...

domenica 16 luglio 2017

UNA CHIAMATA ALLA BATTAGLIA


Una lettera per credenti adulti nella fede: è questa l’impressione che ho ricavato dalla lettura della prima lettera pastorale del mio vescovo, don Mimmo Battaglia. Il vescovo ha così voluto tracciare il nostro cammino ecclesiale per i prossimi tre anni. “Alzati, ti chiama” infatti non è solo un motto episcopale, è una vera e propria chiamata alle armi, a stare ritti in piedi! Don Mimmo non scherza. E’ una chiamata alla battaglia, se mi si lascia passare il gioco di parole.
La mia prima risposta interiore è stata: Diego, qui si fa sul serio e tu non sei abituato. Forse non lo è nessuno di quelli che conosco.. Poi però mi sono detto, memore dell’intervista di Martini del 2012, che il vento dello Spirito in questi anni sta soffiando forte sulla Chiesa. Qualche anno fa infatti sognavouna Chiesa che finalmente dopo questi primi cinquant'anni di rodaggio, riesca a lasciarsi dietro tutta questa "distrazione" e punti risolutamente e speditamente verso la meta di una risoluta e bella coerenza evangelica, sulla strada indicata dal Concilio. (http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1015).
Oggi la mia Chiesa parla apertamente di sinodalità e prossimità, libertà e povertà! Non che prima non lo facesse. Anzi! Lo faceva però in modo diverso. Non che prima la mia Chiesa non camminasse! Lo faceva ma in un altro modo.
Proprio perché eravamo tanto affezionati a quel modo di camminare  e parlare, a quello stile…  ora non sarà semplice. Non siamo abituati!. La Chiesa "chiamata alla battaglia" oggi tenta di lasciare indietro le "distrazioni", abdicando agli  equilibrismi sterili. Come Bartimeo si sta sollevando ma ancora non vede tutto chiaro. Personalmente lo ammetto: non sono abituato. Ma mi abituerò...proprio come mi sono abituato a seguire il Signore quando sentii la sua chiamata alla conversione. E' facile, basta ascoltare. Tuttavia non è semplice perchè il cammino di Battaglia è un vero cammino insieme e sinodale..
Proprio per questo don Mimmo ci dice che “la stagione che andremo a vivere sarà caratterizzata da molta fatica e dalla difficile gioia dei piccoli risultati. Saremo chiamati a svolgere un enorme lavoro di semina” …ed ancora “senza sinodalità la comunione resta uno slogan svuotato del suo significato” …e poi “il dialogo prevede possibili conflitti che non possono e non devono essere vitati o ignorati. La conflittualità è parte integrante di questo processo di rinnovamento.. Se ci impegnamo a risolverla insieme allora essa si trasformerà in un anello di collegamento di un nuovo processo”… ed infine ”E’ prioritario allora entrare in questo dinamismo senza la pretesa di giungere a risultati immediati, ma nel confronto e nella preghiera personale e comunitaria impegnarsi e maturare insieme uno stile ecclesiale di reciproco ascolto”  (pag. 49 e ss)
La chiamata di don Mimmo allora non è una esortazione irenica a stare in pace ed evitare conflitti. Men che meno una chiamata a correre verso mete irraggiungibili. E’ una chiamata a condividere e guardarsi negli occhi l’un l’altro per puntare con risolutezza alla Chiesa bella, come voluta dal Concilio. Le sue coordinate sono chiare: sinodalità, prossimità, libertà e povertà.
Quattro sostantivi, quattro attenzioni, quattro stili. Dobbiamo sforzarci tutti laici e sacerdoti ad esserne all’altezza, fidandoci l’uno dell’altro. Solo così tra tre anni avremo misurato passi in avanti  La lettera su questo ci da ancora una mano: “ Usciamo dalle nostre chiusure inutili per orientarci a traguardi di luce. Purifichiamo nella continuità della vita, le ragioni delle nostre scelte, della nostra presenza nella Chiesa e nel mondo, del nostro modo di narrare e vincere il vangelo liberandolo dall’inerzia di un devozionismo sterile”

Già! Purifichiamo le ragioni delle nostre scelte! Che bella espressione! Iniziamo allora a vivere con nuovo slancio i luoghi della corresponsabilità ecclesiale, come i consigli pastorali etc.! Noi laici così ci sentiremo pienamente coinvolti nella missione della Chiesa, ed i nostri amati sacerdoti sentiranno meno la fatica del servizio alla comunità. La strada adesso è indicata. Pare un sentiero stretto ed irto. Sta a noi allargarlo e renderlo una strada comoda per tutti. Basta poco per allargare questo sentiero: serve dilatare il cuore e fidarsi l'uno dell'altro! Io la mia parte la garantisco.

martedì 4 luglio 2017

Milano che dice?

            Al mio ritorno dal Forum Nazionale del PD di Milano, un caro amico mi fa: "Diego Milano che dice?" Al mio amico avrei voluto dire tanto ma mi sono preso un pò di tempo per riflettere.
            Già!. Cosa dice Milano? A me la kermesse meneghina ha suggerito che il PD esiste ed è strutturato. Pensa e dibatte. Tuttavia resta il magone per un evento organizzato più come una kermesse ad uso e consumo dei media, che non come un luogo di discussione. Ho messo da parte impegni e tempo in un week end estivo per esserci. Oggi però mi sento arricchito dall'esperienza ma non la considero appagante nè soddisfacente. Si deve fare di più!! La discussione (ovvero il susseguirsi di interventi dei segretari nei gruppi) in effetti c'è stata dalle 19:30 in poi. Il mio gruppo ad esempio è finito alle 23:00. E' stato il più lungo ed ha prodotto solo tre ore di interventi senza una sintesi condivisa. Infatti non c'è stato ritorno in plenaria, nè dibattito col segretario nazionale. Non c'era tempo e forse no lo si riteneva utile
            Capirete allora perchè al mio amico ho risposto: "Meglio non parlarne, forse è solo una mia impressione!" Poi ci ho ripensato ed allora condivido quella che è la mia impressione. Una impressione che tale vuol rimanere: l'impressione riflettuta di un segretario di un piccolo circolo di 100 iscritti del sud che ha fatto 800 km per stare a Milano. Un semplice punto di vista che non vuole essere esaustivo di nulla.
            Oggi in effetti il mio partito è al guado. Deve decidere cosa vuol diventare: un partito decisionista del leader oppure un partito condividente della comunità. L'impressione e che mi porto da Milano è che il PD con Renzi stia scegliendo la linea delle condivisione comunitaria a cui però dobbiamo ancora educarci ed abituarci. Non è semplice generare nuovi paradigmi dopo vent'anni di sbornia personalista in cui ci hanno detto in tutti i modi che la soluzione è il leader che decide!. A Milano infatti ho visto una base che cerca luoghi di confronto e discussione ed un vertice che vuole crearli, però "senza " i rischi del confronto. Questo il senso del guado. Infatti quando apri al confronto ed alla condivisione, devi accettare il rischio della polemica, di ore di discussione, di dibattiti che possano essere inconcludenti. Aprire al confronto qundi non basta. Occorre infatti saperlo gestire e soprattutto esserne intimamente all'altezza. Non è da tutti farlo. Spesso infatti viviamo in questa tensione tra la volontà sincera di aprirsi e la nostra incapacità a gestire l'apertura. Il confronto è quindi visto come necessario ma vissuto comunque con fastidio per cui per i più va "irregimentato". Guai poi a sollevare, come io ho fatto nel gruppo Casa PD, una semplice questione: chi sta in segretaria nazionale deve avere la tessera. Subito si è notato alla presidenza del gruppo il fastidio per aver toccato un tasto dolente. Comunque in questi anni, vivendo da cima a fondo la vita del PD locale, mi sono convinto che due sono i problemi che vive il PD. Lo avrei voluto dire a Milano ma purtroppo i tempi erano molto più che europei per un povero segretario che ha fatto l'errore di fare un semplice critica sentendosi dire: "perchè a te cosa toglie?". Già, cosa mi toglie che sieda a dirigere il partito nazionale un assessore calabrese bravissimo ma senza tessera?! Nulla! Solo la mia dignità di iscritto che oggi non ha sempre il peso dovuto..
            Comunque  - sempre per rispondere al mio amico, visto che ora ci sto prendendo gusto - a questo punto condivido con chi mi vuol seguire o dedicarci un poco di tempo quei due problemi che avrei voluto sollevare a Milano. Sono problemi che non sono riconducibili alla leadership di Matteo Renzi che non ne è la causa ma ha comunque la responsabilità politica di una soluzione.
            Il primo problema lo chiamerei impermeabilità. Infatti è un fatto che oggi i vari livelli decisionali del partito (circoli, provinciale, regionale e nazionale) sono tra loro impermeabili. Non c'è un rapporto di sintesi e di osmosi tra i vari livelli del partito. E' difficile per il livello locale interloquire con livelli sovraordinati che non siano il provinciale e lo stesso per i successivi livelli. Il problema si crea anche dall'alto verso il basso dove l'unica possibilità di interlocuzione resta il rapporto personale. Del resto ogni risposta articolata a questa problematica non è soddisfacente per un semplice motivo: si pensa che il cambiamento necessario coli dall'alto per caduto e non proceda dal basso per convinzione. Gli orti e orticelli, le satrapie e i feudi quindi non vengono toccati. Il risultato? Molto spesso  i livelli di base (le sezioni) si sentono soli. Qui poi nasce il secondo problema: l'eccedenza sul momento istituzionale. E' un fatto che spesso il PD venga narrato come un partito di amministratori che per definizione sono  quelli che stanno in mezzo al popolo. Tale narrazione produce, specie a livello locale,  una eccedenza del livello istituzionale nelle scelte del partito. Tuttavia se ciò potrebbe essere positivo, nei fatti non lo è. Gli amministratori spesso vengono votati dai cittadini per la propria persona e non per la propria idea in liste civiche e raramente riesco a trasferire questo consenso personale al partito. Occorre quindi un riequilibrio i quanto la sintesi del ragionamento è che i segretari di circolo spesso si sentono soli e schiacciati dal momento istituzionale.
            Solo se hai una tempra forte e resistente, riesci ad andare avanti, a costo di fatiche e dispendi di risorse economiche, fisiche, mentali e di tempo. Le strutture sovraordinate le vedi comunque sempre più lontanissime ed irraggiungibili. Questa la condizione da cui il quinto segretario del PD, Matteo Renzi, ha il compito di trarci.      I segretari di sezione nel PD sono considerati sempre figli di un dio minore, i polemici di turno. Vengono mobilitati per banchetti e gazebo. Spesso sono chiamati ad iniziative del personaggio del giorno. Già, questo PD è il "partito di un personaggio al giorno"! Quanti pseudo leader sono nati e morti in questi anni, il tempo di battito di farfalla; leader a cui le sezioni devono prestare sostegno e mobilitazione. Poi ti trovi ad esempio in Campania che il mio capolista alle politiche Letta, che una volta si candidò a guidare il PD, oggi non si fa più l tessera e quando può spara sul partito che voleva guidare insieme a Bersani il mio vecchio segretario che lo paracadutò in Campania ed oggi guida una scissionee. Ma di cosa parliamo!? La verità è che i segretari di sezione in questo partito devono sempre lavorare sempre il doppio per essere ascoltati, certi solo di essere oggetto della critica mordace degli iscritti che condividono con loro questa situazione oltremodo frustrante.
            Eppure ci siamo! Ve lo chiedete perchè ci siamo?! Perchè crediamo che la politica, quella vera, passi per i partiti e che i partiti debbano funzionare al meglio. Quindi toglietecvi i cappello quando passa un segretario di sezione del PD! E' uno che soffre e fa politica per passione, uno che sta tra la gente e ci butta il sangue per questo partito.
            La  domanda è: chi ci guida oggi ha l'umiltà di comprenderlo ed accostarsi con attenzione e cura ai segretari?! Registro solo un dato: da anni ci viene detto che i segretari sono il cuore pulsante del partito ma ci hanno convocati solo una volta a Milano per parlarci e dirci seguiteci (ancora una volta e lo faremo!), non per ascoltarci. Chissà se mai ci sarà il giusto tempo per essere ascoltati e contare veramente nelle scelte, in un tempo che corre troppo veloce ma spesso senza senso.
            Oggi infatti il problema del PD è di una semplice banalità: occorre far contare veramente i militanti a partite dalla scelta dei parlamentari. Ci vogliono primarie serie sin da oggi regoilamentate. Solo così il PD sarà un partito nel quale vale la pena iscriversi per l'elettore di centrosinistra che oggi vuole solo una cosa: decidere e contare. Questo avrei detto a Milano se avessi avuto tempo.
            Comunque, non voglio essere etichettato come il solito criticone, visto che  a Milano ho principalmente condiviso nel mio intervento in gruppo l'esperienza del mio circolo e fare qualche proposta....per dire ai miei amici e compagni della base democratica che a volte se si ha caparbietà e costanza i cambiamenti arrivano, lentamente, ma arrivano.
            Infatti alle scorse amministrativa la mia sezione si è inventata un percorso molto semplice: il #parlatiascolto. E' stato un momento fondamentale per la nostra politica locale.  Da questo percorso programmatico partorito in sezione è nata la lista civica Airola Bene Comune (con 9 iscritti al PD e 3 di area civica) che ha vinto col 65% le elezioni comunali. Il programma che è stato strutturato su una serie di criteri e possibili azioni da intraprendere. In questi giorni stiamo effettuando già la verifica del primo anno di mandato ed il partito ha interloquito in maniera vivace con proposte ad esempio per la redazione del Piano Anticorruzione Comunale. Un'altra piccola esperienza è invece il nostro gruppo Whatapp degli iscritti. Non è una novità di certo! Penso che ce ne saranno tantissimi in giro. Immagino che tutti quelli che abbiano affrontato questa formula di partecipazione e discussione si siano trovati di fronte al problema di arginare possibili derive della discussione oppure evitare che il gruppo diventi uno sfogatoio. Nel mio caso ad esempio vi una minoranza molto attiva. Noi ci siamo quindi posti il problema insieme ed il coordinamento di sezione ha fatto un codice deontologico che per l'uso del gruppo wa. Devo dire che molto fa l'impegno del moderatore e degli iscritti. Però a noi il codice ha dato una mano forte.        Una semplice proposta che poi ho portato è stata quella di formare i quadri dirigenti alla comunicazione web e social dove spesso soffriamo una maggior preparazione e compattezza del grillismo che hanno tecniche di comunicazione studiate.

            Queste quello che Airola avrebbe voluto dire se avesse avuto tempo e quello che ha detto a Milano. Milano per ora non so che dice.

martedì 18 ottobre 2016

IL BAMBINO E L'ACQUA SPORCA.


Caro amico indeciso sul se e come votare al referendum,
la riforma costituzionale su cui siamo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre 2016 tocca 47 articoli della Carta e ne modifica nella sostanza 29, introducendo alcune novità nell'assetto dei rapporti tra organi costituzionali senza modificare la parte programmatica della Costituzione. Non vengono ad esempio toccati i primi dieci articoli e nemmeno principi saldi come quello di libertà di pensiero ed associazione oppure quel bellisimo articolo 41 che sancisce il principio della utilità sociale della proprietà privata. E'tuttavia inevitabile che possa esserci una qualche imperfezione quando si toccano tantei temi. Potremmo stare ore ed ora a discutere sulle formulazioni ed illustri accademici lo hanno fatto con maggior cognizione di causa di me che scrivo e di te che leggi. Io però penso che la domanda da farsi insieme a te, che ora ti interroghi se e come votare, sia: è giusto buttare il bambino con l'acqua sporca?
Pensaci! Questa riforma nasce da una esigenza vera del sistema democratico italiano. In effetti a costituzione vigente nel 2016, il parlamento è spesso espropriato delle sue capacità decisionali attraverso l'abuso della decretazione d'urgenza e della questione di fiducia. Il governo non riesce ad emanare i regolamenti attuativi delle leggi in tempi accettabili. Su tali punti più volte sono intervenuti i Capi dello Stato e la Corte Costituzionale. Spesso con la pratica dell'emendamento omnibus e della reiterazione dei decreti leggi si è arrivati a snaturare l'istituto legislativo del decreto legge. Molte leggi subiscono iter alquanto accidentati e lunghi a causa della cosiddetta navetta tra Camera e Senato. L'intento della riforma è propri porre argine a questi problemi, passando ad un bicameralismo temperato, introducendo istituti come la legge "a data certa", costituzionalizzando alcuni principi in tema di decreto legge, apportando sostanziose modifiche al Titolo V riguardante la legislazione concorrente e costituzionalizzando il rapporto Stato/Autonomia attraverso il nuovo Senato. Il Parlamento ha poi introdotto nuovi istituti di partecipazione diretta come il referendum propositivo..
Non nego però che vi siano imperfezioni, specie sull'assetto del nuovo Senato, di cui gli amici del fronte del No sanno ben mettere in luce gli aspetti.
Ma la domanda che mi sono fatto è: conviene , dopo tanti sforzi del parlamento e tanti fallimenti di bicamerali e comitati di saggi, buttare via il bambino con l'acqua sporca?
Io penso che oggi invece convenga a tutti tenersi il bambino con l'acqua sporca, con l'intento di chiarificarla. In effetti questa riforma a differenza di altre non incide sui poteri del Governo (non si parla più di semipresidenzialismo o premierato forte come nel 2006 o nel 1998) e introduce nuovi istituti di partecipazione diretta. Del resto penso che non sia una idea "insana" pensare che dopo tanti sforzi, questa riforma sarà il primo vero passo che darà l'abbrivio ad una stagione riformatrice dell'Italia. La prossima Campagna Elettorale potrebbe allora giocarsi tutta su questi temi, dando un mandato molto forte al futuro parlamento.
Perchè allora non pensare in positivo, dando una chance alla'Italia?
Detesto appiattire le posizioni avversarie, tuttavia è un fatto che votando no si da un segnale: il sistema va bene così com'è. Invece così non è. Lo sappiamo tutti e l'alternativa dei sostenitori del no non è univoca, anzi. Nulla unisce 5stelle, lega, forza italia, Sinistra Italiana e D'Alema.

Per il resto Renzi aveva commesso un errore personalizzando la sfida. Lo ha emendato con umiltà. Oggi in effetti ci troviamo di fronte ad una riforma votata in due anni per 6 volte da un parlamento che ha votato corpose modifiche specie in tema di allargamento degli istituti di partecipazione diretta (referendum e proposte di legge popolare). Non è la riforma di Renzi. E' la riforma proposta dal governo guidato da Renzi votata e modificata dal Parlamento e sottoposta al voto popolare grazie alle firma raccolte dal PD. Più democratica di così?! Pensiamoci.

domenica 22 novembre 2015

Dopo Firenze

Vivere il Convegno Nazionale Ecclesiale a Firenze è stata un grande emozione, non solo per lo stile semplice e fraterno delle relazioni vissute, specie con la mia delegazione diocesana e gli amici del mio tavolo N1. Ho potuto in effetti toccare con mano quanto sia importante il confronto ecclesiale. Qualcuno mi dirà: “A Firenze abbiamo ascoltato le stesse cose di Verona o Palermo”. Beh, non c’ero e non potrei giudicare. Tuttavia mi è possibile condividere ciò che ho vissuto e ciò che mi porto a casa.
Innanzitutto ho vissuto da delegato alcune sensazioni molto forti.
La prima è stata la grande emozione della Cattedrale di Santa Maria in Fiore durante il discorso del Papa, interrotto da quasi trenta applausi. Francesco ha dato alla Chiesa italiana tre consegne: umiltà, disinteresse e letizia. L’ha anche messa in guardia da due pericoli: il pelagianesimo e giansenismo. Un discorso all’altezza delle nostre aspettative.
L’altra sensazione è stata quella di un clima “senza pretese”. Molti di noi avevano i piedi ben piantati in terra. Il convegno è stato un momento importante di passaggio. Tutti ne siamo stati consapevoli, ma tutti sapevano che non doveva e poteva essere risolutivo. Ci aspettavamo l’indicazione di una strada e così è stato. Un esito importante. In questo senso è stato un Convegno molto “a misura” d’uomo.
Infine l’ultima sensazione colta è stata quella di toccare la volontà di tutti di essere costruttivi, impegnandosi a far riuscire il Convegno. Nessuno ha voluto prevalere – parlo almeno per le discussioni a cui ho partecipato- e tutti volevano con-dividere e confrontarsi sinceramente.
Dal punto di vista strettamente ecclesiale, guardando alle relazioni di Nosiglia e Galantino, appare evidente che l’intento era quello di acquisire un metodo ed uno stile, quello che abbiamo chiamato sinodalità.
In effetti quello che si è respirato nei gruppi è stato proprio questo: un voler camminare insieme laici con presbiteri, presbiteri con presbiteri, laici con laici. Ad esempio nel mio tavolo c’era un vescovo, un sacerdote,una suora, due membri di Cl, due dell’Ac e persone impegnate nel sociale con progetti di affido e case famiglia. E’ un aspetto che ho messo a fuoco anche dopo nell’ultimo incontro MEIC in diocesi. In effetti sinodalità non è solo camminare insieme laici e presbiteri, ma anche che camminino insieme tra laici oppure tra sacerdoti. In questo senso occorre superare le reciproche “indifferenze” dell’uno rispetto all’altro.
Il clima respirato ha quindi dimostrato che con impegno e cura, è possibile raggiungere un frutto di reale condivisione. Mi si dirà che il convegno ha prodotto una marea di chiacchiere e di carta. E’ vero. Anche io fatico oggi ad orientarmi tra tutte le relazioni. Tuttavia tutti ce ne siamo andati con la decisiva sensazione che tra quelle chiacchiere e quella carta c’è un pezzetto a cui anche noi abbiamo contribuito. E’ una conquista di non poco conto! Infatti partecipare ai processi di analisi e sintesi è uno dei paradigmi più importanti del sentire attuale. La Chiesa Italiana a Firenze, mettendo  2200 persone a discutere in tavoli da 10, ha dimostrato di saperlo fare, facendosi esempio e paradigma per tanti.
Sarà difficile dopo Firenze, affermare nella concretezza pastorale delle nostre comunità che queste modalità “partecipative” non sono possibili. Ormai penso che a Firenze un dato sia stato acquisito.
Quanto infine al concreto della mia via, ero nel gruppo Abitare.
Abbiamo discusso di alcune cose che poi sono tornate nelle relazioni finali. Ne estrapolo alcune che sono di mio maggior interesse. Innanzitutto è emerso che abitare vuol dire stare nelle relazioni e conoscere il proprio territorio. Abitare significa non sentirsi “i padroni” del mondo. Abitare è anche accogliere le diversità. Abitare è infine accompagnare.
Un verbo quest’ultimo che si declina anche nell’accompagnamento di quelle “povertà per noi inaspettate”, come quelle di chi si impegna in politica o nel campo produttivo come gli imprenditori. Sono realtà a cui spesso chiediamo cose, ma che non accompagniamo come comunità ecclesiale con vicinanza fraterna e stile amicale.
Tra tante cose è emersa anche l’indicazione di una concreta prassi, quella della trasparenza. Così la relazione finale del mio gruppo Come cristiani non dobbiamo sentirci padroni ma amministratori dei beni che abbiamo e dei luoghi che abitiamo e lo dobbiamo fare con uno stile di trasparenza”
E’ una riflessione che ha trovato eco anche nella sintesi finale del prof. Fabris: Emerge la necessità di un impegno diffuso, di un cristianesimo vissuto a tutti i livelli e testimoniato quotidianamente, nella trasparenza dei comportamenti. Questo chiede anche un uso dei beni e di ciò che la Chiesa amministra secondo la radicalità evangelica”
Non mi soffermo oltre, anche perché in termini di proposte e dibattiti i documenti prodotti dal convegno ecclesiale di Firenze sono più che esaustivi. Voglio però concludere con due episodi che mi hanno dato da pensare. Un vescovo in una discussione ci fa: “Siamo costretti a ripetere cose che sono già scritte nei documenti e nei codici!” ed un altro vescovo fa: “Mi sembra di sentire le stesse cose di Verona e del Concilio!”.
Ci ho pensato molto a queste parole. Magari come qualcuno ha detto in plenaria, potremmo “sentirci allora inutili”. Il nostro sarebbe stato un “convenire” sterile. Penso invece che parlarsi, dirsi le cose, convincersi del sentire comune dei più sia un importante puntello all’azione pastorale che siamo chiamati a coltivare nelle nostre comunità. Adesso siamo tutti chiamati, laici religiosi e presbiteri ad attuare le indicazioni di Firenze,specie per un cammino di sinodalità e trasparenza, sempre più vicino alla vita della gente.

Allora la domanda che rivolgo a me stesso per prima e poi a tutti noi - Chiesa radicata nella mia Nazione, nella mia Regione, nella mia Diocesi e nella mia parrocchia - è la stessa che ho ascoltato, sulle note di Laura Pausini, qualche sera fa durante un momento di riflessione sull’insensatezza del terrorismo, organizzato dai giovani di Ac nella mia parrocchia: “ma che senso ha ascoltare e non cambiare!?”

lunedì 24 agosto 2015

Verso Firenze 2015

Essere delegato al Convegno Nazionale di Firenze per la mia piccola Diocesi è un impegno stimolante che mi spinge in questo periodo  a riflettere molto sul momento attuale della Chiesa italiana, dal mio piccolo punto di osservazione  di laico da sempre ecclesialmente impegnato, da qualche tempo prestato alla “vita da militante” di uno dei tanti vituperati partiti politici. In un piccolo paese del sud.
Nato in un contesto ecclesiale diverso, ancora segnato dall’approccio che voleva una Chiesa “presente” nel dibattito pubblico con un preciso programma valoriale incentrato sui cd “valori non negoziabili”, oggi il Convegno fiorentino promette di essere una nuova “Loreto 1985”. Il dibattito ormai è aperto. Tutti ci chiediamo cosa emergerà da questo dibattito pubblico della Chiesa italiana. Si preannuncia un intervento di papa Francesco il 10 novembre che segnerà sicuramente una svolta. La stessa organizzazione dei lavori promette una discussione ampia tra i delegati da tutte le diocesi d’Italia. Quale svolta ci attende? Può essere un ritorno a prima di Loreto, come alcuni possono augurarsi? Non credo. Dobbi9amo sintonizzarci sui tempi nuovi che non sono quelli di Lazzati, Scoppola, Sorge e Bartoletti.
Intanto mi sembra utile riportare alcuni umori raccolti in giro per le parrocchie della mia diocesi.
Infatti in diocesi abbiamo già riunito alcuni operatori pastorali per riflettere e lo faremo anche nel prossimo convegno diocesano. Anche i sacerdoti hanno riflettuto tra di loro. Dai primi incontri a cui ho partecipato, per portare a Firenze il pensiero di tutti e non il mio, ho visto in molti laici - quelle persone semplici che dedicano il proprio tempo libero ed i propri personali sacrifici alla pastorale, costituendo l'asse portante delle nostre parrocchie- un forte interesse per questo momento ecclesiale. C’è stato entusiasmo nel riflettere nei gruppi sulle cinque vie che animeranno il dibattito nel convegno. Soprattutto ho letto in tutti una grossa fiducia in papa Francesco e nella coerenza dei gesti che lui sa impersonare. In molti c’è la presa di consapevolezza che come laici non dobbiamo farci condizionare dalle culture dominanti e dobbiamo prendere l’iniziativa senza aspettare di poter essere una massa, proprio  nella logica del piccolo gregge e nella consapevolezza che la nostra grande forza è la conoscenza del nostro territorio. Una conoscenza che ci permette di abitarlo facendoci prossimi a tutti. C’è tanta voglia di uscire dalle sagrestie! In alcuni è emersa la voglia di comprendere come possano costruirsi relazioni che scoprano “una gioia della gratuità solida e duratura?” (la seconda domanda della via Educare). Aspettano le risposte di Firenze! Molti chiedono di moltiplicare i momenti di riflessione e ascolto comunitario della Parola. Del resto posso testimoniare tangibilmente che nella mia piccola realtà parrocchiale spopolano i gruppi whatapp tra i fedeli. C’è quello del coro, quello dell’AC, quello dei giovani, quello della parrocchia e della messa domenicale. Piccole iniziative come quella di condividere la parola del giorno e una breve riflessione riscuotono molto successo. Insomma: vedo nella base del laicato un clima ecclesiale vivace e non spento. Restano tuttavia per lo più intatte le “tare” del mondo cattolico più impegnato e di elite, anche se dobbiamo pur ricordare con Mario Pomilio che: “E’ difficile per il cattolico affrancarsi del tutto da una timidezza che lo rende esitante a muovere i propri passi da solo e gli fa dimenticare che, se siamo fatti liberi, teologicamente di perderci, saremo liberi mondanamente di sbagliare. E’ difficile smuoversi dalla preoccupazione di testimoniare Dio o, peggio, dall’orgoglio di parlare in nome di Dio….il cristiano è ancora presa dell’antica debolezza di non osare i propri passi nel mondo senza un rapporto oracolare con l’a priori; nelle battaglie del mondo egli pare voler portare con se l’Arca Santa, come l’antico Israele…(Mario Pomilio, Scritti cristiani pag 53-54).
Questi brevi spunti ed altri ancora che verranno dalla mia comunità ecclesiale nei prossimi mesi, saranno il bagaglio che porterò con me a Firenze.
Personalmente ritengo che il Convegno nazionale dovrà dare la risposta di oggi alle grandi sfide epocali che sono maturate in questi venti anni nella società italiana. Quali sono queste sfide?
La risposta ancora una volta è nell’agire di papa Francesco. Chiediamoci perchè riscuote questo grande successo nella base ecclesiale. La mia risposta è: perchè papa Francecso con i gesti interpreta queste nuove sfide. Un Papa che, così costruisce una leadership non solo spirituale ma anche popolare, in quanto il popolo che lo ascolta si sente letto ed interpretato dalle sue parole e dai suoi gesti, trovando le risposte alle proprie domande.
In effetti il Papa ha messo al centro un metodo, impostando il suo pontificato sul principio di sinodalità, riscoperto in quella serata emozionante quando si presentò come vescovo di Roma. Un principio che anche lui mostra di aver imparato nella prassi pastorale, partendo da posizioni diverse. Ora lo insegna e si sforza di metterlo in pratica, correndone i rischi. In ambito laico e mondano questo principio di sinodalità possiamo tradurlo con il principio di partecipazione democratica. Oggi la Chiesa italiana è quindi chiamata a promuovere in tutti i livelli proprio questo principio che chiameremo ab intra sinodalità ed ad extra “partecipazione democratica”. Se ci facciamo caso è anche il fulcro del discorso su De Gasperi di Mons. Galantino. Pertanto già oggi la Chiesa potrebbe osare di dare un criterio ai cattolici impegnati in politica: impegnatevi solo in quelle formazioni politiche dove è garantito realmente il principio di partecipazione democratica e, nella legittimità della battaglia politica, non mettetevi al servizio dell’interesse personale dei capi ma dell’interesse del popolo. Questo è quindi quanto al metodo!
Veniamo invece ai contenuti, alle priorità di questo impegno.
Infatti l’enciclica “Laudato Si” contiene un passo che secondo me è la chiave di volta che apre uno squarcio sul futuro. Eccolo:” oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.”
Si saldano allora i due principi tanto cari a molti: tutelare l’ambiente/il creato e affrancare gli uomini dalla povertà. Due principi che, grazie all’insegnamento di papa Francesco, hanno ri-conquistato pari importanza dei cd valori non negoziabili (vita famiglia educazione). Valori importanti ma lontani purtroppo dalla scala delle priorità di un popolo in crisi valoriale ed economica. Francesco ha il merito di averli illuminati con la sua prima enciclica ecologica, sintonizzando la Chiesa sul sentire del popolo, scoprendo il nesso tra queste due grida (quello della terra e quello dei poveri) e indicandoci quindi due strade sicure e prioritarie di impegno: sinodalità e attenzine al grido della terra e dei poveri.
Spero tanto che a Firenze se ne ragioni con lucidità, anche perché la crisi economica di oggi è prima di tutto crisi valoriale legata alla incapacità delle attuali classi dirigenti, figlie e schiave di un contesto sociale superato, di saper leggere ed interpretare i segni dei tempi nuovi e della crisi. Crisi in cui noi laici cattolici fino ad oggi abbiamo avuto una precisa responsabilità omissiva, restandocene nelle nostre parrocchie, forse incapaci di superare le timidezze, preoccupazioni e orgogli che indicava Pomilio nel 1978 e delegando infine troppo alla gerarchia.

Dio sa quanto un’Italia, soffocata da personalismi  populismi e sfiducia,  ha bisogno di trovare il bandolo della matassa ed uscirne! Se la Chiesa italiana – soprattutto i suoi laici!- esce dalle sagrestie abbandonando pulpiti e lamentazioni, proprio sulle orme indicate da papa Francesco, sarà la prima candidata a guidare gli italiani verso l’uscita dalla crisi, insieme a tutti, per dare un metodo ed un obiettivo alla società dei prossimi venti anni. Ne discuteremo a Firenze.