Qui invece raccolgo, sempre a futura memoria, il meglio dei commenti di Avvenire sulle politiche 2008....
ALL’INDOMANI DELLE ELEZIONI, CON 5 ANNI DAVANTI
Questo è il momento giusto Riaprire sulla famiglia
FRANCESCO D’AGOSTINO
Per quanto intenzionalmente vago (ma i malevoli direbbero nebuloso, o – peggio ancora – ambiguo) il programma del Partito Democratico faceva esplicito riferimento a nuove riforme nell’ambito del diritto delle persone e avanzava indicazioni in merito all’esigenza di regolare giuridicamente le convivenze. Non poteva peraltro essere diversamente, dato che tra le figure eminenti del partito si poneva in posizione di spicco Rosy Bindi, che dei Dico è stata strenua fautrice, e dato che nelle liste elettorali era stato collocato, in posizione 'garantita', un giurista come Stefano Ceccanti, al quale è stato attribuito un ruolo non piccolo nell’elaborazione di quello stravagante disegno di legge. Ora, non c’è dubbio che a seguito dei recentissimi risultati elettorali il rischio che vengano riproposte ipotesi legislative del genere è davvero ridotto al minimo: come ha spiegato con estrema lucidità Marco Tarquinio, nell’editoriale di Avvenire del 16 aprile, lo 'Zapaterismo d’Italia' è stato sonoramente sconfitto dagli elettori e assieme ad esso la pretesa di destrutturare giuridicamente la famiglia. Possiamo tirare un sospiro di sollievo, ma non possiamo nemmeno riposare sugli allori. È proprio questo anzi il momento migliore per riaprire una riflessione molto seria sul tema della famiglia e delle convivenze, anche perché nel programma elettorale dell’alleanza di centro-destra (all’interno della quale esistono anche posizioni laiciste, sia pur moderate) il riferimento ai temi di rilevanza 'etica' è stato davvero fin troppo contenuto. Cominciamo col rilevare che la difesa della famiglia, a norma dell’art. 29 della Costituzione, va considerata il presupposto di ogni politica familiare, e non il suo obiettivo, come purtroppo in molti ci eravamo ahimè rassegnati a pensare, da quando il governo Prodi, all’inizio del 2007, aveva preso il solenne e infausto impegno (rivelatosi comunque a posteriori assolutamente sterile) di portare i Dico al centro dell’attenzione politica e parlamentare. Sul solido presupposto dell’art. 29, sul riconoscimento dei diritti della famiglia «come società naturale fondata sul matrimonio», si potrà finalmente cominciare a prendere sul serio il disposto di un successivo articolo della Costituzione, l’art. 31, molto meno, ma a torto, citato del precedente. Nell’art. 31 si riconosce come compito della Repubblica «agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia». Ora, se la Repubblica ha il dovere costituzionale di agevolare la formazione della famiglia (come definita dall’art. 29), è evidentemente perché ne riconosce, direi esplicitamente, la natura di autentico e insostituibile 'bene sociale'. Di qui un’ulteriore conseguenza, di non poco peso: l’aumento progressivo delle 'coppie di fatto' (fenomeno che colpisce l’Italia in misura minore che altri paesi, ma che pur tuttavia anche da noi sta diventando significativo) è un dato che non può, alla luce del dettato costituzionale, essere visto come 'neutrale' dal punto di vista dell’etica pubblica, ma come obiettivamente negativo. Il favore con cui la Costituzione vede il formarsi delle famiglie fondate sul matrimonio non può essere esteso alla formazione di qualsivoglia, pur lecita, convivenza di fatto. Sappiamo bene peraltro, anche a seguito di numerose ricerche sociologiche, che le coppie di fatto solo in minima parte sorgono per ragioni 'ideologiche', cioè per una consapevole ripulsa da parte dei conviventi del vincolo matrimoniale come vincolo giuridico; nella maggior parte dei casi esse nascono invece per la carenza di quei supporti economici e sociali, cui fa riferimento l’art. 31 della Costituzione e che dovrebbero doverosamente essere invece attivati da una lungimirante politica sociale. Se il nuovo governo riuscirà a dare buona prova di sé anche su questo piano potrà attribuirsi il merito (non piccolo) di aver preso sul serio il dettato della nostra Costituzione e, assieme, di avere bene interpretato i sentimenti profondi della maggior parte degli elettori del nostro Paese.
SEGNALI DA LEGGERE
SCONFITTO LO ZAPATERISMO D’ITALIA
MARCO TARQUINIO
La tornata elettorale si è trasformata in un autentico tornado sulle terre estreme del panorama politico italiano. In particolar modo sull’area della sinistra rosso-verde, quella che spesso viene definita radicale o antagonista e che si era autoproclamata arcobaleno. Ma concentrarsi esclusivamente sul dato eclatante e, per così dire, geopolitico della batosta inferta dagli elettori a questo specifico soggetto rischierebbe di far passare in secondo piano un dato politico- culturale che merita, invece, di essere portato in piena evidenza. Dalle urne del 13 e 14 aprile sta emergendo, infatti, una sconfitta altrettanto sonora e ben più ampia: quella degli ideologi e dei portabandiera del cosiddetto zapaterismo etico-sociale. Cioè dell’ambizione, cara al confermato primo ministro socialista di Spagna, di riproporre in salsa mediterranea la destrutturazione giuridica dell’idea stessa di famiglia naturale già impostata in alcuni Paesi nordeuropei, accompagnandola con la distruzione persino lessicale dei concetti di padre e madre (di uomo e donna) nonché con una impressionante tendenza alla deregulation in campo bioetico e condendola con una persistente polemica anticattolica. L’inesistente spinta propulsiva dello zapaterismo di casa nostra – intossicante lascito della visione antropologica e delle concrete iniziative purtroppo assunte o tentate a più riprese nei ventidue mesi del governo precedente – è un fenomeno che senza dubbio comprende la riduzione ai minimi termini della sinistra capitanata da Bertinotti, ma forse non si esaurisce in essa (così come non la spiega in modo esclusivo). È un segnale, che probabilmente non finisce neanche nella drammatica sparizione dei vari spezzoni socialisti riuniti in una 'costituente' incredibilmente segnata dal vecchio e ossessivo anticlericalismo di Boselli. Arriva, infatti, a lambire la performance del Partito democratico 'impannellato' a causa dell’insufficiente capacità di attrazione dimostrata nei confronti di settori importanti del vasto elettorato cattolico. E al loft di Veltroni c’è chi se n’è reso subito conto. Anche perché, ieri, le indicazioni fornite dalle amministrative (che hanno visto di nuovo in campo il centrosinistra allargato) hanno confermato che il problema c’è, ed è assai serio. Sulle nostre pagine è stato segnalato più di una volta, ma – ora che s’impone con solare evidenza un’altra prova provata – vale la pena di ripeterlo. Troppi esponenti della sinistra vecchia e nuova, del radicalismo di sempre, hanno inseguito polemiche e obiettivi ideologici alla Zapatero su Dico e manipolazioni della vista nascente o morente, si sono crogiolati nella cigolante retorica sulle presunte e continue «ingerenze della Chiesa », hanno evocato e quasi invocato il fantasma di contrapposizioni ottocentesche tra cattolici e laici, hanno fatto persino circolare – come una leggenda nera – la storia delle parrocchie, dei conventi, delle strutture educative, di accoglienza e di assistenza, delle associazioni di volontariato 'privilegiate' e 'nemiche' di quella gente di cui sono invece parte e che, da sempre, servono. E hanno finito – anche così – per distogliere lo sguardo dall’Italia reale delle famiglie e dei lavoratori, dalle sue pressanti domande, dalle paure e incertezze più sentite, dalle autentiche difficoltà, ma anche dalle sue passioni, dalla sua tenacia, dalle sue generosità. Il risultato è che tanta parte dell’elettorato alla fine – con simmetrica e democratica ritorsione – ha distolto lo sguardo proprio dai vagheggiatori dello zapaterismo e dai loro partiti. E ha guardato, letteralmente, altrove quando s’è trattato di decidere e di deporre (o non deporre) le proprie schede nell’urna. Certo, è solo uno degli aspetti di questo rivoluzionario voto d’aprile. Ma ne è anche una delle chiavi di lettura inevitabili. Naturalmente per chi non voglia far finta di nulla.
STRANA OTTUSITÀ DAVANTI AL VOTO
Quel vizio antico di ritenersi i migliori
MARINA CORRADI
Dopo il vertice del Pd, l’ex ministro Gentiloni sintetizza l’analisi del voto: «Non abbiamo intercettato il consenso del Nord perché è prevalso un sentimento diffuso di risentimento soprattutto nei confronti dei provvedimenti del governo, che non sono stati capiti». Dove ciò che colpisce, e che d’altronde ricorre con qualche variante come un leit motiv nei commenti politici, è che quelli che «non hanno capito» sono sempre gli elettori. Non hanno capito Prodi, e nemmeno Veltroni; o, lamenta la Sinistra Arcobaleno, «ci hanno interpretati come un residuato ». Errori di 'interpretazione', equivoci, misundertanding, per la sinistra sconfitta stanno tutti dalla parte degli elettori. Che, pare di comprendere, in certe valli e città del Nord – e anche del Sud – devono essere un po’ ottusi. O peggio. Le lettere su 'Repubblica', trasudano amarezza. «Accorgersi che l’ignoranza è il più letale dei mali, e che in Italia abbonda, e che l’Italia ha trovato qualcosa di più divertente da fare che onorare i valori della Resistenza», geme una lettrice. «Mi aspettavo più coscienza. Credo che tutti abbiano votato chi prometteva più furberie, più scappatoie», scrive un’altra. Come a dire che la maggioranza degli italiani si è rivelata, il 13 aprile, ignorante, incosciente, fascista e furbetta. La supponenza di essere – cultura e politica della sinistra – superiore, per definizione e per sempre. A fronte di ciò, il pessimo risveglio davanti alla vittoria di Berlusconi, e all’esplosione addirittura della Lega. Incredibile. Nei giornali giusti, fra le grandi firme, non se ne era avuto sentore. Anzi: Eugenio Scalfari, grande maestro del giornalismo democratico e corretto, aveva annunciato un suo presentimento: «Con avversari di questo livello non si può perdere. Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommetterci». Intanto, gli elettori andavano convincendosi esattamente del contrario. Le maggiori testate italiane da molto tempo sono ispirate da un pensiero pressoché unico. È un fatto anche generazionale: buona parte degli uomini e delle donne che oggi dirigono questi giornali o ne firmano i commenti più autorevoli, si sono formati negli anni Settanta. Magari poi da quella cultura hanno preso le distanze, ma ne mantengono un imprinting indelebile: sinistra è bello, democratico, giusto. Destra, è fascista e ignorante. Cattolico poi è, ovviamente, oscurantista – a meno che non sia cattolico 'democratico' e progressista, meglio ancora se in conflitto con le gerarchie della Chiesa. Questo spiega lo sbalordimento collettivo dopo il referendum sulla legge 40. E anche un po’ quello di oggi, quando si scopre che in certi paesi veneti o lombardi han preso il 20, 30, anche 40% quegli 'zotici' della Lega. Che sono sempre stati considerati – ammette 'l’Unità' – «commercianti in odore di evasione, valligiani spaesati, capitalisti molecolari terrorizzati dalla globalizzazione». Ma che devono essersi allargati, se han preso il 10% a Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia. E che, se pure a guardarli dai salotti corretti sono dei poveri selvaggi, tuttavia devono avere delle ragioni che non sono state comprese. Un’informazione allineata sulle sue certezze ideologiche non aiuta a capire la realtà. Serve piuttosto a confortare, in uno specchio autoreferenziale, la classe politica cui fa riferimento. Che a sua volta vuol credere che gli editoriali di Scalfari siano il pensiero degli italiani. Lunedì sera ci è venuta in mente la Conferenza nazionale sulla famiglia promossa dal governo Prodi, a Firenze, un anno fa. « Question time con le domande delle famiglie», fu annunciato. Ma non era che uno si alzava, e domandava al premier ciò che voleva. Gli interventi e le domande erano stati preventivamente preparati. Un garbato dibattito fra amici. Nessuno in aperto dissenso. Poi, le famiglie italiane sono andate a votare.
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