Mi
rifiuto di pensare che la questione del ricambio generazionale nella federazione
beneventana del Partito Democratico, al di là di sterili dispute nominalistiche
sull’appeal di questa o quella
personalità politica sannita, possa o debba ridursi, come riportato dal quotidiano il Sannio nel numero del 25 agosto scorso ( http://www.ilsannioquotidiano.it/politica/item/10306-pd-trenta-quarantenni-alla-riscossa.html ), ad uno scontro tra dinosauri (o anche grandi
vecchi, zietti ed eminenze grige) da un lato e ragazzotti (o anche panchinari)
dall'altro.
Non mi sembra neanche che il tutto possa giocarsi su concetti come
“spallata” o “forza” e “voracità” politica di una giovane generazione fatta di
ragazzotti e panchinari.
Sarebbe in effetti un ragionamento troppo semplicistico e poco
rispettoso di una partito, come il PD sannita, che, come nessun altro, sta nel
tempo strutturandosi capillarmente sul nostro
territorio.
Anche
per intavolare una proficua discussione su questa importante questione che
interessa un po tutti i soggetti politici attuali, mi sembra utile ricordare le
parole di Ciriaco De Mita pronunciate in occasione del congresso di scioglimento
della Margherita nel 2007: “guai
a chi immagina di crescere aspettando donazioni...nel rapporto giovani e vecchie
generazioni, il ricambio non è dato dalla sostituzione ma dalla capacità delle
generazioni precedenti di aiutare i giovani a conquistarsi ruolo di guida e
capacità di interpretazione”
Certo, alla nitida consapevolezza del discorso fatto allora non
rende giustizia il rancoroso disimpegno del
leader irpino dal nostro progetto politico, testimoniato dalle polemiche
“intelligenti” dello scorso maggio. Ciò, tuttavia, non toglie forza a quelle
parole spese proprio per il nascente PD, pur essendo necessaria qualche doverosa
precisazione, al fine di non confondere quelle parole con una apodittica ipoteca
dei vecchi sui giovani.
Infatti
oggi, alla luce di quelle parole di allora, una domanda utile da porsi potrebbe
essere: sono le vecchie generazioni in grado di “aiutare i
giovani a conquistarsi ruolo di guida e capacità di
interpretazione”?
Cosa vuol dire conquistare un ruolo di guida in politica? Cosa è la capacità di
interpretazione in politica?
Provo ad abbozzare qualche risposta, nella speranza di offrire un
contributo alla possibile elaborazione di un dibattito.
“Capacità
di interpretare”
in politica potrebbe voler dire saper leggere, emancipando il proprio impegno
politico dalle vicende politico-elettorali che passano, la realtà culturale e
sociale del nostro tempo, raccontandola in maniera semplice e convincente
all’elettorato che, sentendosi a sua volta “letto ed interpretato”, esprime il
proprio consenso.
“Ruolo
di guida”
potrebbe voler dire, dopo questa attenta opera ermeneutica, saper trovare
risposte convincenti in un dialogo proficuo con tutte le parti del processo
politico. Con una importante postilla: chi guida non è colui che prende
semplicemente le decisioni, bensì colui che, conscio del limite che qualsiasi
potere incontra nella impossibilità di coartare le altrui coscienze, concorre
con altri a determinare, dirigendolo, gli esiti del processo politico. In
definitiva guidare un processo politico non è semplicemente imporsi, sia pur
responsabilmente, con la forza di un numero dato dal consenso; piuttosto è saper
interpretare e guidare un processo, esprimendo un pensiero che raccoglie
consenso. Questa è la reale “forza” politica di una leadership politica
collettiva che porta ad una ri-generazione della classe politica che non sia
mera “sostituzione”, né tanto meno (aggiungo) semplice “addizione”. Sia vecchie
che nuove generazioni dovrebbero essere all'altezza di questa sfida, al di là
dell'età.
L’inversione di tale processo (dall’elaborazione di un pensiero
politicamente spendibile alla raccolta del consenso elettorale) in senso
meramente decisionista (prima il consenso e poi l’elaborazione), è stato il
segno distintivo dell’agire politico mediatizzato di gran parte delle precedenti
generazioni politiche che sono state protagoniste della scena pubblica dal 1992
in poi. Ciò ha determinato in questi anni la necessità di un ri-generazione
della classe politica in tutti i partiti, a cominciare dal PD, ed una diffusa
stanchezza dell’elettorato sempre più insofferente.
Provo allora a rispondere alla prima domanda sulla capacità delle
precedenti generazioni di aiutare i giovani. La mia risposta è, per ora: sì, i
vecchi possono ancora riuscire ad aiutare i giovani, a patto di dimostrare il
saper essere sobri nella gestione del potere ed il saper capire il cambiamento
di questi anni.
“Sobrio”
in politica, secondo una bella espressione di don Tonino Bello, è colui che non
si ubriaca del potere acquisito, ma conserva una esatta coscienza del suo
limite.
“Capire
il cambiamento”
vuol dire oggi comprendere la svolta epocale di questa complessa società del 2.0
che, da un lato richiede saperi e impegni specializzati (anche e soprattutto) in
politica, dall’altro propone forme diffuse di partecipazione politica diretta
che mettono in crisi il tradizionale concetto di rappresentanza e di
organizzazione politica, richiedendo necessari e concreti adattamenti dei
processi decisionali e di partecipazione nei partiti strutturati.
La composizione
di queste due domande politiche della società 2.0 in una concreta offerta
politica ri-generata è l’arduo compito che attende vecchie e nuove generazioni,
nel PD, ma anche in altri partiti. Se le vecchie e nuove generazioni non saranno
all’altezza del compito assegnatogli dalla storia, sarà la storia stessa a
sostituirle perché avranno dimostrato la propria inadeguatezza, come avvenne ad
esempio nello storico passaggio dai partiti dei notabili a quelli di massa.
L’auspicio è che coloro che si apprestano oggi a sostituirsi e/o
aggiungersi alla vecchia generazione, oppure coloro che nella generazione
precedente assumeranno fino in fondo l’affascinante compito maieutico di aiutare
i giovani, si dimostrino nel tempo futuro all’altezza delle sfide lanciate dal
cambiamento di questi anni e del compito di ri-generare la classe politica,
nella consapevolezza che, come ricordava Weber di fronte alle epocali sfide del
1919, in politica “non importa l’età
quanto piuttosto la capacità di leggere senza pregiudizi le realtà della vita,
la capacità di sopportarle ed esserne interiormente
all’altezza.”