giovedì 23 agosto 2012

Lo storico abbaglio


Quest'articolo di Massimo Franco sul Corsera: "I cattolici e l'unità (impossibile) da recuperare" (http://www.corriere.it/opinioni/12_agosto_23/franco-cattolici-unita-recuperare_f084be0e-ecf7-11e1-89a9-06b6db5cd36c.shtml) mi ha sollecitato qualche generale riflessione sullo "storico abbaglio" citato dal giornalista.


Personalmente quelle parentesi nel titolo non le avrei messe!
Nè tanto meno mi scandalizzo di fronte alla presa d'atto di tale impossibile unità politica dei cattolici, anche perché l'unità spirituale a cui siamo chiamati come comunità credente è ben più profonda di quel livello semplicemente culturale, sociale e politico al quale si fa riferimento. D'altronde il richiamo di Gaudium et Spes n° 43 mi è sempre sembrato importante: "nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa."

Ritengo tuttavia eccessivo parlare di rissa tra "spezzoni del mondo cattolico", visto che in fondo si è trattato di un editoriale, quello dei paolini, che non ha trovato la esplicita adesione di altre associazioni o movimenti cattolici. D'altra parte le reazioni stizzite di qualche singolo ciellino (Amicone, Formigoni ecc...) per certo non esprimono il sentire ufficiale del movimento di Giussani.

Ciò che invece mi interessa cogliere dall'ottimo articolo del dott. Franco, è il riferimento ad una "crisi d'identità culturale" non ancora superata dopo la guerra fredda e ad un"involontario abbaglio storico" nell'immaginare un mondo cattolico unito o destinato a ricompattarsi. A mio avviso questo discorso  va approfondito con la dovuta attenzione, specie in rapporto con la recezione del Concilio Vaticano II nel dibattito culturale all'interno della Chiesa italiana e soprattutto in relazione al modo di intendere ed interpretare il rapporto dei cattolici con il Potere ed il suo Limite.

Da quel che ho potuto apprendere negli anni, visto che a 10 anni mi interessavo d'altro, sembra che  il Convegno di Loreto (1985) fu il vero  spartiacque  italiano nella recezione del dettato conciliare, fino ad allora oggetto di aspre polemiche; almeno  a partire dalla lacerazione sulla cd "scelta religiosa" dell'AC di Bachelet e fino alla cristallizzazione in un ampio dibattito tra mediazione e presenza che vide protagonisti intellettuali come Lazzati, Sorge, Giussani.

Sullo sfondo politico c'era una DC ormai incapace, dopo gli anni del boom, di governare una nazione modernizzata. In effetti erano esaurite le grandi spinte ideali del 1948 che avevano reso possibile l'irripetibile esperienza dell'unità politica dei cattolici: un Paese da ricostruire, una repubblica da fondare, una classe dirigente sobria e autorevole da proporre dopo un ventennio che aveva sfasciato il tessuto etico italiano. Iniziava quindi una lenta ed inesorabile degenerazione dello scudocrociato sotto la guida della cd terza generazione (quella di Forlani e De Mita). Il tessuto ecclesiale viveva intanto un crescente distacco dal partito "unico" dei cattolici al quale restava, come "unica" ragione d'essere, l'anticomunismo che era stato carattere, sia pur importante, non essenziale per il suo nascere. Intanto associazioni e movimenti, a loro volta alle prese con la modernità e le spinte innovative conciliari, iniziavano a differenziarsi, staccandosi idealmente dalla balena bianca che non riusciva più ad interpretare le spinte popolari e rimaneva avviluppata nel clientelismo smodato che ne avrebbe consacrato la fine.

In questa cornice critica, a Loreto il papa polacco, con un memorabile discorso, consacrò in Italia una linea ecclesiale che è stata definita "cultura della presenza", impersonata ed interpretata in questi anni  da CL sul fronte dell'associazionismo laico e da Ruini nelle gerarchie, con prassi operative che hanno segnato quella che Sandro Magister ha efficacemente definito come "chiesa extraparlamentare".
Su tali prassi operative mi piacerebbe soffermarmi, visto che ritengo che "l'abbaglio storico", cui si riferisce l'articolo, tanto involontario non sia, trovando giustificazione nella situazione descritta.Infatti in questi anni "extraparlamentari", dopo aver preso coscienza della crisi decritta, la  chiesa italiana è stata guidata sulla scorta di un preciso presupposto e di una concreta linea d'indirizzo.

 Si è detto e scritto che il cattolicesimo in Italia, con la sua rete di associazione e parrocchie, godrebbe di (ampia) popolare diffusione nella società. La Chiesa italiana, anche alla luce della condizione favorevole non goduta in altri paesi occidentali, si è vista investita del grande compito storico di indicare l'esempio a cui tutte le altre chiese nazionali avrebbero dovuto guardare. Pertanto i vescovi hanno chiesto con insistenza ai cattolici italiani di testimoniare coerenza tra fede professata e vissuta, non disdegnando (anzi promuovendo) la collaborazione con i cattolici "non militanti" purchè schierati per le proprie battaglie culturali, al fine di essere rilevanti (Ruini: meglio contestati che irrilevanti!) ed arrivare a guidare infine la società. Più concretamente in politica la CEI ha esortato all'unità i cattolici  ovunque militassero, non più in nome dell'anticomunismo, ma per difendere alcuni valori irrinunciabili e/o non negoziabili che assumono a tratti i connotati di un programma simil-politico, senza aver paura di dettare la cd "linea", come nel caso del referendum del 2005. 

Tale analisi e la linea d’indirizzo adottata, pur se parzialmente giustificabile nel confuso passaggio del 1992/1994, a me pare, sia divenuta nel suo protrarsi senza l'alternativa di una costruzione di lungo periodo, il vero "abbaglio storico" volontario (non involontario!) della Chiesa italiana.

Intanto il presupposto è discutibile. 

Perché l'esistenza di un'ampia rete di associazioni, movimenti e, soprattutto, di parrocchie, dovrebbe essere sinonimo di un cattolicesimo popolare e diffuso? La consonanza su alcune battaglie "culturali", cosa aggiunge o cosa toglie alla diffusione del Vangelo? Il vangelo in effetti interpella le coscienze e l'esistenza di struttura fisiche o di convergenze culturali, non è indice di coscienze strutturate e formate!
Il fine è poi altrettanto opinabile!
Sicuro che i cattolici siano chiamati ad essere rilevanti e a guidare la società? E' una opzione di per sè coerente col vangelo? Non è, semmai, una opzione che necessità di chiarimenti e di un forte senso del Limite del Potere che forse è mancato?!

Il programma simil-politico proposto è infine francamente poco spendibile per organizzare una proposta politica efficace.
Siamo sicuri che le priorità degli italiani siano i famosi valori non negoziabili?! Non è che forse dovremmo semplicemente prendere atto della irriducibilità della Dottrina Sociale della Chiesa ad un partito ed ad programma politico?! Non è che forse dovremmo prender atto dei limiti delle scelte politiche nella formazione delle coscienze? Può il Magistero della Chiesa dettare le priorità di un programma concretamente politico?

D'altra parte la semplicità del ragionamento enunciato, si è accompagnata purtroppo, sicuramente a livello di trasmissione della linea d'indirizzo enunciata tra vertice e base, con una scarsa coscienza effettiva della complessità del cattolicesimo italiano che è legittimamente attraversato da opinioni diverse, le quali non possono ridursi alla semplice questione di rivalità tra sottogruppi, enunciata da Franco.

In effetti troppo spesso, per ovviare alle oggettive difficoltà nell'affrontare tale complessità, si è trasmessa l'impressione di coltivare un efficientismo decisionista, sterile e burocratico, guidato da uno scarso senso del Limite del Potere. 
Troppo spesso si è agito, nelle strutture ecclesiali ma anche nella società, pensando che la  decisione adottata da chi abbia diritto a prenderla, basti "di per se" a renderla attuabile, trascurando il grosso limite che ogni potere (politico, economico, magisteriale...) incontra nella impossibilità di coartare le coscienze. 
Gli esiti finali di questo processo, per il cattolicesimo italiano,  sono sotto gli occhi di tutti: 
-il fallimento tra gli scandali dei leader politici di CL, 
-gli scandali vaticani che hanno mostrato una Chiesa inerme, poco coerente e attraversata da fratture che trovano sfogo nelle indiscrezione di qualche giornalista e non in un dibattito franco, 
- la copertura data al berlusconismo, 
- le lotte per il potere ecclesiale e non, 
- la marginalizzazione dell'associazionismo cattolico nel dibattito pubblico, 
- il senso di inadeguatezza, frustrazione ed inutilità che tanti laici impegnati avvertono riguardo a convegni ed occasioni di dibattito ecclesiale.

Concludendo mi chiedo seriamente se non sia arrivato il momento di un bilancio franco  all'interno del cattolicesimo italiano su questo storico abbaglio, non per tornare ad un dibattito ormai superato (presenza o mediazione?),  ma per trovare nuove strade e nuove ragioni per una presenza "realmente significante" dei cattolici nella società italiana.


Cattolici, tra contrasti e tregue
un’impossibile unità politica

La rissa fra spezzoni del mondo cattolico non deve sorprendere. È il riflesso fedele di una crisi di identità culturale, prima ancora che politica, non ancora superata dopo la fine della Guerra fredda e della Dc, e dopo gli anni dell'alleanza ambigua col berlusconismo. Le parole aspre che si scambiano Famiglia cristiana e Comunione e liberazione sono figlie di ruggini di un passato sempre più corrosivo.
E confermano che il «nuovo protagonismo politico dei cattolici», espressione abusata, continua a manifestarsi con contrasti, incomprensioni, idiosincrasie; quasi mai su parametri di unità.
Ma forse il problema è proprio questo. Continuare a immaginare un mondo unito o comunque destinato a ricompattarsi costituisce un'illusione, anzi una sorta di involontario abbaglio storico. A un mese e mezzo dal primo anniversario del convegno dei «Forum sociali cattolici» a Todi, dove si tentò una riconciliazione interna in vista di un mitico rilancio, quanto accade sottolinea non le dimensioni di un'occasione mancata, ma la vistosità di una missione impossibile. Non è soltanto l'impossibilità di «rifare la Dc» o qualcosa di simile: a meno che non si immagini una «rifondazione cattolica» minoritaria e con un marcato profilo clericale.
Lo stesso governo di Mario Monti, nel quale sono presenti in veste di ministri alcuni dei protagonisti di Todi, non può essere letto come il ritorno sulla scena di quel mondo. Le dinamiche che hanno plasmato la coalizione dei tecnici sono totalmente staccate da logiche di appartenenza religiosa. E lo stesso Monti è l'esempio lampante di un cattolico convinto ma «non militante», scelto come premier per ragioni di competenza economica e di credibilità internazionale: un «cattolico per caso», si potrebbe azzardare, fuori dalle appartenenze miniaturizzate e incattivite che di tanto in tanto riemergono sotto il segno di polemiche datate.
Sono prolungamenti di conflitti del passato, e indizi di una frattura nel modo di intendere il rapporto con il potere. Ogni isolotto dell'arcipelago cattolico lo vive a proprio modo, imputando al vicino la colpa di un approccio diverso. Scorie di quello che una volta era il «supermarket democristiano»: tutto o quasi, e il contrario di tutto, tenuti insieme dalla finzione di un'unità politica necessaria contro il comunismo. Ma da tempo non esiste più questa esigenza. E probabilmente andrebbe archiviata anche la classificazione di «laici» e «cattolici», perché non si capisce come mai l'opinione pubblica dovrebbe considerare distinte e perfino contrapposte queste due identità.
Rimane invece, e riaffiora, la tendenza a una rivalitàche riecheggia quella fra subalternità governativa e «grillismo» anche ecclesiastico nei confronti di Palazzo Chigi. Si tratta di un fenomeno tipico di una fase se non di decadenza, di forte sbandamento, accentuata dalla crisi economica e dalla difficoltà di rapportarsi col governo Monti. Le gerarchie religiose non possono fare molto. Non sono in grado di rimettere insieme un esercito atomizzato in sottogruppi; e sono percorse a loro volta da tensioni non troppo sotterranee. Insomma, l'unità è un fantasma per tutti.
Lo stesso richiamo ai «valori non negoziabili» finora si è rivelato insufficiente a unificare qualcosa che ormai ha punti di riferimento divergenti. Tanto che è improbabile assistere a tregue o riconciliazioni, per quanto invocate o pilotate dall'alto. L'impressione è che l'Italia intera, quella delle associazioni, dei partiti, della protesta, faccia il proprio ingresso nella Terza Repubblica più frantumata che mai; e assillata da un senso di vuoto e di tendenza a guardare indietro a caccia di colpevoli, che i veleni fra cattolici semplicemente rispecchiano: energie sprecate duellando su campi di battaglia artificiosi, mentre le linee di rottura sono altre.




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