lunedì 20 agosto 2012

Vocazione radicale


Mi ha molto colpito questo passaggio dell'articolo di fondo di Mons. Crociata pubblicato su Avvenire del 15 agosto scorso : " C’è un ricco vissuto ecclesiale, intessuto di impegno caritativo e sociale – fatto di azione pastorale ordinaria e di proposta formativa – che ha bisogno di diventare visione condivisa della vita collettiva e dei suoi beni ideali e valoriali, anche attraverso l’elaborazione di una cultura che interpreti la vita del Paese e concorra a progettarne il futuro. In questo quadro acquista significato e forza di necessità l’esigenza di accompagnare la dedicazione di singoli credenti all’ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale. "
In effetti penso che le parole del segretario generale della CEI dovrebbero interpellare molto seriamente chiunque, ai vari livelli,  nella Chiesa italiana occupi qualche posto di responsabilità.
Cosa significa oggi e concretamente "accompagnare la dedicazione di singoli credenti nell'ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale"?
Scegliere di essere vicino a chi si dedica alla politica come vocazione radicale pare già una scelta di campo netta. Vuol dire, nel generale e scontato attacco alla casta politica di questi giorni,  considerare positivo che vi possano essere persone che dedichino la propria vita alla politica: non però alla politica immaginaria che ci sarà, dopo composizioni e ricomposizioni o altri artifizi politicanti, ma a quella che c'è! 
Come non ricordare la lezione weberiana della politica come beruf (professione/vocazione)!
Si, ma cosa potrebbe voler dire "vocazione radicale" alla politica?
Vocazione è l'intima chiamata interiore al servizio che il Signore fa a ciascuno in tanti campi della vita.
Radicale forse potrebbe voler dire il riferimento ad un impegno senza risparmio di energie scelto  con matura responsabilità.
Qualcuno potrebbe interpretare questa scelta di campo di mons. Crociata come la necessità di scegliere, guidare e promuovere chi è ritenuto, per fedeltà al magistero (e forse agli orientamenti politici del don/mons di turno), più adatto a servire nella politica.
Questa nuova generazione di cattolici in politica, invocata forse eccessivamente, non può nè deve certamente nascere così.
Su questo concordo con Crociata, quando chiarisce che queste scelte devono essere assecondate "solo" nella dimensione vocazionale radicale.
Comunque ammettiamo anche che siffatte vocazioni radicali alla politica esistano, la domanda è: cosa fare?
Il passaggio di Crociata sul punto mi pare illuminante: è significativo e necessario accompagnare i singoli credenti.
Chi ha posti di responsabilità nella Chiesa italiana, ai vari livelli, dovrebbe fare ciò!
Ciascuno per la sua parte in vista del bene comune.
Una grossa responsabilità!
Accompagnare significa farsi prossimo, farsi vicino, farsi compagno di viaggio, cercare la calda amicizia, evitare l'indifferenza, aiutare a maturare, cercare il dialogo e la condivisione con coloro nei quali si scorgano i segni di questa vocazione radicale. Vuol dire per questo essere attennti ai percorsi vocazionali di ciascono, assecondarli, farsene partecipe.
Mi chiedo: se la nuova generazione tanto invocata tarda a venire, non è che forse la stessa Chiesa italiana, e chi in essa a vari livelli ha posti responsabilità sia nel governo e sia nell'accompagnamento spirituale, non è pronta ad assolvere questo gravoso e affascinante compito maieutico?

Risvegliare le coscienze

Le grandi difficoltà dell’ora presente richiedono un sussulto di consapevolezza e di partecipazione che non sia circoscritto al­la pur necessaria dimensione tecnico-politica. In quest’ottica, che riguarda insieme cittadini, istituzioni e società civile, una re­sponsabilità particolare spetta ai cattolici, portatori di una visio­ne e forti di una presenza che possono recare un grande contri­buto al risveglio delle coscienze. Il rapporto tra cattolici e politica è all’ordine del giorno. A farlo tornare di attualità concorre la sfi­da lanciata dal drammatico intreccio tra crisi economica e infini­ta transizione della politica, le cui riforme sembrano non arriva­re mai. Il momento ora richiede uno sforzo convergente da parte di quanti rivestono ruoli di pubblica responsabilità come pure dei singoli cittadini. Non mancano i segnali della volontà di uno straor­dinario impegno collettivo, riconoscibili nella disponibilità di tan­ti a farsi carico dei sacrifici necessari, mentre rimane quasi intat­to dinanzi a noi il compito di coniugare misure congiunturali e pro­getti per il futuro del Paese: la gravità del momento non tagli fret­tolosamente fuori ciò che va appena oltre i quotidiani bollettini economici. 



Sarebbe ingeneroso non riconoscere gli sforzi che governo e isti­tuzioni stanno compiendo; ma sarebbe miope sottostimare la fe­conda operosità disseminata nei territori, spesso priva di risalto nella cronaca e nella rappresentazione mediatica. Tanta parte di questo sforzo, dai vertici istituzionali alla base popolare, ha nome o anche solo sensibilità cattolica. Senza pretesa di esclusiva, i cat­tolici sono parte viva e significativa della coscienza morale del Paese, e in questo momento contribuiscono in maniera determi­nante, sia essa palese o discreta, all’attraversamento di questa fa­se della sua storia. La terapia che essi praticano discende da una diagnosi che mostra necessario rimuovere le cause oltre che alle­viare i sintomi. Bisogna che i provvedimenti adottati abbiano l’ef­ficacia del lungo periodo e possiedano la qualità di interventi strut­turali. Le vere risposte alla crisi sono quelle che inducono a guar­dare lontano, che provano a dare una soluzione ai problemi in u­na visione progettuale, in modo che la crisi rappresenti non solo un problema ma anche un’opportunità. 



La situazione di emergenza non sembra di breve periodo; perciò la tentazione sarebbe adesso la divisione, la fallace risposta della lotta di tutti contro tutti. Dalla crisi non si esce esasperando i con­flitti e lo spirito di contesa, ma praticando rinnovata solidarietà e nuova amicizia civica. L’Italia è stata grande quando, nei momenti difficili, tutti si sono fatti carico e si sono presi cura l’uno dell’al­tro. Questo è tempo di risveglio della consapevolezza che ci lega un destino comune, che solo insieme supereremo le prove che ci attendono e per ciò stesso inizieremo a ricostruire. 



È in questa direzione, e non da ora, che si muove la Chiesa in Ita­lia, innanzitutto con il costante richiamo magisteriale - a partire dalle parole di Benedetto XVI - ai princìpi e ai valori costitutivi del senso autentico della persona, della vita, della società ("l’etica del­la vita e della famiglia - ci ha ricordato in questi giorni il cardina­le Bagnasco - non è la conseguenza ma il fondamento della giu­stizia e della solidarietà sociale"). In tale orizzonte si colloca il di­scernimento della situazione e della evoluzione della collettività attraverso lo strumento delle Settimane sociali e di altre istanze della riflessione cristianamente motivata, come pure la proposta di percorsi formativi promossi dalle chiese locali e dalle aggrega­zioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Tutta la comunità ecclesiale si sente chiamata a far crescere la co­scienza della responsabilità comune nei confronti del Paese. Non abbiamo interessi di parte da difendere, ma bene comune da pro­muovere. E il primo bene comune di cui l’intero Paese ha bisogno consiste in un rinnovato e rafforzato senso civico e dell’interesse generale. Oggi siamo in grado di vedere come la spregiudicata speculazione finanziaria e l’esasperazione dell’individualismo e­tico- culturale di piccoli gruppi minacciano pericolosamente la vi­ta di tutti, perché dilapidano ricchezza collettiva accumulata lun­go decenni a forza di laboriosità e di risparmio, e tutto un patri­monio di tradizioni di valori e di vita buona. Finché non ricono­sceremo che la crisi si annida nei comportamenti individuali e particolaristici, non impareremo che da lì inizia il riscatto che farà vedere la luce ora e negli anni a venire, necessario ancor prima di ogni pur avveduta soluzione tecnica.



P er i cattolici, la comunità ecclesiale nelle sue varie articolazioni è lo spazio in cui intraprendere questa azione di nuova maturazione, innanzitutto sul piano della fede e, grazie ad essa, anche su quello etico e civile. 


L’energico rilancio di iniziativa pastorale è puntualmente attestato nella vita della Chiesa: il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, l’Anno della fede con la memoria del Concilio Vaticano II e della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, il cammino della Chiesa in Italia sul tracciato educativo ora sempre più chiaramente orientato all’appuntamento del Convegno ecclesiale nazionale di metà decennio. Una Chiesa vitale e fedele alla sua identità e missione è già fermento di nuova società. 


C’è un ricco vissuto ecclesiale, intessuto di impegno caritativo e sociale – fatto di azione pastorale ordinaria e di proposta formativa – che ha bisogno di diventare visione condivisa della vita collettiva e dei suoi beni ideali e valoriali, anche attraverso l’elaborazione di una cultura che interpreti la vita del Paese e concorra a progettarne il futuro. In questo quadro acquista significato e forza di necessità l’esigenza di accompagnare la dedicazione di singoli credenti all’ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale. 


Non dimentichiamo la presenza e l’impegno di quanti già militano nell’agone politico e operano nelle istituzioni. Ai cattolici impegnati in diversi schieramenti e formazioni è commesso l’onere di testimoniare quella convergenza originaria attorno alla fede e alla sua verità, che sono per tutti i credenti ragione di vita e radice di pensiero e di giudizio sulla realtà. In quella convergenza, andrà saggiata la qualità ecclesiale della loro appartenenza, nonché la conseguente coerenza personale indivisibilmente ideale e pratica.


Mariano Crociata

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