Mi ha molto colpito questo passaggio dell'articolo di fondo di Mons. Crociata pubblicato su Avvenire del 15 agosto scorso : " C’è un ricco vissuto ecclesiale, intessuto di impegno caritativo e sociale – fatto di azione pastorale ordinaria e di proposta formativa – che ha bisogno di diventare visione condivisa della vita collettiva e dei suoi beni ideali e valoriali, anche attraverso l’elaborazione di una cultura che interpreti la vita del Paese e concorra a progettarne il futuro. In questo quadro acquista significato e forza di necessità l’esigenza di accompagnare la dedicazione di singoli credenti all’ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua radicale dimensione vocazionale. "
In effetti penso che le parole del segretario generale della CEI dovrebbero interpellare molto seriamente chiunque, ai vari livelli, nella Chiesa italiana occupi qualche posto di responsabilità.
Cosa significa oggi e concretamente "accompagnare la
dedicazione di singoli credenti nell'ambito sociale e politico, da assecondare
solo nella sua radicale dimensione vocazionale"?
Scegliere di essere vicino a chi si dedica alla politica come
vocazione radicale pare già una scelta di campo netta. Vuol dire, nel generale e
scontato attacco alla casta politica di questi giorni, considerare positivo che
vi possano essere persone che dedichino la propria vita alla politica:
non però alla politica immaginaria che ci sarà, dopo
composizioni e ricomposizioni o altri artifizi politicanti, ma a quella che
c'è!
Come non ricordare la lezione weberiana della politica come
beruf (professione/vocazione)!
Si, ma cosa potrebbe voler dire "vocazione radicale" alla
politica?
Vocazione è l'intima chiamata interiore al servizio che il
Signore fa a ciascuno in tanti campi della
vita.
Radicale forse potrebbe voler dire il riferimento ad
un impegno senza risparmio di energie scelto con matura
responsabilità.
Qualcuno potrebbe interpretare questa scelta di campo di mons.
Crociata come la necessità di scegliere, guidare e promuovere chi è ritenuto,
per fedeltà al magistero (e forse agli orientamenti politici del don/mons di
turno), più adatto a servire nella politica.
Questa nuova generazione di cattolici in politica, invocata
forse eccessivamente, non può nè deve certamente nascere
così.
Su questo concordo con Crociata, quando chiarisce che queste
scelte devono essere assecondate "solo" nella dimensione vocazionale
radicale.
Comunque ammettiamo anche che siffatte vocazioni radicali alla
politica esistano, la domanda è: cosa fare?
Il passaggio di Crociata sul punto mi pare illuminante: è
significativo e necessario accompagnare i singoli
credenti.
Chi ha posti di responsabilità nella Chiesa italiana, ai vari
livelli, dovrebbe fare ciò!
Ciascuno per la sua parte in vista del bene
comune.
Una grossa responsabilità!
Accompagnare significa farsi prossimo, farsi vicino, farsi
compagno di viaggio, cercare la calda amicizia, evitare l'indifferenza, aiutare
a maturare, cercare il dialogo e la condivisione con coloro nei quali si
scorgano i segni di questa vocazione radicale. Vuol dire per questo essere
attennti ai percorsi vocazionali di ciascono, assecondarli, farsene
partecipe.
Mi chiedo: se la nuova generazione tanto invocata tarda a
venire, non è che forse la stessa Chiesa italiana, e chi in essa a vari
livelli ha posti responsabilità sia nel governo e sia nell'accompagnamento
spirituale, non è pronta ad assolvere questo gravoso e affascinante compito
maieutico?
Risvegliare le coscienze
Le grandi difficoltà
dell’ora presente richiedono un sussulto di consapevolezza e di partecipazione
che non sia circoscritto alla pur necessaria dimensione tecnico-politica. In
quest’ottica, che riguarda insieme cittadini, istituzioni e società civile, una
responsabilità particolare spetta ai cattolici, portatori di una visione e
forti di una presenza che possono recare un grande contributo al risveglio
delle coscienze. Il rapporto tra cattolici e politica è all’ordine del giorno. A
farlo tornare di attualità concorre la sfida lanciata dal drammatico intreccio
tra crisi economica e infinita transizione della politica, le cui riforme
sembrano non arrivare mai. Il momento ora richiede uno sforzo convergente da
parte di quanti rivestono ruoli di pubblica responsabilità come pure dei singoli
cittadini. Non mancano i segnali della volontà di uno straordinario impegno
collettivo, riconoscibili nella disponibilità di tanti a farsi carico dei
sacrifici necessari, mentre rimane quasi intatto dinanzi a noi il compito di
coniugare misure congiunturali e progetti per il futuro del Paese: la gravità
del momento non tagli frettolosamente fuori ciò che va appena oltre i
quotidiani bollettini economici.
Sarebbe ingeneroso non riconoscere
gli sforzi che governo e istituzioni stanno compiendo; ma sarebbe miope
sottostimare la feconda operosità disseminata nei territori, spesso priva di
risalto nella cronaca e nella rappresentazione mediatica. Tanta parte di questo
sforzo, dai vertici istituzionali alla base popolare, ha nome o anche solo
sensibilità cattolica. Senza pretesa di esclusiva, i cattolici sono parte viva
e significativa della coscienza morale del Paese, e in questo momento
contribuiscono in maniera determinante, sia essa palese o discreta,
all’attraversamento di questa fase della sua storia. La terapia che essi
praticano discende da una diagnosi che mostra necessario rimuovere le cause
oltre che alleviare i sintomi. Bisogna che i provvedimenti adottati abbiano
l’efficacia del lungo periodo e possiedano la qualità di interventi
strutturali. Le vere risposte alla crisi sono quelle che inducono a guardare
lontano, che provano a dare una soluzione ai problemi in una visione
progettuale, in modo che la crisi rappresenti non solo un problema ma anche
un’opportunità.
La situazione
di emergenza non sembra di breve periodo; perciò la tentazione sarebbe adesso la
divisione, la fallace risposta della lotta di tutti contro tutti. Dalla crisi
non si esce esasperando i conflitti e lo spirito di contesa, ma praticando
rinnovata solidarietà e nuova amicizia civica. L’Italia è stata grande quando,
nei momenti difficili, tutti si sono fatti carico e si sono presi cura l’uno
dell’altro. Questo è tempo di risveglio della consapevolezza che ci lega un
destino comune, che solo insieme supereremo le prove che ci attendono e per ciò
stesso inizieremo a ricostruire.
È in questa direzione, e non da ora,
che si muove la Chiesa in Italia, innanzitutto con il costante richiamo
magisteriale - a partire dalle parole di Benedetto XVI - ai princìpi e ai valori
costitutivi del senso autentico della persona, della vita, della società
("l’etica della vita e della famiglia - ci ha ricordato in questi giorni il
cardinale Bagnasco - non è la conseguenza ma il fondamento della giustizia e
della solidarietà sociale"). In tale orizzonte si colloca il discernimento
della situazione e della evoluzione della collettività attraverso lo strumento
delle Settimane sociali e di altre istanze della riflessione cristianamente
motivata, come pure la proposta di percorsi formativi promossi dalle chiese
locali e dalle aggregazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Tutta la
comunità ecclesiale si sente chiamata a far crescere la coscienza della
responsabilità comune nei confronti del Paese. Non abbiamo interessi di parte da
difendere, ma bene comune da promuovere. E il primo bene comune di cui l’intero
Paese ha bisogno consiste in un rinnovato e rafforzato senso civico e
dell’interesse generale. Oggi siamo in grado di vedere come la spregiudicata
speculazione finanziaria e l’esasperazione dell’individualismo etico- culturale
di piccoli gruppi minacciano pericolosamente la vita di tutti, perché
dilapidano ricchezza collettiva accumulata lungo decenni a forza di laboriosità
e di risparmio, e tutto un patrimonio di tradizioni di valori e di vita buona.
Finché non riconosceremo che la crisi si annida nei comportamenti individuali e
particolaristici, non impareremo che da lì inizia il riscatto che farà vedere la
luce ora e negli anni a venire, necessario ancor prima di ogni pur avveduta
soluzione tecnica.
P er i cattolici, la comunità ecclesiale nelle sue
varie articolazioni è lo spazio in cui intraprendere questa azione di nuova
maturazione, innanzitutto sul piano della fede e, grazie ad essa, anche su
quello etico e civile.
L’energico rilancio di iniziativa
pastorale è puntualmente attestato nella vita della Chiesa: il Sinodo dei
Vescovi sulla nuova evangelizzazione, l’Anno della fede con la memoria del
Concilio Vaticano II e della pubblicazione del Catechismo della Chiesa
Cattolica, il cammino della Chiesa in Italia sul tracciato educativo ora sempre
più chiaramente orientato all’appuntamento del Convegno ecclesiale nazionale di
metà decennio. Una Chiesa vitale e fedele alla sua identità e missione è già
fermento di nuova società.
C’è
un ricco vissuto ecclesiale, intessuto di impegno caritativo e sociale – fatto
di azione pastorale ordinaria e di proposta formativa – che ha bisogno di
diventare visione condivisa della vita collettiva e dei suoi beni ideali e
valoriali, anche attraverso l’elaborazione di una cultura che interpreti la vita
del Paese e concorra a progettarne il futuro. In questo quadro acquista
significato e forza di necessità l’esigenza di accompagnare la dedicazione di
singoli credenti all’ambito sociale e politico, da assecondare solo nella sua
radicale dimensione vocazionale.
Non dimentichiamo la presenza e
l’impegno di quanti già militano nell’agone politico e operano nelle
istituzioni. Ai cattolici impegnati in diversi schieramenti e formazioni è
commesso l’onere di testimoniare quella convergenza originaria attorno alla fede
e alla sua verità, che sono per tutti i credenti ragione di vita e radice di
pensiero e di giudizio sulla realtà. In quella convergenza, andrà saggiata la
qualità ecclesiale della loro appartenenza, nonché la conseguente coerenza
personale indivisibilmente ideale e pratica.
Mariano Crociata
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