Vi segnalo questa intervista della Bindi al Corriere della Sera di oggi. Nell'intervista si può scorgere veramente il senso di una grossa novità politica. Rosy farà strada perchè ha in mano la chiave del cambiamento. Le sue valutazioni su Veltroni e Letta sono molto serie e ben argomentate; se ci guardiamo intorno non possiamo non condividerle. Sta mettendo in difficoltà "l'invincibile armada" di Veltroni con le sue idee e il suo coraggio.
Sosteniemola. NE VALE LA PENA.VERSO LE primarie
Bindi: Walter difenda il governo
La mia femminilità? Ora la notano
«Sono contenta. Se una mette insieme 7 mila candidati e 475 liste, non lo fa perché è brava,maperché intercetta una cosa che c’è. E non è l’antipolitica».
Dell’antipolitica cosa pensa Rosy Bindi?
«Credo che la mia candidatura abbia incrociato il movimento di Grillo, almeno prima che si desse un nome e progettasse liste civiche; iniziando il tentativo di creare una piccola alternativa al processo del Pd».
Sta dicendo che in una prima fase il fenomeno Grillo non era negativo? Che molti sostenitori di Grillo voteranno per lei?
«Credo e spero di sì. E non penso neppure ora che quel movimento sia negativo; esiste la possibilità di interloquire con loro. A Rimini un gruppo mi aveva invitato a incontrare Grillo, ma ho preferito di no; è giusto che ognuno rispetti l’autonomia dell’altro. Ma mi sta molto a cuore la partecipazione. Le primarie non sono un congresso: il Partito democratico è tutto da costruire. E votare non significa affatto iscriversi».
Non la spaventa neppure il riaccendersi dello scontro tra magistrati e politici, come da Santoro?
«Mi preoccupa molto e sarebbe bene riuscire a risolverlo e spero che l’informazione, nella sua autonomia, giochi un ruolo responsabile».
Partiamo dall’inizio. Quando Veltroni era ancora indeciso, lei disse: «SeWalter si candida, lo voto». Poi Veltroni decise. E lei si candidò contro di lui. Perché?
«Per quanto è accaduto subito dopo. L’investitura dei partiti. Il ticket con Franceschini, segno di un partito federato e non di un partito nuovo, per giunta con la mia cultura d’origine stigmatizzata come seconda. Il regolamento, costruito non solo per eleggere un segretario ma per circondarlo e controllarlo con gli apparati; Veltroni avrebbe potuto opporsi, e non l’ha fatto. E poi il discorso del Lingotto. Non il programma di un partito; un programma di governo».
Lei teme il dualismo Veltroni-Prodi?
«Io assisto a un’ambiguità che in questi mesi non è stata risolta, ma aggravata. L’ultima tappa è l’intervista di Veltroni a Repubblica. Non mi colpiscono gli otto ministri in meno; mi colpiscono gli otto mesi di tempo "per dare un senso alla legislatura"».
Questo significa secondo lei che Veltroni ha fretta di andare al voto?
«Non processo le intenzioni; temo l’eterogenesi dei fini. È fondamentale che il Pd si adoperi per rendere il governo migliore; non per far sì che non ci sia nessun governo. Credo pure che Veltroni dovrebbe impegnarsi per la durata e il rilancio del governo. Invece ha fatto il controcanto per tutta l’estate. Prodi dice che bisogna ridurre il debito pubblico e lui sostiene che bisogna abbassare le tasse. Prodi è contrario al rimpasto, e lui sollecita il rimpasto. Prodi avvia un faticoso confronto sulla riforma elettorale, e lui dà otto mesi di tempo per fare tutte le riforme e poi accada quel che accada, governo istituzionale o elezioni».
Anche lei, come Letta, ha subito pressioni dai partiti per non candidarsi?
«No. Anzi, qualcuno si è divertito a sfidarmi, come si fa con i bambini: "Vai, fai pure, scendi in campo...". Mi hanno raccontato che Marini ne ha chiesto conto a Fioroni: "Non mi avevi detto che la Bindi avrebbe rinunciato?". Su di me, nessuna pressione. Pressioni pesanti sui miei possibili sostenitori, invece. Ho toccato con mano il controllo della politica sui sindaci, sulla pubblica amministrazione, su pezzi di società. Sulle dirigenze sanitarie, sul terzo settore, e anche su parti del mondo economico, legate alla politica da convenzioni e concessioni. Il conflitto di interessi è molto più diffuso di quanto pensassi: e se i vizi di Berlusconi si combattono con le nostre virtù, noi non abbiamo le virtù per combattere il conflitto di interessi e certo non basterà una legge. La politica deve allentare il controllo sulla società, sulla Rai, sull’economia ».
Qual è stato il ruolo di Prodi?
«Non è stato lui a chiedermi di candidarmi. Io l’ho solo informato. Non posso negare la simpatia e l’appoggio di alcuni tra i suoi familiari, di persone a lui vicine. Quando sono partita ad esempio Bachelet, Lerner, Franca Chiaromonte c’erano già. Non sapevo che avrei avuto il sostegno di Arturo Parisi e non era scontato».
Lei dice di non voler contrapporre alle oligarchie dei partiti le oligarchie della società, di volersi occupare delle persone comuni. Però ci sarà qualche regista, scrittore, musicista che le piace.
«Non mi pare che il cinema viva una fase di grande fioritura, non ci sono nuovi Fellini né nuovi Comencini. Ma sono stata felice di presentare il festival del cinema italiano a Tokyo. Ormai considero italiano uno dei miei preferiti, Ferzan Ozpetek. Le fate ignoranti e La finestra di fronte sono piccoli capolavori. Quanto alla musica, la mia è la generazione dei Beatles. Ma la colonna sonora di questi mesi per me è stata "Viva l’Italia" di De Gregori...».
I tg come l’hanno trattata? I giornali?
«Posso dire che il migliore è stato il Tg2? Comunque, non mi lamento. La7 ha fatto un buon lavoro con la sua striscia quotidiana sul Pd. Certo, i giornali hanno trattato Veltroni come il detentore del titolo».
Le è parso di scontrarsi con un sistema?
«Lo spettacolo e l’informazione sono il suo mondo. Veltroni è questo. E non è difficile vedere, nel rapporto tra comunicazione e politica, chi abbia il comando. Ognuno ha il suo metodo: a chi basta fare una telefonata per reclutare un personaggio, a chi no. Ricevo chiamate di donne importanti che chiariscono di non aver preso partito e anzi di avere simpatia per me, ma non le rendo pubbliche. E poi in un Paese a bassissima mobilità sociale le energie vanno cercate anche tra gli sconosciuti, tra i giovani».
Letta rivendica di averlo fatto.
«I suoi sono giovani "in carriera", detto senza alcuna intenzione offensiva. I miei sono giovani e basta. A Reggio Emilia è stata scelta come capolista una ragazza di vent’anni, mentre una bravissima assessore diessina è al numero 3. Sulle prime ero perplessa: abbiamo un assessore ds a Reggio e non si valorizza? Poi mi sono dovuta arrendere. Enrico ha fatto in piccolo un’operazione molto interna ai due partiti, ritagliandosi una fetta di classe dirigente, talora con l’aiuto di Bersani».
E in Puglia, dicono, di D’Alema.
«Non solo in Puglia. Di Letta non mi convince neppure l’apologia degli anni ’80: a parte che l’apartheid crolla negli anni ’90, quel decennio in Italia è legato alla figura di Craxi; e io sono sempre stata anticraxiana. Però Enrico ha avuto l’abilità di affrontare temi che sono anche miei. Il ricambio generazionale. La natalità».
Dalla campagna elettorale il suo personaggio è emerso in modo netto, e in una luce diversa. Avrà notato ad esempio che sono finite le battutine e le storielle.
«È vero: stavolta mi sono sentita rispettata. In passato avevo subito l’atteggiamento maschilista dei media, per cui una donna si giudica per il fisico e il vestito e non per quel che è e fa. Sono stata presa sul serio. Paradossalmente, l’unica offesa è venuta dall’entourage di Veltroni: hanno detto che mi sono candidata per "posizionarmi". Non era così, e credo si sia capito. Ho avuto apprezzamenti anche per la mia femminilità, che mi hanno fatto piacere. Staino mi ha lusingata, con quella vignetta in abito da sera. È stato pure notato che porto i capelli più lunghi. Mi hanno chiesto se mi ero innamorata».
Che cos’ha risposto?
«Che non è vero». È vero invece che da ragazza voleva fare il prete? «Sì. Dicevo messa da sola. Però la parte preponderante era l’omelia. Quindi in realtà volevo fare il politico».
Ora la messa si dice di nuovo in latino. Perché, secondo lei?
«Se un giorno potrò parlare con questo Papa, glielo chiederò».
Cominci a dirlo più modestamente a noi. La messa in latino non la convince?
«No. Non credo risponda a domande vere. È un fatto estetico e simbolico. E non è un bel simbolo. Il 99% della gente che va a messa il latino non lo sa. Per un credente il cuore del Concilio è la Bibbia, la liturgia, la parola. E se questa parola non la si comprende...».
Del suo slogan, «per un Paese più libero, più ricco, più giusto», colpisce la parola «ricco».
«Io non ho nulla contro i ricchi. Vorrei non fossero pochi, ma molti. E ricchi non solo di denaro ma di altre cose. Cultura. Figli».
I figli le mancano?
«Certo. Ma un po’ mamma lo sono anch’io. Con i miei due nipoti e i due pronipoti».
Aldo Cazzullo